La guerra del Vespro Siciliano vol. 2. Amari Michele

La guerra del Vespro Siciliano vol. 2 - Amari Michele


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in Catalogna ad attraversare i preparamenti della guerra, non trovò riscontro ne’ popoli; e per poco scampò dalle mani di re Giacomo213, infiammato nella causa, come diceanla, della santa Chiesa, dal danaro che il papa e Carlo gli porgeano214. Perchè Loria, trafitto dall’onta di Catanzaro, ma feroce in volto e superbo come per vittoria, era andato a re Carlo, a far grande scalpore della vergognosa fuga dei suoi, e che nulla s’otterrebbe senza il re d’Aragona: onde Bonifazio, visto che qui n’andava tutta la fortuna della guerra, die’ a Giacomo quanto ei volle; tollerò ch’ei tardasse la restituzione degli stati di Giacomo re di Maiorca, sollecitata efficacemente dal re di Francia; snocciolò dalla camera apostolica i danari raccolti da quelle province, che il pio Costantino, scrive Niccolò Speciale col fiero piglio del Dante, il pio Costatino ad altro uso largiva a Silvestro poverello. Questa moneta armò contro la Sicilia Aragonesi, Catalani, Francesi, Provenzali, Guasconi, Italiani e altre genti; di che fornite a un di presso ottanta galee, fatta tregua col re di Castiglia, navigava re Giacomo a Ostia215, entrando la state del novantotto.

      E Federigo, fatto ammiraglio Corrado Doria, che avea nome di valente in mare, armava sessantaquattro galee; forse con grande aiuto dei Messinesi, ai quali in questo tempo raffermò la franchigia delle dogane di mare e di terra, e diede immunità dalle collette, imprestiti e tutte altre esazioni, per premiarli del passato, e ingaggiarli a nuovi sforzi di fede e valore216. Gravate queste galee, oltre i soldati d’armata, di settecento cavalli, impedimento in mare, in terra pochi, salpò di Sicilia, proponendosi antivenire l’arrivo della armata d’Aragona a Napoli. Federigo sulla capitana, spiegando lo stendardo reale di Sicilia, seguito da lunga fila di galee, solcava il golfo di Napoli, a suon di trombe, in atto baldanzoso e minaccevole, senza ch’alcuno uscissegli contro; gittava l’ancora ad Ischia, che teneasi per lui; ove soprastato un bel tratto, fe’ inaspettato ritorno in Sicilia. Speciale il dà ad ammonimento del fratello, che volendo fare romore e non danno, mandava da Roma ad avvertirlo, non arrischiasse tutte le sue sorti lungi dalla Sicilia. Ma ne’ fatti dell’uno e dell’altro in questo tempo, si scorge tutto il contrario che moderazione e pietà di fratelli; onde più probabil sembra che per la flotta sua non provveduta, per avvisi della nimica sì forte, e sopra ogni altra, per non saper che si fare nè egli nè il Doria, buoni soldati ma infelici capitani d’armata, abbandonavano un disegno maggiore assai di loro, mal copiato da que’ maestri assalti di Loria dell’ottantaquattro e dell’ottantasette. Tornò dunque Federigo in Sicilia a munir castella e ordinar forze terrestri. Giacomo, di Roma andò in Napoli con la flotta; e dopo lunghi consigli, affrettandosi tanto che non aspettò stagione, fe’ vela sopra Sicilia a ventiquattro agosto del novantotto217, con gran podere di navi e di genti218; seguendolo non guari dopo, Roberto duca di Calabria, erede della corona di Napoli; e portando con loro, come usato stromento di guerra, un legato della corte di Roma, che fu il cardinale Landolfo Volta219.

      Messe in terra le genti vicino Patti, drizzata quivi la flotta, occupava Giacomo l’indifesa città il dì primo settembre: e principiò da questa banda l’impresa di Sicilia, per consiglio di Ruggiero, ch’ebbevi già molte castella, ed or, agognandone il racquisto, il procacciava con dir più agevole in quelle regioni per le sue molte clientele lo effetto delle armi. E in vero i collegati fondarono assai su le pratiche, aiutandole con la scena, niente spiacevole a Bonifazio, del rendersi la Sicilia non a casa d’Angiò, ma alla romana corte, di cui Giacomo si nominava capitan generale, ed esercitò con tal sembianza atti d’autorità, che avrebbero dovuto svegliare a gelosia la corte di Napoli, s’ella fosse stata in tali condizioni da potersi risentir delle usurpazioni de’ suoi alleati, dalle quali tornavate immediato comodo220, S’aggiunse a questo la riputazione de capitani; quando insieme col nome di Loria, suonava quel di Giacomo, principe non caro all’universale in Sicilia, ma intimo con parecchi baroni, riverito da molti per consuetudine a obbedirlo, e ridottato da’ più per arti di regno e valore in guerra. Indi lo sbarco si divulgò per tutta l’isola con terrore; e, sedotte da Ruggiero, s’arreser le castella di Milazzo, Novara, Monforte; San Piero sopra Patti e poche altre. Ma la più parte delle terre d’intorno, non curando lusinghe nè spaventi, tenne per la siciliana causa221. Il re d’Aragona, consumati poco men che due mesi senza maggiore acquisto, cercando alla flotta sua un porto vernereccio più capace, pensò impadronirsi di Siracusa. Andovvi allo scorcio d’ottobre, rinforzate prima le occupate castella; e trovò Siracusa sì gagliarda, da non mancare allo antico suo nome.

      Attendatasi la formidabil oste di Giacomo sulla costiera ond’esce in penisola la moderna Siracusa, ch’era di già misero frammento dell’antica, si sparse depredando per la campagna; drizzò le macchine contro il castello dell’istmo; poi die’ furiosi assalti di terra e di mare; e sempre fu niente alla città, forte e fedele, comandata dal pro Giovanni Chiaramonte. Sdegnò costui fin d’ascoltare i messaggi dello insidioso re d’Aragona. Penetrò una congiura, macchinata da chierici, che per promessa di dignità ecclesiastiche, accoppiando simonia a tradigione, profferiano a’ nemici la torre della porta Saccara; i quali furon puniti nel capo. Con estrema costanza i Siracusani patiron la fame: per quattro mesi e mezzo il re d’Aragona indarno li strinse con ogni argomento d’assedio. In questo tratto, di ferro e di morbi scemavasi l’oste; nè più s’allargava in questa orientale, che nella settentrional regione. Buscemi, Palazzolo, Sortino, Feria, Buccheri, gli s’arresero; e Buccheri pochi dì appresso tornò in fede. Mandatovi da re Giacomo il conte d’Urgel a ripigliarla, con un forte di cavalli e di fanti, i terrazzani, rustici e fieri, al dir di Speciale, diersi a combatterlo dall’alta lor postura, con una tempesta di selci, talchè mal concio si ritirò. Ma que’ ch’a furia di popolo avean vinto, la notte fur presi d’un vano timore che non tornassero i nimici con maggior forza; onde la terra sì egregiamente difesa contro gli armati, senz’alcuno assalto abbandonarono. Tal è senza capi la moltitudine. Tali passioni in quel tempo infiammavano i Siciliani, fin delle terra più rozze, ove non son ordini da rendere util valore una natura animosa e pugnace222!

      Ondechè Federigo, consigliandosi di far guerra guerriata al nemico che non potea fronteggiare con giusto esercito, ragunò il più che potea genti a Catania, nè troppo discosto, nè troppo vicino al nimico, per vietargli, senza battaglia, di spargersi per l’isola, Nè perchè la città di Patti, tornata al suo nome, l’invitasse all’assedio della rocca, ov’eransi chiuse le soldatesche nimiche, lasciò Federigo l’importante sua postura. Manda a Patti uno stuol di Catalani sotto Ugone degli Empuri, di Messinesi sotto Benincasa d’Eustazio, di Catenesi sotto Napoleone Caputo e altri Siciliani. Ei da Catania confortava i Siracusani a tener fermo, forse con aiuti, certo con larghe concessioni di franchigia nelle dogane, e abilità a legnare nei boschi regi: e redintegrò i confini antichi del territorio; die’ loro la proprietà d’alcuni poderi223. Non lungi dal re, Blasco Alagona stava con un pugno d’audacissimi, a volteggiar, dice lo Speciale, intorno i nimici alloggiamenti, come lupo che non osa assalire i mastini, ma rabida fame lo stiga al ratto. In questo tempo Giovanni Barresi, barone siciliano d’illustre prosapia, ribellatosi da Federigo, per animo non curante del pubblico, ed error di troppa scaltrezza a speculare il privato suo bene224, die’ agli stranieri le castella di Naso e Capo d’Orlando nel settentrione, la forte Pietraperzia nel cuore dell’isola. Sperando quivi sicuro asilo, i mercenari di Giacomo si avventurarono allora a cavalcar il paese più addentro che non soleano. Seppelo Blasco dai suoi rapportatori, e li appostò in Giarratana al ritorno di Pietraperzia. Una notte dunque di folgori e tempesta, mentr’essi, carichi di bottino, venian sicuri al campo, si trovano avviluppati nell’agguato di Blasco, tra sentieri mal noti; nè seppersi difendere, nè trovar via alla fuga. Berengario e Ramondo Cabrera, Alvaro, fratello del conte d’Urgel, con più altri andaron prigioni; pochi scamparono. E Blasco, tutto lieto della prima vittoria contro i Catalani, recò a Federigo in Catania le funate de’ gregari, legati a dieci a dieci, e sciolti, sotto buona scorta, gli uomini


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<p>213</p>

Surita, Ann. d’Aragona, lib. 5, cap. 33.

<p>214</p>

Diploma del 18 novembre 1297 citato di sopra, e i molti altri accennati nel seguito di questo capitolo.

<p>215</p>

Nic. Speciale, lib. 4, cap. 2.

L’Anon. chron. sic., cap. 59, porta l’impresa di Giacomo, operante supradicto papa Bonifacio.

Surita, Ann. d’Aragona, lib. 5, cap. 33.

Montaner ci abbandona al tutto in queste guerre di Giacomo contro Federigo. Porta gli armamenti del primo, come fatti per amor di fermare la pace tra re Carlo e Federigo; a questo il dice venuto in Italia con centocinque galee; nè fa motto del passaggio in Sicilia nel 98, nè di quel dell’anno appresso, nè della battaglia del capo d’Orlando; ma crede aver soddisfatto all’uficio d’istorico, chiudendo il cap. 186 con queste parole: «Altri senza dubbio dirà: come dunque Montaner passa sì lieve su questi fatti? Se tai parole indirizzasse a me, replicherei che v’ha delle domande le quali non meritano risposta.»

Le trattative intorno la restituzione al re di Maiorca non appartengono direttamente al presente lavoro, ma fan vedere che Bonifazio per amor dell’impresa di Sicilia sagrificava gli interessi di Giacomo di Maiorca, e temporeggiava con Filippo il Bello che li volea sostenere. Ciò si conferma coi documenti degli archivi del reame di Francia qui appresso notati:

Diploma di Giacomo re d’Aragona, dato di Valenza a 15 febbraio 1237, permettendo a Carlo II di stabilire in suo nome, che per due anni non farebbe guerra a Filippo il Bello, e permetterebbe i commerci co’ suoi sudditi, J. 588, 20. Breve di Bonifazio dell’8 agosto 1297, pel quale temporeggia con Filippo il Bello, che insisteva a favore del re di Maiorca, J. 715, 24. Diploma di Giacomo di Maiorca, dato a Saint–Germain–des–Prés l’8 gennaio 1298, consentendo un certo differimento alla restituzione, stabilito tra i re d’Aragona e di Francia, J. 598, 1. Atto pubblico dato in Aix a 2 maggio 1298, nelle stanze di Carlo II, che stipola le condizioni coi re di Francia e Maiorca, a nome di Giacomo d’Aragona; secondo il citato diploma del 15 febbraio 1297, che anche trascrive, J. 511, 6.

<p>216</p>

Diploma del 15 giugno 1298, tratto da’ registri della real cancelleria di Sicilia, pubblicato dal Pirro, Sicilia sacra, pag. 409, ed. 1733.

<p>217</p>

Nic. Speciale, lib. 4, cap. 3 e 4.

Anon. chron. sic., cap. 58, 59.

<p>218</p>

Il Testa, nella Vita di Federigo, porta l’armata ad 80 galee e 90 altre navi, non computatevi le sottili; a 500 cavalli e 1,156 pedoni le genti da sbarco venute d’Aragona con Giacomo. Quest’ultimo numero è tolto da un diploma del 23 giugno 1299, il quale per vero non descrive le forze portate da Giacomo, ma quelle da lui lasciate in Sicilia al fine di questa prima impresa, che poteano esser minori per cagion degli uomini perduti nella guerra, o maggiori pei Catalani e altri avventurieri che poi vi s’aggiugnessero. Picciolissimo fu in questa armata il numero delle navi napoletane, come si vede da parecchi diplomi dati tra il fin di marzo e mezz’aprile 1299, nel r. archivio di Napoli, reg. seg. 1299, A, fog. 1 a 15.

Quanto alle forze terrestri, che furono certo assai grosse, si vegga nel seguito del presente capitolo ciò che scrive Spedale delle perdite sofferte nello assedio di Siracusa.

L’Anon. chron. sic. porta venuto Roberto con re Giacomo. Speciale. non ne parla che nel consiglio per discior l’assedio di Siracusa. E per vero si ritrae ch’ei passava in Sicilia in fin di novembre 1298, o più tardi; leggendosi in alcuni diplomi che i feudatari del regno di Napoli dovessero far la mostra alla sua presenza in Napoli il dì 20 novembre per muover contro la Sicilia. Elenco delle pergamene del r. archivio di Napoli, tom. II, fog 209 e 210, diplomi dell’8 e 23 novembre 1298.

<p>219</p>

Anon. chron. sic., cap. 59.

Nic. Speciale, lib. 4, cap. 10.

Surita, Ann. d’Aragona, lib. 5, cap. 35.

<p>220</p>

Veggansi le concessioni feudali in Sicilia fatte da Giacomo a Fulcone Barresio, per diploma del 13 settembre 1298, e a Simone de Belloloco e Filippo di Porta, per altre carte accennate ne’ diplomi del 24 luglio 1299 e 28 dicembre 1300, e la intitolazione d’un atto pubblico dato di Novara il 1 luglio 1299; de’ quali diplomi, il primo e l’ultimo citansi nel seguito di questo capitolo, gli altri due nel cap, XVII. Non abbiam traccia di alcuna delegazione di tanta autorità, che facesse Carlo II a Giacomo. E però è manifesto, che Giacomo la esercitava come capitan generale della corte di Roma, la quale poco prima avea disposto di dare in feudo a Loria il castel d’Aci, come sopra si è detto. La finzione del ceder l’isola a Roma presto fu dismessa; ma non cessarono le pretensioni di Bonifazio, anzi ne nacque una timida gelosia nella corte di Napoli, come si argomenta dal diploma di concessione feudale a Virgilio Scordia, docum. XXXVI.

<p>221</p>

Nic. Speciale, lib. 4, cap. 4.

Anon. Chron. sic., loc. cit.

<p>222</p>

Nic. Speciale, lib. 4, cap. 5.

Anon. chron. sic., cap. 59.

<p>223</p>

Diploma del 8 gennaio 1299 (per errore 1297 col computo dell’anno dal 25 marzo), pubblicato dal Testa, Vita di Federigo II, docum. 9.

<p>224</p>

Parmi che tornino a questo concetto le parole di Speciale: plus sapere quam oportebat attentans, neque intelligens verbum illud: curo possidente possideas. Questo traditore giovò molto alla causa dei nemici, come si vede da un diploma di Carlo II, dato il 1 luglio 1299, nel quale è perdonato e redintegrato ne’ suoi feudi, perchè se nella ribellione fallì per concorso, oggi ravveduto, osservava la fede al re angioino, animo et opere. Nel r. archivio di Napoli, reg. seg. 1299, A, fog. 158 a t. e 24 a t.

Oltre a questo, il governo angioino, per diploma dato lo stesso dì, gli concedea l’aspettativa di altre terre e feudi, del valore d’once cento annuali. Ibid., fog. 158.

Mostra ancora la importanza del Barresi, che fu seguito da un suo fratello per nome Fulcone, un altro documento. A costui Giacomo re d’Aragona die’ in feudo in Sicilia a dì 13 settembre 1298, con diploma dato di Milazzo, pe’ suoi continui e rilevanti servigi a pro della Chiesa, il castello e casal di Chila tra Mineo e Caltagirone, con mero e misto impero. Raffermò questa concessione Roberto a dì 10 settembre 1299 da Aidone; e Carlo II da Napoli a 16 febbraio 1300. Nel r. archivio di Napoli, reg. 1299–1300, C; e ne’ Mss. della Bibl. com. di Palermo, Q. q. G. 2, fog. 88.

Il di Gregorio, nella Bibl. arag., tom. II, pag. 520, pubblicò un diploma di Federigo, pel quale furon conceduti a Blasco Alagona il castello e la terra di Naso, posseduti una volta da Giovanni e Matteo Barresi traditori. Questo documento porta la data di Palermo a 26 gennaio decima Ind. anno dell’Incarnazione 1297, e 2o del regno di Federigo; ma io credo errata manifestamente questa data, perchè la decima Ind. cadde bene di gennaio 1297 nell’anno comune, ma nell’anno dell’Incarnazione rispondeva al gennaio 1296. Indipendentemente da tal errore, si può corregger senza alcun dubbio duodecima ind. gennaio dell’anno dell’Incarnazione 1298, ossia gennaio 1299 dell’anno comune, perchè Barresi si ribellò da Federigo al passaggio primo di Giacomo, cioè tra agosto 1298 e la primavera del 1299 dell’anno comune. Il riferisce Speciale, diligentissimo nel descrivere questi tempi di Federigo, ne’ quali ei visse ed ebbe alto stato.