Goccia A Goccia. Juan Moisés De La Serna
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Goccia
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Goccia
Juan Moisés de la Serna
Traduzione a cura di Silvia Casuscelli
Tektime Edizioni
2020
“Goccia a Goccia”
Scritto da Juan Moisés de la Serna
Traduzione a cura di Silvia Casuscelli
1ª edizione: giugno 2020
© Juan Moisés de la Serna, 2020
© Tektime Edizioni, 2020
Tutti i diritti riservati
Distribuito da Tektime
https://www.traduzionelibri.it
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Prefazione
A volte viviamo la vita senza renderci conto che c’è qualcosa di più ad attenderci ma, in momenti precisi e senza sapere né come né perché, tutto questo cambia.
Scopri attraverso la nostra protagonista come si arriva ad accettare e a capire che non tutto è come sembra, imparando a scoprire un nuovo mondo per il quale nessuno si sente preparato.
Vivi con lei quest’esperienza così importante che può cambiare il tuo modo di vedere la vita, che la condurrà in uno dei posti più misteriosi del mondo in cui rimane quasi immutata una cultura millenaria e dove il reale si confonde con l’immaginario; accompagnala fino al tetto del mondo, il Tibet, per addentrarti nella conoscenza privata dei monaci buddisti.
Dedicato ai miei genitori
Indice
CAPITOLO 1. LA CONFERENZA7
CAPITOLO 2. QUANDO IL FIUME CANTA35
CAPITOLO 3. TEMPO DI ANDARSENE73
CAPITOLO 4. VIAGGIO IN TIBET103
CAPITOLO 5. L’ATTESA191
CAPITOLO 1. LA CONFERENZA
Mi ero svegliata presto, alle cinque e mezza e, come ogni giorno, ripetevo la stessa routine: alzarmi, farmi la doccia, pettinarmi, sistemarmi davanti allo specchio, fare colazione ed uscire.
Sapevo che nel mio lavoro era estremamente importante dare una buona immagine di me, e non perché supponesse un cambio sostanziale nei risultati della mia azienda, dato che ero una semplice impiegata, ma perché dalla direzione ci avevano detto che ognuno di noi, i fortunati lavoratori, dovevamo essere il riflesso di una azienda seria e di classe.
Non credevo ci fosse bisogno di dedicare così tanto tempo davanti allo specchio per poi alla fine dover stare rinchiusa in una stanza ad esaminare fatture e bolle di consegna ma, ad ogni modo, ero donna e mi piaceva essere ben vestita, anche fosse stato solo per ricevere il buongiorno del portinaio dell’edificio in cui ogni mattina mi recavo.
Ero nel mezzo della settimana e desideravo che arrivasse il venerdì, precisamente il pomeriggio, per godermi il fine settimana; la azienda stava avendo un grande successo e di conseguenza il numero delle vendite si era moltiplicato, quasi come il numero di fatture di cui dovevo occuparmi.
Tutto il sistema era automatico, a partire dall’ordine degli articoli, il rifornimento del magazzino e compresa la vendita; il mio lavoro era, però, noioso: dovevo verificare che ogni operazione fosse stata firmata dal fornitore e dal cliente e poi contabilizzarla; inoltre, dovevo annotare gli assegni e bonifici realizzati.
Svolgevo queste mansioni da tre anni e non credevo potessi avere una via d’uscita, siccome non esisteva la possibilità di ricevere una promozione ad un altro incarico nel mio settore e tanto meno negli altri. Se avessi voluto un cambiamento, sarei dovuta passare attraverso un processo di selezione esattamente come gli altri candidati esterni all’azienda.
Mi sarebbe piaciuto ricoprire il ruolo di commerciale e fornire assistenza ai clienti, avendo la possibilità di conoscere gente interessante e mostrargli le ultime tendenze; lo ritenevo molto più elettrizzante, inoltre avrei avuto qualcuno con cui poter parlare e, nel caso in cui non ci fossero stati clienti, mi sarei comunque potuta spostare in un’altra area per scambiare quattro chiacchiere con i miei colleghi.
Dalla mia postazione era difficile poter uscire a conversare con qualcuno, avrei dovuto attraversare svariati uffici in cui lavoravano i capi prima di accedere allo spazio comune in cui avrei potuto incontrare qualcuno, e anche gli altri impiegati cercavano di passare il meno possibile da quella zona per evitare che uscisse uno dei responsabili e li vedesse gironzolare.
Mi sentivo privilegiata per la posizione di fiducia in cui mi avevano collocato, poiché non tutti avevano la possibilità di avere un proprio ufficio e, per di più, essere molto vicini alla direzione. Ma, allo stesso tempo, era una limitazione poiché i capi non mi guardavano come una alla loro pari e, di conseguenza, non mi trattavano come se fossi una semplice collega; in realtà, neanche mi rivolgevano la parola.
Avevo amiche al di fuori del lavoro che svolgevano attività diverse dalla mia, per esempio parrucchiera o cassiera, e tutte sembravano entusiaste delle loro mansioni ma, allo stesso tempo, invidiavano il fatto che io lavorassi per una grande azienda. Mi ripetevano che sicuramente un giorno uno dei manager mi avrebbe preso in considerazione e, magari, si sarebbe addirittura innamorato di me.
Ancora non era giunto quel momento e non mi aspettavo nemmeno che arrivasse, dato che tutti erano sposati ed avevano circa una decina d’anni in più di me. Mi accontentavo delle mie mansioni e approfittavo dei fine settimana per riposare, dimenticarmi dei numeri e fatture ed andare con le mie amiche per locali.
Eravamo un gruppo di tre ragazze e ci piaceva uscire, far festa, lasciare che i ragazzi ci offrissero da bere e ci invitassero a ballare.
Prendevamo tutto per scherzo, sapendo bene che nessuno di loro avrebbe voluto qualcosa di serio da noi ma semplicemente passare una notte, e non eravamo preoccupate di poter incontrare qualcuno di speciale tra quei pretendenti.
La mia giornata era iniziata come tutte le altre, avevo ordinato un caffè nel tragitto prima di arrivare al mio ufficio e mi ero seduta di fronte al computer, affianco a due scatole di documenti del giorno prima.
In una c’erano le operazioni dei clienti e nell’altra quelle dei fornitori. Personalmente, preferivo iniziare da questi ultimi vista l’importanza di accontentarli, e se avessimo tardato nel pagamento o nelle risposte avremmo potuto avere problemi nelle consegne nonché una ripercussione sugli affari.
Al contrario, i clienti erano più pazienti perché non avevano alcuna fretta di pagare, ma avevo comunque l’obbligo di non far ritardare la gestione dei dati più di un giorno.
La prima cosa che facevo era separare ogni documento secondo il nome del fornitore, come se fossi un impiegato delle poste. Leggevo ogni mittente e, successivamente, li classificavo.
A volte mi capitava di trovare documenti che non erano destinati a noi e che ci avevano consegnato per sbaglio, come per esempio le copie erronee delle note d’entrata; tutti questi casi li risolvevo a mano a mano, separandoli in uno scaffale diverso per poterli gestire poi telefonicamente.
Dopo aver separato il primo mucchio per ogni fornitore, facevo di nuovo una selezioni dei documenti dividendoli in bolle, fatture o note d’entrata.
Tutto