La vecchia casa. Neera

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       Neera

      La vecchia casa

      Pubblicato da Good Press, 2020

       [email protected]

      EAN 4064066068875

      Indice

       Copertina

       Frontespizio

       Testo

      Egregio signor Treves,

       Lei mi domanda una prefazione per la ristampa di Vecchia casa sul genere di quella che feci per l'Indomani, ma una prefazione è talvolta più difficile di un romanzo, sempre più delicata, e ad ogni modo non è cosa che si possa improvvisare quando non vi sia una ragione ben chiara per farlo.

       L'Indomani aveva una sua storia, più o meno interessante secondo il punto di vista, ma una storia infine, mentre Vecchia casa, simile in questo ai popoli felici, non ne ha.

       Ora, priva di tale fondamento, che vuol mai ch'io ne scriva? Una lode? Non sarei modesta. Un biasimo? Non sarei sincera; ed io tengo moltissimo ad ornare la mia mediocrità se non altro di queste due piccole virtù.

       Che se poi a Lei interessasse di sapere quale accoglienza ebbe Vecchia Casa al suo primo apparire in pubblico (nel 1899) fu male ispirata a rivolgersi all'autore perchè gli autori in genere, nè io pretendo di formare eccezione, hanno per amore delle loro opere la stessa insaziabile brama della fiera Dantesca e se trovano venti lettori ne vorrebbero ventimila.

       Purtroppo devo confessare che ventimila lettori Vecchia Casa non li ebbe ancora, ma non dispero che la presente edizione fregiata del suo nome e posta sotto il suo alto patronato possa riuscire a ottenerli, molto più che se la critica mise fuori per questo romanzo inaudite espressioni di lusinga, il pubblico, il gran pubblico, non lo conobbe e tranne qualche profonda anima fedele che ne assaporò in silenzio l'intima essenza, esso passò inosservato così da potere oggi riuscire pressochè nuovo.

      Per essere sincera fino all'ultimo devo dire che nel coro delle lodi non mancò qualche nota stonata. Non può piacere a tutti un libro che fu definito: “Una di quelle piccole anfore di Murano in cui il vetro ha raggiunto la sottigliezza del velo più trasparente, anfora di una fragilità leggiadrissima che allontana istintivamente la mano dal toccarla, tessuto imponderabile nel quale anche le cose materiali diventano diafane. Ricostruirlo in sintesi è guastarlo. Una sottile malia si sprigiona da questi libri dello spirito che vi trasporta ai di sopra della realtà, pur sentendo che la realtà vi conquide, una realtà superiore ma non meno reale„. (Natura ed Arte, 15 Aprile 1900).

       Questione di gusti come sempre. Chi preferisce le anfore di Murano e chi i boccali di Montelupo. Lei da quell'intelligente editore che è ci metta sopra il cartellino, così non vi saranno equivoci.

       Con ciò la riverisco distintamente.

      Da Campodolcino, settembre 1910.

      Neera.

      LA VECCHIA CASA

      La nebbia che fino allora aveva tenuta la città prigioniera ne' suoi veli sembrava cedere agli sforzi di un pallido sole di novembre. Milano usciva nel trionfo di una opaca e tranquilla bellezza di contro al cielo grigio, uniforme, dolcemente pastoso, sul quale le spire salienti dai numerosi fumaioli segnavano alcune strisce appena più scure e i tetti, i campanili, i frontoni delle chiese smussavano tutto ciò che vi era di troppo acuto nei loro angoli, abbracciati, quasi cullati dalla grande morbidezza dell'aria e del cielo.

      Quel delizioso passaggio della stagione, quando il caldo è lontano e il freddo non molesta ancora, dava rilievo alla generale intonazione di compostezza e di calma. Una luce smorta coloriva dolcemente le cose. Se nel centro della città l'andirivieni affrettato della folla e le mostre appariscenti dei negozî rompevano la gamma monotona del grigio, nei quartieri deserti, giù per i navigli, la sinfonia del colore neutro si sbizzarriva sui lunghi muri degli orti e dei conventi, al di sopra dei quali alcuni radi ciuffi di platano e di castagno rameggiavano flosci, tinti di un giallo moribondo.

      In una via fra le più antiche dell'antica città, saliva rasentando il muro, con passo fra timido e pauroso, un fanciullo; ma forse non tanto fanciullo come poteva sembrare a primo aspetto con quelle membra gracili strette in abiti rattrappiti, col viso pallido e sofferente delle giovani creature in cui la sensibilità sovrabbonda. Tra lui e l'ambiente e il cielo non ancora completamente snebbiato correva un intimo accordo di malinconia rassegnata, piuttosto sognante che dolorosa, piuttosto organica che dipendente da circostanze esterne.

      Saliva, il fanciullo, guardando da lontano innanzi a sè chi gli stesse per venire incontro sul sentiero e voltava pure tratto tratto rapidamente il capo per assicurarsi di chi lo seguiva alle spalle. Vestiva un abito grigio troppo corto, un cappello a cencio sotto il quale il viso piccolo e delicato scompariva tutto, e teneva sotto il braccio pochi libri stretti fra due assicelle. Giunto a mezza via si fermò un momento, con una mossa istintiva adombrata di timidità insieme e di fierezza.

      Il ginnasio, che egli aveva abbandonato fra una lezione e l'altra, gli stava dietro a molta distanza e nessun professore si era trovato sulla sua strada. Una visione terrorizzante gli gelò è vero per un istante il sangue nelle vene, poichè aveva scorto, sotto un portone, la schiena obliqua di un uomo magro e segaligno vestito di nero, ma un secondo sguardo lo rassicurò, per cui riprese la strada ripetendo a sè stesso con convincimento: “Non è lui!„

      Dopo pochi passi, voltando l'angolo, si trovò dinanzi alla chiesa di Sant'Ambrogio e tornò a fermarsi; non più sbigottito questa volta nè tremante, ovvero tremante ancora, ma di commozione nuova che sembrava stringergli il cuore dentro una morsa.

      Il vecchio tempio era parato a lutto: una gran striscia nera ondulava sulla porta dell'atrio e più lungi, al di là del cortile, altre striscie nere orlate di frangia d'oro velavano a mezzo l'entrata del tempio. Egli doveva saperlo, lo sapeva; tuttavia la realtà di quel lutto apparsagli d'improvviso sembrò rinnovargli il dolore. L'incredulità vaga che si impossessa della mente al primo annunzio di morte di una persona cara mutavasi in certezza davanti alla materiale prova, alla bandiera della morte sventolante sulla casa di Dio.

      Un rispetto sacro rese ancora più pallide le guancie del fanciullo. Avanzò a piccoli passi tenendo gli occhi fissi sul cartello che fronteggiava l'entrata, smanioso eppur pauroso di leggere ciò che vi stava scritto. I caratteri gli sembravano confusi; non voleva incominciare dal principio; avrebbe desiderato conoscerli in un lampo di intuizione, non essere obbligato a decifrarli parola per parola. Gli pungevano le pupille, gli saltellavano davanti come piccole fiamme. Finalmente si fregò gli occhi, e lesse:

      A

       Gentile Lamberti

       CHE FU ANIMA FIAMMA PENSIERO

       CUI LA MATERIA NON GRAVÒ

       MAI

       LE FIGLIE IMPLORANO LIEVE LA TERRA

       NELLA DIMORA ULTIMA

       ASPETTANDO

      XIII NOV. MDCC....

      Ma l'impressione che ricevette fu meno dolorosa di quanto aveva temuto; insieme ad una commozione profonda che gli fece salire un gruppo alla gola sentì pure una specie di conforto grandioso, una elevazione del cuore alla immortalità vaga e sognante. Le tre parole anima fiamma pensiero gli rendevano vivo e vero ciò che era stato Gentile Lamberti; gli lasciavano intravedere


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