La plebe, parte I. Bersezio Vittorio

La plebe, parte I - Bersezio Vittorio


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Da un pezzo di tempo sono così debole, che il dito d'un ragazzo mi getterebbe in terra… Soffro sempre tanto qui…

      E si premeva il petto con tutte due le mani.

      – Paolina! Diceva ancora Andrea venutole presso, volendo prenderle la destra.

      – Lasciatela stare: proruppe vivacemente Maurilio indignato. Non avete vergogna? Trattar così una donna, ed una donna ammalata!

      Andrea curvò il capo tutto mortificato. Ma Paolina, dando al marito quella mano che egli cercava, disse benignamente:

      – Oh il mio Andrea è buono. Non è lui che ne abbia colpa. È il vino che ha in corpo ed i consigli di certa gente… Va, te, ti perdono, Andrea… So che mi vuoi ancora bene.

      E l'uomo commosso:

      – Sì che te ne voglio di bene… tutto il mio bene…

      Ed esaltandosi, come in ogni cosa agli ebbri suole avvenire, si cacciò le mani negli arruffati capelli e stracciandoseli a ciocche, piangendo ed esclamando soggiunse:

      – Ma sono uno scellerato, un miserabile che merito le mazzate… sì, sì le merito… Mia moglie! I miei figli! Uh! uh! uh!.. Sono io che li ho messi sulla paglia… Ah dovrei andarmi ad affogare, che sarebbe meglio per tutti.

      Paolina, già un po' riavutasi, gettògli le braccia al collo con ispavento e con infinito amore.

      – No, non dirle queste brutte cose. Andrea, ti prego… Calmati, via, non piangere… Io ti perdono… I tuoi figli ti perdonano… Purchè tu lo voglia, la nostra sorte può cambiare e ridiventar quella di prima. Tu sarai di nuovo un buon operaio com'eri un tempo e guadagnerai come allora, io guarirò; e torneremo a vivere quei giorni felici che abbiamo già vissuto.

      – Sono uno scellerato! Ripeteva colla sua ostinazione da ebbro il povero Andrea.

      – Sei sempre il mio uomo, sei sempre il padre de' miei figli. Vieni presso di loro… E' t'aspettano. E' piangono per non vederti.

      – Piangono!.. Piango anch'io che sono un miserabile…

      Marcaccio non s'era mosso di posto, e guardava ed ascoltava tutto codesto con un sorriso di scherno e crollando le spalle.

      – E quello è un uomo? Diceva egli così da poter esser udito da Andrea. Che pan bagnato!

      – Io! pan bagnato? Esclamava l'ubbriaco cambiando espressione, e volgendosi a Marcaccio. Pan bagnato un corno!..

      – Non dargli retta! Supplicava Paolina, tirando Andrea per i panni affine di volgerlo dalla sua parte.

      Maurilio le venne in soccorso; si mise innanzi ad Andrea, fra lui e Marcaccio, e ponendo in testa allo ubbriaco il berretto che gli era caduto in terra e il giovane aveva raccolto, disse alla donna:

      – Avviatevi, e traetelo con voi, senza lasciarlo più parlare con quest'altro.

      Poi, dirigendosi ad Andrea, con quel tono autorevole che egli sapeva assumere e che abbiamo visto produrre effetto persino su Gian-Luigi avvezzo a comandare, soggiunse:

      – Andate a casa vostra, e ringraziate il cielo che vi ha dato una tal donna.

      L'ubbriaco balbettò, parve un istante voler ribellarsi all'autorità con cui quello sconosciuto si arrogava di parlargli, ma incontrato lo sguardo potente di lui, dovette chinare il suo a terra. La moglie lo tirò seco facendogli carezze e dicendogli dolci parole; ed Andrea finì per cedere ed uscire di là borbottando ma con riluttanza leggiera e facilmente superabile.

      Marcaccio guardava di traverso il giovane che si era intromesso in aiuto di Paolina.

      – Tant'è: diceva egli fra sè; questo cotale mi va a sangue come un bicchiere di vin cercone. Poichè il medichino lo conosce non sarà una spia… Ma gli è qualche cosa da non dirsela coi nostri noi… Per questa volta, in grazia al medichino, la passi liscia; ma se ancora gli avverrà di trovarmisi fra le gambe, il suo muso s'accorgerà com'è fatto il pugno di Marcaccio… Quanto ad Andrea, e' non mi scappa più. Può tardare di qualche giorno, ma ci cascherà. Abbiamo bisogno di lui, e sarà nostro.

      CAPITOLO IX

      Maurilio intanto aveva svegliato il bambino.

      – Su, piccino, andiamo a casa tua adesso.

      Il ragazzo s'era fregato gli occhi, s'era stirato le piccole membra ed aveva risposto sbadigliando:

      – Andiamo pure.

      Venendo fuori dell'osteria, il piccino indicò la direzione del cammino da farsi verso la parte più sporca e più brutta di quel bruttissimo e sporchissimo quartiere.

      Giunsero, dopo un po' di strada, ad una porta ad arco, ma bassa e schiacciata, sotto la quale un lampioncino ad olio, di cui poteva dirsi col poeta, che pareva spento, tramandava attraverso ai vetri affumicati, tanto di luce tremolante e rossigna da poter scorgere che in quei muri, su quello spazzo l'umidità e le sozzure ci stavano trionfalmente in permanenza. Passarono un cortiluccio che di poco si discostava da una fogna; giunsero ad una scala stretta, non illuminata, a corte branche, a scalini alti.

      – Se tu non mi dài mano: disse Maurilio al suo piccolo compagno, io non verrò a capo di andar su per queste tenebre senza rompermi il naso.

      Il bambino pose la sua manuccia destra in quella sinistra del giovane, e questi scorrendo ancora coll'altra mano che gli restava libera lungo la parete trasudante un umor freddo e viscoso, scalpitando ad ogni posar di piede sempre nuove immondezze, pervennero ambedue alla fine della scala, sotto alla travata del tetto, in un corridoio basso, angusto, soffocato, tenebroso, che dava adito alle soffitte.

      Fatti pochi passi per questo corridoio, il piccino si fermò innanzi ad un uscio serrato per di dentro, dalle fessure del quale trapelava un filo di luce del lume acceso all'interno, e vi picchiò col suo piccolo pugno.

      – Chi va là? Chiamò di dentro a quell'uscio una voce aspra, rauca, stizzosa, che mal avreste saputo giudicare se era d'uomo o di donna.

      – Son io: rispose il bambino. Allora s'udì un moversi di persona a rilento, uno strascico di pianelle e un brontolio di parole inintelligibili venir verso l'uscio.

      – Sei proprio tu, Gognino? Domandò ancora la medesima voce.

      – Sì, nonna.

      L'uscio s'aprì e comparve fra i battenti una vecchia vestita a bardosso d'un subisso di panni che non avevan forma nè colore, la quale, senza badar più in là, per primo saluto allungò la mano, ghermì il polpastrello dell'orecchio al bimbo, e si pose a tirare.

      Il tristanzuolo si diede a strillare come se lo pelassero.

      – Biricchino! Gridava la nonna frattanto. È l'ora di tornarne questa qui? Le nove sono già ribattute alla campana della città.

      Maurilio fece un passo innanzi; la vecchia lo udì, si volse, lo vide e lasciò il fanciullo che andò a finire il suo lamento e il suo pianto presso al misero focolare, dove s'accoccolò quasi sopra le braci mezzo spente.

      La vecchia e Maurilio si guardarono l'un l'altra, come avviene fra due che si trovano a fronte e non si sono mai visti.

      Di quella poteva dirsi col Boccaccio «una vecchia che pareva pur santa Verdiana che dà beccare alle serpi,» tanto la era strema, vizza, sporca, brutta e scontrosa. L'occhio avea rimesso e maligno, la bocca asciutta, tirata e sottile, il naso adunco, il mento aguzzo e volgente all'insù con sopravi radi ma lunghi peli di barba grigia: un aspetto di tristo e d'abbietto, di maltalento temperato dall'impotenza.

      Maurilio provò un senso di profonda ripugnanza, quasi di malessere innanzi a quella figura. E' non si scoprì la faccia e stette lì, com'era per istrada, col cappello fin sugli occhi e il mantello fin sopra la bocca.

      – Chi è Lei? Domandò la vecchia colla sua voce squarrata. Gli è di me che cerca? Che cosa vuole?

      L'uomo si appoggiò ad un desco zoppo che stava contro al muro presso l'entrata, e rispose:

      – Son venuto a portarvi dieci soldi, perchè non vogliate battere quel vostro bimbo là.

      La


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