La plebe, parte I. Bersezio Vittorio

La plebe, parte I - Bersezio Vittorio


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Maurilio: disse in tutta fretta. Va di là, ti prego… Ma il nostro colloquio non è finito, e verrò io a cercare di te per parlare con più agio. Dammi il tuo indirizzo.

      Maurilio trasse fuori una cartolina su cui era scritto il suo nome e il luogo della sua dimora, e glie la diede.

      – Sta bene.. Non parlare di me, non dire che qui mi hai veduto, nè alcuna cosa mai con nessuno al mondo del mio passato, te ne prego… Se mi vedrai in altri luoghi sotto ben diverso aspetto, non riconoscermi neppure, se non son io a parlarti per primo… e non far troppo tristi giudizi di me. – Ora va.

      Maurilio ubbidì. Sul passo dell'uscio a vetri, si imbattè in un uomo a faccia volpina che entrava.

      Era vestito da povero operaio ancor esso, ma aveva alcun che di losco e di dissimulato nella fisionomia e nello sguardo. Il suo occhio scrutatore corse ratto per tutta la stanza in cui entrava.

      – Che? Diss'egli. Non c'è nessuno. Credevo di trovar qui tutti i posti occupati.

      Lo sguardo di quest'uomo esaminò per bene, ma in guisa coperta, Maurilio che usciva. Questi sentì una specie di freddo all'incontrare coi suoi gli occhi che sbirciavan di soppiatto del nuovo venuto. Nel partire Maurilio si volse indietro a guardare e fu tutto stupito vedendo che Gian-Luigi era scomparso, senza ch'egli potesse dire da che parte, non essendoci altro uscio visibile fuor quello per cui era entrato l'uomo dall'aspetto volpino.

      Costui sedette ad un desco, e Maurilio l'udì che diceva alla fante:

      – Dite a Meo di grazia di portarmi la mia solita porzione ed a Pelone di venirmi a parlare; da brava, Maddalenuccia bella.

      Maurilio andò a raggiungere il ragazzo a cagione del quale soltanto egli era entrato in quella bettola.

      CAPITOLO VII

      Maddalena era appena uscita da quella stanza per andare ad eseguire i cenni del nuovo venuto, che colà entrava l'oste con una cert'aria da can che teme il bastone, che era la più ridevol cosa a vedersi.

      – Ah sei qui galantuomo: gli disse l'avventore con ironia e con una famigliarità insolente. Vieni un po' qui che la discorriamo. C'è sempre da imparare, conversando con un uomo della tua fatta.

      Mastro Pelone s'avvicinava lentamente all'interpellante, col suo passo riguardoso, sbirciandolo di sottecchi dal fondo delle sue occhiaie incavate, con molto sospetto e diffidenza.

      – Uhm! Uhm! Rispos'egli tossendo, voi credete? La vostra opinione è molto lusinghiera per me, signor Barnaba, ma…

      Era giunto presso al desco e, secondo suo costume, ci puntava le mani su, curvando il suo lungo corpo verso l'uomo seduto.

      Questi levò sul volto dell'oste uno sguardo acuto che penetrava fin nelle midolle, e disse bruscamente:

      – Siedi lì, vecchio peccatore, e parlami come devi parlare. Che cosa c'è di nuovo? Tu hai di sicuro qualche cosa d'interessante da raccontarmi.

      Pelone aveva schivato lo sguardo di Barnaba; sedette e tossendo più disperatamente che mai, rispose:

      – Di nuovo?.. Uhm!.. C'è proprio niente… Uhm! Uhm! Che cosa volete che ci sia?

      – Tu non hai dunque proprio nulla da dirmi?

      – Proprio nulla.

      Barnaba allungò il braccio sopra la tavola ed impugnò colla mano il polso dell'oste.

      – Ebbene, sta attento, che te ne dirò io di nuovo.

      – Ah sì?.. Mi farete piacere… È vostro mestiere saper delle novità.

      – Stanotte hanno scassinato la porta che mette negli uffizi del signor Bancone; sono entrati nella stanza della cassa, hanno potuto romper questa ed hanno portato via venti mila lire.

      – Che bel colpo! sclamò Pelone i cui occhi in fondo alla loro cavità brillarono un momento e tornarono spegnersi di botto.

      – Tu non lo sapevi? Domandò Barnaba colla ironia di prima.

      – Sì… oh sì… L'ho udito a contare… Tutt'oggi non si è parlato d'altro che di questo furto a quel ricco banchiere.

      – Il commissario, soggiunse Barnaba abbassando ancora la voce, pretende che tu non l'hai saputo solamente dopo… ma lo sapevi prima.

      – Io? Esclamò Pelone elevando le braccia e gli occhi al cielo. Dio buono! Si può egli pensare una cosa simile?

      – Che tu, continuava Barnaba, conosci gli autori di questo «bel colpo» come tu lo chiami…

      – Io ho detto così… così per dire… ma voglio che il corno del diavolo mi colga se…

      – Che, inoltre, questo «bel colpo» è stato combinato nella tua osteria, qui stesso, in questa camera, forse a questo medesimo desco a cui siamo seduti tu ed io.

      Mastro Pelone mandò un oh d'indignazione che si convertì in uno sbruffo di tosse.

      – Il signor commissario mi fa torto, diss'egli poi, un gran torto, un grandissimo torto. A quest'ora dovrebbe già conoscermi, e dopo i servigi che gli ho resi, e che non domando meglio che di rendergli ancora…

      – Gli è appunto perchè ti conosce che la pensa di questo modo sul conto tuo.

      L'oste protestò con un'altra esclamazione e con una pantomima analoga.

      – Or ben, vediamo. Ai fatti, signor mio. Sai tu dirmi qualche cosa del furto di questa notte?

      Pelone pose la sua scarna e grossa mano destra sul petto incavato e rispose con enfasi:

      – Parola da Pelone!.. Non so nulla.

      Barnaba lo guardò un istante con espressione che significava chiaramente qual poca fiducia avesse nella parola dell'oste; poi fece un sorriso e riprese scrollando le spalle:

      – Bene! Non parliamone più. Guarda soltanto, vecchia gatta maliziosa, di non lasciarti cogliere lo zampino nel graffiare il lardo. Passiamo ad altro… Chi era quel cotale che usciva di qua allorchè io ci entrai?

      – Non so affatto, affatto, e voi, messer Barnaba, credo possiate saperlo più presto e meglio di me. Vi fu un momento che l'ho creduto uno dei vostri.

      – Era egli solo qui dentro?

      – Credo bene… Ah! C'era Maddalena che lo serviva.

      Pelone teneva gli occhi a terra per evitare quelli di Barnaba, che non cessavano di fissarlo con iscrutatrice insistenza.

      Barnaba crollò la testa.

      – No, diss'egli, Maddalena non c'era. Tu sai che al mio occhio non isfugge nulla. Entrando nel tuo sucido antro ho visto di là Maddalena, la quale, appena m'ebbe scorto, si slanciò in questa stanza ratta come il baleno.

      – Quell'avventore l'avrà chiamata: susurrò con voce insinuante Pelone.

      – Non vorrei che fosse venuta ad avvertire qualcheduno del mio arrivo.

      – E chi mai, buon Dio?.. Che il diavolo mi porti!

      – Quella ragazza sarebbe mai per caso istrutta del vero esser mio?

      – Oh! Che cosa dite?.. Uhm! Uhm!.. Manco per sogno!

      – Meglio per voi mille volte, che non sia; sapete?

      – Se lo so!.. Diavolo!..

      – Da alcun tempo mi pare che qui, questi galantuomini mi accolgono con una diffidenza che non avevan prima.

      – Vi assicuro, esclamò vivamente Pelone, che se mai per caso hanno dei sospetti, io non ci entro per nulla.

      – Ma li hanno questi sospetti?

      – Non credo… Anzi no di sicuro.

      Barnaba tacque un istante.

      – Caro mastro Pelone, riprese egli di poi, fra i frequentatori della tua osteria c'è un personaggio di cui tu non mi hai ancora parlato mai, e che, per una combinazione veramente strana, non mi è ancora mai avvenuto di vedere.

      – Ci


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