Spezia. Robert A. Webster

Spezia - Robert A. Webster


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      SPEZIA

Robert A Webster

      SPEZIA

      Scritto da Robert A Webster

      Copyright © Robert A. Webster 2020

      Tradotto da Giulia Bussacchini

      Pubblicato da TekTime

      Cover design © Robert A Webster 2019

      Tutti i diritti riservati.

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      Si ringrazia per il rispetto nei confronti del lavoro di questo autore.

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      Prefazione

      L’oscurità scenderà sugli abitanti della Cambogia.

      Ci saranno case, ma saranno vuote.

      Sulle strade non viaggerà nessuno.

      Regneranno i barbari senza religione.

      Il sangue scorrerà così a fondo da raggiungere il ventre dell’elefante.

      Sopravvivranno solamente i sordi e i muti.

      Antica Profezia Cambogiana

      -1- Paura e Delirio

      Rotha sbirciò dalla porta del capanno. Sorrise, poi si portò alcune ciocche di capelli neri dietro le orecchie e scese i gradini di legno scricchiolanti per raggiungere i suoi figli. “Ravuth, tu e tuo fratello andate a prendere il tror bek per la zuppa” disse.

      L’adolescente alzò lo sguardo da dove lui e il fratello minore erano seduti a giocare, quindi grugnì in segno di protesta.

      “Adesso, Ravuth” aggiunse la madre, agitando un dito.

      “Okay, vieni Oun” disse Ravuth alzandosi in piedi e prendendo il fratello per mano prima di dirigersi verso la giungla.

      L’aria era umida, e Ravuth si passò il braccio sulla fronte coperta di sudore. Il ragazzo si voltò verso il villaggio e alzò lo sguardo sui Monti Cardamomi. “Vorrei essere un uccello per poter volare sopra le montagne, sarebbe bello lassù” commentò sorridendo a Oun “e scommetto che ci sia molto tror bek.”

      Oun sembrava entusiasta e annuì, dato che gli piaceva molto quella verdura che ricordava un cocomero rotondo, dalla polpa bianca e croccante. A Ravuth venne un’idea.

      ***

      Era il 1975 e la Cambogia era in subbuglio, all’insaputa del villaggio isolato. Il paese viveva la fine di una guerra ma l’inizio di un incubo, un periodo di genocidio che avrebbe sortito effetto su tutti i cambogiani.

      ***

      Diverse perle di sudore rigavano il viso di Ravuth. Le piaghe sulle mani gli pungevano come il sale quando venivano bagnate dal sudore quando il ragazzo stringeva la maniglia usurata del macete. Sollevò nuovamente il braccio dolorante e infierì sul fogliame. La sete e la spossatezza minacciavano di avere la meglio su di lui, ma doveva proseguire per il fratellino.

      “Ci siamo persi, vero Ravuth?” La paura nella voce di Oun lo fece tremare.

      Ravuth portò lo sguardo sul piccolo volto ricoperto di terra. Era colpa sua se si erano persi; non avrebbe mai dovuto abbandonare il sentiero già battuto. Sua madre gli aveva detto diverse volte di non allontanarsi mai dal percorso, ma Ravuth credeva di saperla più lunga.

      I ragazzi conoscevano la giungla attorno al villaggio dove la loro famiglia aveva vissuto per generazioni, cibandosi di diverse piante e animali. Raccogliere frutta e verdura nella giungla rappresentava un compito giornaliero che l’adolescente Ravuth e suo fratello minore Oun portavano avanti da anni. Il percorso era sempre lo stesso. Eppure quel giorno i ragazzi avevano deciso di esplorare una nuova area dove avrebbero forse trovato più verdure.

      Ravuth e Oun avevano trascorso più di un’ora ad aggirarsi nel sottobosco denso e spietato. Ravuth raccolse tutte le energie rimaste e sorrise “Ce la caveremo” disse con finta spavalderia. “Possiamo riposarci qui e poi ripercorrere i nostri passi”.

      “Guarda, Ravuth” disse Oun indicando una strana pianta incastonata in ridotte formazioni rocciose. “E guarda il buco accanto alle rocce. Potrebbe essere l’entrata di una caverna”.

      I due s’avvicinarono alla pianta, quindi Ravuth si piegò per spiare nella grotta.

      “Che cosa c’è dentro? Quant’è grande?” Domandò Oun.

      “Non lo so, è buio quindi non vedo molto bene” rispose Ravuth con la testa e le spalle all’interno della cavità. “Però posso spingermi all’interno e controllare”.

      “Assolutamente no” ribatté Oun preso dal panico “Andiamocene e basta, non sappiamo cosa ci sia lì dentro”.

      Ravuth diede retta al fratello minore, quindi si alzò in piedi.

      L’attenzione di Oun si spostò poi sulla pianta, la quale era sradicata. La sommità del vegetale era costituita da un baccello tondo a bulbo dorato con disco ondulato. Il suo lungo fusto sottile circondato da grandi foglie verdi assomigliava nella forma e nelle dimensioni alla lattuga cinese, con una piccola radice bianca a forma di carota. “Non ho mai visto questa pianta prima d’ora, che cos'è?” Chiese Oun porgendola a Ravuth.

      “Non lo so, nemmeno io l’ho mai vista. La porto a casa, madre lo saprà. Forse ha un buon sapore” disse, annusandone la sommità.

      In base a ciò che i genitori avevano insegnato loro sin da piccoli circa l’identificare piante velenose, Ravuth sapeva che il vegetale era commestibile. “È amara” disse Oun prenendone un morso e facendo una smorfia. “Forse sarà più buona cotta”.

      Improvvisamente udirono diversi ramoscelli spezzarsi, e la flora circostante si agitò. Un giovane esemplare di maschio di tigre terrorizzò i ragazzi quando avanzò attraverso la sterpaglia solo per fermarsi a qualche metro da loro.

      Le Tigri Indocinesi si aggiravano nelle giungle circostanti ai Monti Cardamomi. Si sono mantenute a distanza dagli umani il più a lungo possibile, considerandoli fastidiosi e dall’aspetto non appetitoso. Tuttavia, in quell’occasione, due piccoli esemplari di bestie disturbarono quella tigre nel proprio luogo preferito per prendere il sole.

      Ravuth si ficcò subito in tasca la pianta singolare, e lui e Oun brandirono i maceti, puntandoli verso la giovane tigre.

      La tigre ringhiò e si spostò avanti e indietro di fronte ai ragazzi.

      “Indietreggia lentamente” ordinò Ravuth al fratellino, tutti i suoi muscoli erano pronti a reagire.

      I due fratelli terrorizzati indietreggiarono in direzione del fitto sottobosco, tutto mentre la tigre si aggirava ringhiando e guardandoli con


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