La plebe, parte I. Bersezio Vittorio

La plebe, parte I - Bersezio Vittorio


Скачать книгу
adagio, mostrando nel muovere delle spalle e nel frusciarsi i panni addosso tutta la sua malavoglia.

      – Luca, domandogli Maurilio, sai tu che cosa sia leggere e scrivere?

      Gli occhi del fanciullo diedero un leggiero lampo d'intelligenza.

      – Sì: rispose. Vedo bene che quando appiccan qualche cartello alle cantonate tutti ci si fermano.

      – E di saperlo ne avresti voglia?

      – Sicuro. L'altro giorno che hanno menato a morire quel bel giovane, e che io sono andato a vedere, e che tutto il mondo correva, che dicevano avesse ammazzato il suo padrone… Ebbene avrei voluto poter leggere anch'io la sentenza su pei muri, come faceva l'altra gente.

      Maurilio mandò un sospiro e scosse dolorosamente la testa.

      – E voi, diss'egli alla vecchia, lasciate questo ragazzo andare a siffatti spettacoli?

      – Bisogna bene. Così vedendo il castigo, imparano a non fare il male.

      – Oh miseria dell'ignoranza! Mormorò il giovane; poi, come per una risoluzione subitamente presa, disse alla vecchia:

      – Sentite. Voi quando aveste da questo ragazzo i vostri dieci soldi al giorno, nulla dovrebbe importarvi ch'egli se ne andasse attorno per le strade ad imparare i vizi, e il padre di essi, l'ozio, oppure da qualcheduno che gli desse un po' d'educazione. Non è vero?

      – Certo. Ma se non vende fiammiferi o se non cerca l'elemosina, come razzolar dieci soldi? La mi par cosa impossibile.

      – No: è fatta. Io gli darò dieci soldi al giorno e voi mi condurrete a casa ogni giorno, per lasciarmelo quanto tempo mi piacerà, il vostro Luca.

      La Gattona guardò bene entro gli occhi l'uomo che le faceva una simile proposta.

      – Scusi: biascicò ella: ma che cosa vuol fame lei di Gognino?

      – Mostrargli a leggere e scrivere.

      – Dassenno?

      – Che cosa pensereste ch'io ne facessi?

      – Ah! non saprei, ma di questi giorni se ne vedono tante!.. Lei è dunque un maestro?

      – Un maestro che vuol pagarvi invece d'essere pagato.

      – To' gli è vero! L'è una bella opera che vuol fare!

      – Bella no; mi ci voglio provare.

      – Ed io avrò dieci soldi al giorno?

      – Senza fallo… finchè non mi stanchi o non abbia altrimenti da cessare, perchè non prendo già un impegno per un dato tempo. Finchè dura, dura. Quando il vostro piccino non vi porterà più a casa i dieci soldi, potrete rifarne quel che vi piacerà. Siamo intesi?

      – Ah! dieci soldi sono tanto pochini. Gognino cresce ogni giorno più… Fra poco sarebbe in grado di fruttarmi assai di vantaggio. Mettiamo venti soldi.

      – No. Sono povero ancor io. Questo lo posso fare, non di più. Se vi accontentate, bene; altrimenti sia per non detto.

      – Via, come vuole…

      – Comincieremo da domani.

      – A suo senno.

      – Sapete leggere voi?

      – Signor sì… Come le ho già detto non fui sempre la misera donna che Lei vede in adesso. Quand'ero giovane… Eh! Ho vissuto bene un poco ancor io… Ma poi delle disgrazie… Un vero romanzo se glie l'avessi da contare… L'ingratitudine di certa gente… Basta! Non gli accade ora di far parola di codesto… So leggere come un notaio.

      Maurilio trasse di tasca una cartolina compagna a quella che aveva data poc'anzi a Gian-Luigi.

      – Prendete, disse porgendola alla vecchia, questo è il mio indirizzo. Domattina alle nove vi ci aspetterò col vostro nipote.

      E fatta una carezza al ragazzo si mosse per uscire. La Gattona, presa la lucerna, gli tenne dietro a rischiarargli l'andito e la scala, e quando lo sconosciuto fu per ispiccarsene, ella lo ritenne.

      – Ah signore, gli disse, d'una cosa la voglio avvertire. Se mai per caso… poichè vedo che Lei è tanto generosa… se le avvenisse di voler fare qualche maggior carità a Gognino… in più di quei dieci soldi…; ebbene, la prego a non dar niente a lui. È malizioso come il fistolo, sa, e sarebbe capace di tenersi i denari e sciuparli al giuoco, non dicendomene neppur motto. Sarebbe meglio che li dèsse a me direttamente.

      – Va bene, va bene; rispose Maurilio, e partendo di buon passo lasciò lì la vecchia, a piè della scala.

      La Gattona, risalita alla sua soffitta, pose la lucerna in sul desco, e curiosamente si fece a leggere le parole scritte sulla polizzina datale dallo sconosciuto. Esse erano le seguenti: Maurilio Nulla, scrivano pubblico, via porta num. 7, piano quarto.

      – Maurilio! Esclamò la vecchia sovraccolta. Oh! Che cosa mi ricorda questo nome! Sono più di venti anni che non l'ho più udito; che non trovai più nessuno che lo portasse… E costui potrebbe egli avere alcuna attinenza con quell'altro là?..

      Scosse le spalle, come si fa quando ci viene un'idea assurda pel capo.

      – Eh via! Gli è impossibile.

      Allora domandò conto a Gognino di quanti denari avesse raccattato durante la giornata; e poichè vide che in luogo di dieci non le aveva portato a casa che quattro soldi, si diede a batterlo secondo l'usato, precisamente come se l'intervento di Maurilio non avesse avuto luogo.

      CAPITOLO X

      Maurilio s'allontanava da quella casa col capo più basso e coll'animo più triste di prima. Andava lentamente traverso la nebbia fattasi più folta, come uomo a cui la volontà non dirige il cammino, ma si lascia trasportare a caso dalle sue gambe. L'umido spruzzolìo di prima s'era convertito in buona e bella neve che calava giù lenta, lenta, fra la nebbia, a larghi fiocchi, e già vestiva d'un bianco strato il terreno su cui ammortiva il suon de' passi ai rari cittadini che per quella melanconica sera si affrettavano a rientrare nelle case loro.

      Ad un tratto il nostro giovane si riscosse. Era uscito dal povero quartiere della miseria e dell'abbiezione, e trovavasi in una strada larga, fiancheggiata da superbe abitazioni del ceto signorile. Innanzi a lui, un palazzo dei più suntuosi gettava nelle tenebre della notte dagli alti suoi finestroni delle ondate di luce che faceva brillare al passaggio i candidi fiocchi della neve. L'alto e imponente portone da via, per cui s'entrava in un atrio elegante di severa architettura, era spalancato, e nell'atrio medesimo stava una magnifica carrozza chiusa, a cui attaccati due stupendi cavalli di prezzo che scalpitavano e scuotevan la testa impazienti. Certo questa carrozza attendeva i padroni di quel palazzo che stavan per uscire: e così pensò tosto Maurilio, il quale nel cocchiere vestito di terraiuolo impellicciato, seduto con altezzosa imponenza sull'alto sedile colle redini in una mano e la frusta nell'altra, in una classica mossa che qualunque cocchiere inglese gli avrebbe invidiato, riconobbe tosto la livrea della nobile famiglia a cui quel palazzo apparteneva.

      Maurilio s'era lasciato condurre passivamente dalle sue gambe, e queste lo avevan portato là dove tanto spesso volava il suo pensiero.

      In faccia a quel portone, il giovane sostò, si volse a quel bagliore che pioveva dalle ampie finestre, guardandovi fiso con occhio e con sembiante pieni di mille espressioni, profferse parole cui nessuno, anche udendole, avrebbe pur potuto capire.

      Parve esitare un istante, poi con evidente sforzo si staccò dal posto in cui stava piantato e fece alcuni passi per allontanarsi; ma tosto si arrestò di nuovo; una lotta si combatteva nel suo animo; tornò vivamente indietro, e senza che alcun lo vedesse, guizzò sotto l'atrio e corse ad appiattarsi dietro ad un gruppo di colonne. Là si appoggiò al freddo marmo d'una di queste colonne e si premette con ambe le mani il cuore che gli batteva così violentemente da minacciar di scoppiare.

      Non attese lungamente. La grande invetrata che metteva al marmoreo scalone venne aperta da un domestico in gran livrea a capo nudo; due donne con fiori ne' capegli, avvolte in ricchi mantelli alla foggia beduina di cascemir bianco con ricami in oro ed un uomo imbaccuccato nel tabarro ed avvolto il collo sino


Скачать книгу