Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4 - Giannone Pietro


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prendere vi fece attaccare il fuoco: il perchè smarriti i defensori, la diedero in sua balia, ed Alessandro temendo della furia di lui, abbandonato il palagio di Laterano, si ricovrò nella casa de' Frangipani, e colà si afforzò con tutti i Cardinali entro una torre della Cartolaria.

      L'Imperadore nella vegnente domenica fece dal suo Antipapa Guidone da Crema cantar solennemente la messa nella chiesa di S. Pietro, e fece coronarsi colla Corona reale, e 'l lunedì, in cui si celebrò la festa di S. Pietro in Vincula, si fece dal medesimo Antipapa con nobil pompa coronare Imperadore insieme con Beatrice sua moglie.

      Il nostro Guglielmo, che seguitando in ciò l'esempio di suo padre continuava con Alessandro la medesima corrispondenza ed unione, tanto che costui non s'offese punto, che Guglielmo si fosse fatto incoronare Re senza sua saputa, come gli altri suoi predecessori avean preteso: avendo inteso l'angustie nelle quali si ritrovava il Papa, e saputo il pensiero di Federico di passare in Puglia sopra i suoi Stati, ritrovandosi, come si è detto in Messina, mandò tosto ad Alessandro due sue galee con molta moneta, acciocchè avesse potuto sopra esse partir di Roma, le quali giunte improvviso al Tevere, consolarono estremamente con la lor venuta Alessandro; il quale non volendo per allora partirsi dalla città, trattenuti seco gli Ambasciadori del Re otto giorni, gli rimandò indietro, rendendo molte grazie al loro Signore di così opportuno soccorso, e diede parte della moneta a' Frangipani, e parte a Pier Leoni, acciocchè con maggior costanza, e valore avesser difesa la città. Ma vedendo poscia, che l'Imperadore tentava di farlo deporre dal Papato, e che i Romani cominciavano a mancargli di fede; vestitosi da peregrino, uscì con pochi de' suoi assistenti di Roma, e si ricovrò a Gaeta, ove essendo prestamente seguito da' Cardinali, ripreso l'abito ponteficale, se n'andò a Benevento.

      Ma non passò guari, che Federico fu obbligato tornarsene in Alemagna; perciocchè essendo stato assalito il suo esercito da mortifera pestilenza, fra lo spazio di otto giorni morirono quasi tutti i suoi soldati, e i suoi maggiori Baroni che avea seco, fra' quali furono Federico Duca di Baviera, il Conte di Vastone, Bercardo Conte d'Arlemonte, il Conte di Sesia, Rinaldo Arcivescovo di Colonia con un suo fratello, ed il Vescovo di Verdun; ond'egli con pochi de' suoi arrivò in Alemagna.

      Intanto nella Sicilia eran accadute nuove turbolenze, e nuovi tumulti, pure per le medesime cagioni di cortigiani, e degli antichi familiari della Casa del Re, che per non appartenere all'istituto dell'Istoria presente molto volentieri le tralasciamo; tanto più che minutamente furono alla memoria de' posteri tramandate da Ugone Falcando, e modernamente con molta diligenza raccolte da Francesco Capecelatro nella sua Istoria de' Re normanni, e da Agostino Inveges nella sua Istoria di Palermo. Seguì ancora in questi medesimi tempi la famosa congiura fatta da' Siciliani contro il Cancellier Stefano di Parzio, che finalmente l'obbligarono a partirsi da Palermo, e ricovrarsi in Palestina, ove morì, scritta in più luoghi da Pietro di Blois Arcidiacono di Battona, uomo chiarissimo, il quale da Francia passò con lui nell'isola, ed insegnò per un anno lettere al Re Guglielmo, e fu suo Segretario e Consigliere, ed essendo stato eletto Arcivescovo di Napoli per opera de' suoi nemici per allontanarlo con sì fatta cagione dalla Corte, rinunciò il Vescovado. E dimorato per cagion della sua infermità, dopo la partita del Cancelliere, per alcuno spazio in Sicilia, quantunque pregato da Guglielmo a restarvi per sempre, promettendogli di tenerlo in grande stima, perchè avea preso in orrore i costumi de' Siciliani per ciò che aveano fatto al Cancelliere Stefano; non volle a patto alcuno rimanervi. Di lui abbiamo oggi giorno molte sue opere, ed un volume di epistole, e fu uno de' maggiori Letterati, che fiorissero in questo secolo[57]. Fin qui distese la sua famosa Istoria Ugone Falcando siciliano, il quale avendo cominciato la sua narrazione dalla morte del Re Ruggiero seguita nel principio del 1154, e dandole fine nel presente anno 1170, egli ordì un'erudita istoria di 15 anni, con tanta eleganza, ch'è veramente cosa da recar maraviglia, come in tempi così incolti, egli sì politamente la scrivesse.

      Era in questo mentre morto in Roma Guido da Crema Antipapa, detto Pascale III, ch'era stato creato in luogo d'Ottaviano per opera dell'Imperador Federico; e perchè non vollero i suoi seguaci cedere al Pontefice Alessandro, ne crearono in quest'anno 1170 tantosto il terzo, che fu un tal Giovanni Ungaro Abate di Strumi, che Calisto III chiamarono; benchè Alessandro che dimorava a Benevento, fosse stato intanto riconosciuto come vero Pontefice da tutti i Cristiani, fuor che da Cesare, e da alcuni suoi Tedeschi. Partissi poscia Alessandro da Benevento per andar in Roma; ma li Romani sdegnati con lui, perchè avea ricevuto in sua grazia il Conte di Tuscolo loro scoverto nemico, non lo vollero ricevere, laonde ritornò in dietro a Gaeta, e quivi molto tempo si trattenne; indi si partì per Alagna, ove fermò sua residenza.

      Inviò in questo l'Imperador Emanuele nuovi messi a Guglielmo, i quali conchiusero con lui il maritaggio di sua figliuola nomata Icoramutria, e statuirono il tempo da condurla per mare in Puglia; ed il Re poco stante col fratello Errico Principe di Capua, se ne passò a Taranto per ricever colà la novella sposa; ma il perfido Greco, non sapendosi la cagione, spregiando le pattovite nozze, non curò d'inviar la fanciulla. Altri[58] niente scrivono di questo fatto, anzi rapportano, che Guglielmo per non disgustarsi col Papa, ricusò queste nozze. Che che ne sia, Guglielmo partissi da Taranto, e gitosene a Benevento inviò il Principe suo fratello, ch'era infermato gravemente, a Salerno, acciocchè imbarcandosi sulle galee passasse più agiatamente a Palermo per ricuperar sua salute, la qual cosa non gli giovò; perciocchè gli si aggravò di modo il male, che giuntovi appena, se ne morì nel decimoterzo anno della sua vita, e nell'anno 1172 dell'umana Redenzione. Fu con nobil pompa seppellito nel Duomo presso il sepolcro dell'Avolo Ruggiero, e di là poi trasportato nella chiesa di Monreale, ove si vede sinora il suo avello[59].

      In questo Errico finirono i Principi di Capua normanni, i quali tennero questo Principato 114 anni, incominciando dal primo, che fu Riccardo Conte d'Aversa nell'anno 1058, insino ad Errico figliuolo di Guglielmo I in quest'anno 1172, nel quale mancò la lor successione, poichè non essendo a Guglielmo II nati figliuoli, non potè ad esempio di suo padre, e del suo Avolo Ruggieri continuar quest'istituto, che coloro tennero di crear uno de' loro figliuoli Principe di Capua; e quantunque del Re Tancredi, che a Guglielmo II succedette, si dovesse credere, che avrebbe continuato il medesimo costume; nulladimanco, stando questi sempre implicato in continue guerre, e mancandogli figliuoli maggiori, prevenuto egli poco da poi dalla morte, non potè praticarlo. E gli altri Re posteriori estinsero affatto questo Principato, e Dinastia; poichè sebbene ne' pubblici Atti avessero serbato il nome del Principato, come s'osserva essersi praticato insino all'anno 1435 nel Regno di Giovanna II[60], nulladimanco, toltone questo nome, fu in tutto il resto il Principato estinto, e coloro che ne' seguenti anni tennero Capua, non devono così nella dignità, come nel dominio esser paragonati a questi Principi a' quali furono di molto intervallo inferiori.

      La morte d'Errico recò a Guglielmo gravissimo cordoglio, il quale poco da poi portossi anch'egli in Sicilia, donde nell'anno 1174 avendo ragunata una grossa armata, la inviò in Alessandria d'Egitto contro il Saladino, per favoreggiare i Cristiani, che colà militavano, sotto il comando di Gualtieri di Moac, che pochi anni da poi fu creato suo Ammiraglio[61]. E volendo il medesimo Re nella pietà superare i suoi maggiori, parte de' tesori, che aveano essi accumulati, impiegò nella fabbrica d'un superbo tempio non guari da Palermo lontano in un colle chiamato Monreale, che ornollo di superbi lavori di marmo e di mosaico; ed avendolo arricchito di grosse rendite consistenti in molte città e castelli, ed in ricchi poderi, e fornitolo di arredi regali e preziosi, lo dedicò a nostra Signora, sotto il nome di S. M. Maria Nuova, dandolo a' PP. dell'Ordine di S. Benedetto. Nè qui deve tralasciarsi, che i primi ch'ebbero la cura di questo tempio furono i Monaci del monastero della Trinità della Cava, che da Guglielmo furono da queste nostre parti richiamati in Sicilia; perchè per la fama della lor santità, essendo sparsa da per tutto, erano da' Principi normanni, e sopra tutti da Guglielmo, in sommo pregio tenuti. Crebbe poi il Santuario, poichè oltre la santità de' Monaci ivi adoperati per li divini Uffici, per consiglio di Matteo Gran Protonotario di Sicilia, creato, come scrive Riccardo da S. Germano, già Vicecancelliere del Regno, Guglielmo impetrò da Papa Alessandro III, che la chiesa suddetta non fosse sottoposta a niuno Arcivescovo, Vescovo o altra persona ecclesiastica, ma solamente al Pontefice romano, ed indi da Lucio III la fece ergere


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<p>57</p>

. V. Chioccar. de Archiep. Neap. ann. 1168. P. Tirin. tom. 3 in S. Script. in indice Auct.

<p>58</p>

. Pirri rapportato da Inveges lib. 3 hist. Pal. Rex nec Emanuelis Graeci Imperatoris filiam, Icoramutriam nomine, ducere voluit.

<p>59</p>

. Camil. Pellegrin. in Stem. Princ. Cap. Nortm. et in Castig. ad Anonym. Cassin. ann. 1172.

<p>60</p>

. Camill. Pellegr. in dissert. in 3 par.

<p>61</p>

. Capecelatr. hist. lib. 3.