Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4 - Giannone Pietro


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che avesse mandati alcuni de' suoi Baroni per assistere a tal bisogno in nome di lui; perciocchè non intendeva conchiudere pace alcuna con l'Imperadore, ove non fosse compreso anch'egli, che così costantemente avea sempre favoreggiati gli affari della Chiesa[68]; la quale ambasciata udita dal Re, v'inviò di presente Romualdo Arcivescovo di Salerno, autore di questa relazione, e Ruggiero Conte d'Andria Gran Contestabile; acciocchè intervenissero in suo nome a tutto quello, che fosse stato mestiere. E dopo questo partì il Pontefice d'Alagna, e per la via di Campagna venne a Benevento e di là passò a Siponto ed a Vesti, ove s'imbarcò su le galee fattegli apprestare dal Re Guglielmo con molti Cardinali, che girono in sua compagnia, e con i suddetti Ambasciadori navigò felicemente a Vinegia, ove a grand'onore ricevuto, albergò nel monastero di S. Niccolò del Lito, e nel seguente giorno fu dal Doge e dal Patriarca e da numeroso stuolo di Vescovi con gran concorso di Popolo condotto nella chiesa di S. Marco, e di là se ne passò al palagio del Patriarca, ch'era stato apprestato con gran pompa per suo alloggiamento.

      L'Imperador Federico intesa la venuta del Pontefice a Vinegia inviò colà il Vescovo di Maddeburg, l'Eletto di Vormazia, e 'l suo Protonotario a chiedergli, che gli fosse a grado di stabilire altro luogo per l'appuntato abboccamento, avendo la città di Bologna sospetta, per esser colà entro molti suoi nemici. Alla qual dimanda rispose Alessandro, ch'essendosi quel luogo statuito non solo da lui, ma da' comuni Ambasciadori e da tutti i Collegati lombardi, non poteva senza il voler di ciascuno d'essi cambiarlo in altro; ma che non perciò s'impedirebbe la comune concordia; onde prestamente fece convocar i Deputati di tutte le parti a Ferrara e gitovi anch'egli ragunò una Assemblea entro la chiesa maggiore di quella città dedicata a S. Giorgio, ove convennero tutti, ed egli ragionò lungamente sopra gli affari della pace. Ed essendo sopraggiunti sette Legati da parte di Cesare, si deputarono dal Pontefice altri sette Cardinali; e per la Lega de' Lombardi furon destinati il Vescovo di Turino, e quelli di Bergamo e di Como, l'Eletto d'Asti, Gerardo Pesce milanese, Goezzo Giudice da Verona ed Alberto Gammaro bresciano, i quali dopo vari contrasti, intervenendovi parimente gli Ambasciadori del Re Guglielmo, di comun consentimento statuirono che l'abboccamento si facesse a Vinegia.

      Il Pontefice prestamente spedì Ugone da Bologna e Ranieri Cardinali con alcuni altri Lombardi al Doge ed al Popolo vinegiano (essendo a questi tempi la potestà pubblica presso i Nobili ed il Popolo insieme, non come oggi ne' soli Nobili ristretta[69]) a chieder loro, che avesser data sicuranza che potesse egli, e tutti gli altri, ch'eran seco per lo detto trattato di pace entrar nella loro città e dimorarvi, ed uscirne a lor talento senza ricever noia alcuna, aggiungendo che non consentissero, che Cesare contro il voler del Papa vi potesse venire; ed avendo i Vinegiani senza molto riflettere a quest'ultima dimanda conceduto ad Alessandro quel che chiedeva, si partì egli immantenente da Ferrara ed a Vinegia ritornò. Si diede quivi per tanto principio a' negoziati della pace, ma riuscendo per le molte difficoltà e differenze insorte, malagevole a potersi conchiudere, perchè non andasse a vuoto tutto ciò, che fin allora erasi adoperato, pensò Alessandro, che almeno dovesse conchiudersi una triegua, che durasse sei anni con i Lombardi, e quindici col Re di Sicilia; nel che essendo venuti gli altri, s'attendeva solo il consenso di Cesare per istabilirla; e gito il Cancelliere all'Imperadore con tal proposta, prima si sdegnò; ma da poi acconsentì con condizione, che il Papa restituisse all'Imperio lo Stato della Contessa Matilde; ma questa proposta non fu accettata da Alessandro; onde dilungandosi l'affare, perchè l'Imperadore era a Pomposa, luogo di piacere presso Ravenna, e vi voleva molto tempo ad andare e ritornare i messi, che gli s'inviavano per gli affari, che occorrevano in tal bisogno si contentò Alessandro per agevolare il trattato a richiesta del Cancelliere e degli altri Deputati di Cesare ch'esso venisse insino a Chiozza luogo quindici sole miglia lungi da Vinegia e che di là non passasse avanti senza espressa sua licenza. Ma venuto che vi fu Federico, ne girono alcuni de' popolani di Vinegia a ritrovarlo, e dirgli che non indugiasse ad entrare nella città, perchè colla sua presenza avrebbero sicuramente fatta la pace in suo vantaggio, ed essi avrebbero adoperato ogni sforzo per farlo entrare.

      Aveva mandato in questo mentre Alessandro a Chiozza suoi Legati a dire a Cesare, che se egli era risoluto di far triegua per sei anni con i Lombardi e per quindici col Re Guglielmo, il giurasse nelle lor mani, perchè poscia con la sua benedizione sarebbe potuto entrar nella città. Ma Federico a cui eran piaciute l'offerte de' popolani, ed aspettava, che l'avesser recate ad effetto, simulando essergli nuovo il trattato, e consumando il tempo in varie consulte, trasportava di giorno in giorno la risposta; onde sospettando i Cardinali che l'Imperadore macchinasse qualche inganno, erano entrati in gran confusione, nè sapean che farsi: ed i popolani di Vinegia volendo porre in opera la promessa fatta a Federico, si ragunarono insieme nella chiesa di S. Marco, e tumultuando contro il Doge, gridavano ch'era cosa molto biasimevole, che Cesare dimorasse travagliato dal calor della stagione, da' pulci e dalle zanzare senza potere entrare in Vinegia, la qual ingiuria riserbando egli nel suo animo, l'avria poscia sfogata a più opportuno tempo contro di loro e contro i lor figliuoli; perlocchè volevano, che invitatovi dalla Repubblica, e di voler di tutti loro v'entrasse di presente: le quali cose avendo con molta baldanza significate al Doge, fu da lui risposto, che s'era giurato al Pontefice di non far entrare l'Imperadore senza sua licenza: ma nulla giovandogli presso il Popolo tumultuante questa scusa, alla fine bisognò cedere, e mandare alcuni de' medesimi a dire al Papa, ch'era loro intendimento di far entrare Cesare in Vinegia, i quali ritrovandolo che dormiva, senza voler soprastare menomo tempo, irreverentemente lo svegliarono ed espostagli con arroganza l'ambasciata, a gran pena si contennero per le parole del Pontefice d'indugiare fino al vegnente giorno a farlo venire.

      Sparsasi di repente per la città la novella di tal fatto, temendo i Lombardi e gli altri, ch'erano ivi per lo trattato della pace, che se Federico entrasse contro il voler del Papa, non gli facesse prigioni, avendo già sospetta la corta fede de' Vinegiani, sgombrarono tantosto via, e ne girono a Trivigi. Ma gli Ambasciadori del Re Guglielmo niente spaventati di tal fatto, furono prestamente a ritrovare il Papa, ad avvalorarlo e dargli animo, che di nulla temesse, poich'essi avean quattro galee ben armate; su le quali l'avrebbero eziandio contro il volere de' Vinegiani trasportato ove gli fosse stato a grado, e avrebber saputo farsi attendere la fede data da' Vinegiani; dopo di che ne girono a casa del Doge, e ritrovandolo con molti Vinegiani, cominciarono a rinfacciargli i beneficj, che il loro Signore avea lor fatti, che non meritavano questo tratto, e che se sapessero, che essi permettevano di far entrare Federico nella lor città senza licenza del Pontefice, essi non avriano attesa tal venuta, ma che subito se ne sariano andati via in Sicilia, ed avriano detto al lor Principe ciò che ne conveniva per vendicar questi torti. Ma non montando nulla tai parole col Doge, ancor ch'egli con dolci risposte s'ingegnasse di trargli al suo volere, con assicurargli, che non avesser niun timore della venuta dell'Imperadore, sdegnosamente ritornarono al loro albergo e dissero sul partire dal Doge, che avrebber procacciato, che il lor Signore si vendicasse con convenevol castigo dell'ingiuria che riceveva; e fecero apprestare i legni per partirsi nel seguente mattino. La qual cosa sparsasi tra' Vinegiani, recò loro grandissima paura, temendo, se costoro si fossero andati via così sdegnati, non avesse con tal cagione il Re Guglielmo fatti prigionieri tutti i Vinegiani, che dimoravano nel suo Reame. Il perchè grosso stuolo di coloro, ch'eran congiunti di sangue a que' ch'erano in Puglia, mossi a tumulto ne girono al Doge a dirgli che non era convenevole, che per aggradire a Cesare, dal quale mai non avean ricevuto comodo alcuno, si facesse nimistà, sdegnando in cotal guisa i suoi Legati, col Re Guglielmo, da' cui Stati traean continuamente tante utilità, arrischiando di più la vita ed i beni de' lor parenti che colà dimoravano; e che lor palesasse chi erano stati coloro, ch'avean consigliato a far entrar l'Imperadore in Vinegia prima di conchiudere la pace col Pontefice, ch'erano apparecchiati con l'armi alle mani di farne vendette.

      Vedendo il Doge ed il Senato sì ostinata risoluzione e temendo non si movesse grave sedizione e si venisse dentro la città all'armi, inviarono prestamente persone di molta stima a pregare il Papa che lor perdonasse la noia, che gli avean data e che facesse ogni sforzo con gli Ambasciadori di Guglielmo, di non fargli partire: ma mostrando di star saldi nel loro proponimento non ostante le preghiere del Papa e del Doge, fur cagione, che nel seguente mattino si pubblicasse una grida in Rialto d'ordine della Repubblica, che niuno avesse più ardito di favellar dell'entrata di Cesare nella città, se in prima non l'avesse comandato il Pontefice.

      Pervenuta a Federico in Chiozza questa


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<p>68</p>

. Romual. Arciv. di Saler. Nequaquam cum Imperatore sine Rege Will. pacem facere.

<p>69</p>

. Vedi lo Squittinio della libertà Veneta di M. Velsero.