Le Veglie Di Giovanni. Johann Widmer

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      LE VEGLIE DI GIOVANNI

      MAREMMA

      JOHANN WIDMER

      Storie davanti al caminetto

      “LE VEGLIE DI GIOVANNI “

      Titolo dell’opera originale

      MAREMMA

      TRADUZIONE dal tedesco

      RUTH BATTILANI

      GIAN CARLO BATTILANI

      ISBN vedi copertura

      Stiftung Augustine und Johann Widmer, Hrsg.

      Augustine e Johann Widmer Fondazione, ed.

      © Tutti diritti: Fondazione Johann und Augustine Widmer Basilea 2020

      Tutti i diritti riservati, in particolare il diritto di riprodurre, distribuire e tradurre. Nessuna parte dell›opera può essere riprodotta in qualsiasi forma (mediante fotocopia, microfilm o qualsiasi altro metodo) senza l›autorizzazione scritta del titolare dei diritti o archiviata, elaborata, riprodotta o distribuita mediante sistemi elettronici.

      www.johann-widmer.ch

      ISBN vedi copertura

      1a edizione 2020

      Prefazione

      La MAREMMA è il territorio confinante con il Mar Tirreno compreso tra Pisa e Grosseto.

      Prima della bonifica era una palude inospitale dove l’aria cattiva, (la malaria) aggravava o rendeva difficile o persino impossibile la vita delle persone.

      Una canzone popolare “Maremma amara” maledice questa zona, che oggi è conosciuta come regione fertile e amata dai turisti.

      Per me non è una “Maremma maledetta” come dice la canzone, ma una “Maremma benedetta”, nella quale vivo e lavoro da molti anni. In questa – oserei quasi dire – “paradisiaca” regione sono ambientate le seguenti storie ed è qui che agiscono i miei personaggi.

      Persone come me e come te, con tutti i rispettivi pregi e difetti.

      Monterotondo Marittimo

      (luglio 1999 e settembre 2019)

      La Veglia

      Qui, nelle campagne della Toscana, per “veglia” si intende un conviviale stare insieme, particolarmente nelle lunghe serate invernali. In modo assai spontaneo un contadino invitava i suoi vicini ad una veglia. Quasi sempre ci si radunava davanti al caminetto, magari sgranando pannocchie di mais, le donne lavoravano con l’uncinetto alle loro belle coperte. Sicuramente ciascuno aveva un bicchiere di vino rosso a portata di mano, le castagne sul fuoco emanavano il tipico profumo di caldarroste. Si discuteva dei problemi attuali dell’agricoltura, si parlava degli eventi del giorno o si stava semplicemente seduti, guardando la fiamma, in silenzio. Regnava un’atmosfera tranquilla, confortevole e piacevole.

      Prima o poi qualcuno veniva invitato a raccontare una storia. Toccava a lui la scelta di cosa raccontare. Poteva trattarsi di cose vissute, sentite dire, di tempi lontani o di cose inventate di sana pianta.

      Quello che ne saltava fuori era semplicemente incredibile. Qualcuno cui normalmente bisognava strappare le parole di bocca, si svelava un narratore dotato, capace di far diventare un semplice fatto, una epica letteraria. Un altro invece, ritenuto un tipo privo di senso dell’umorismo, faceva ridere tutta la combriccola per il resto della serata. Alcuni bisognava pregarli a lungo per fargli aprire bocca, mentre altri, ad un certo momento, bisognava zittirli perché all’indomani li aspettava una giornata duro lavoro.

      La storia raccontata costituiva il culmine della serata, anche se qualcuno magari l’aveva già sentita per la seconda volta.

      La trasmissione orale si perde prima o poi, se non viene documentata, ma tempo fa la maggior parte dei nostri contadini aveva difficoltà nello scrivere, se mai ne fossero stati capaci.

      Negli anni intorno il 1882 a questa vecchia tradizione si ispirava lo scrittore Renato Fucini per scrivere un libro di storie dal titolo “veglie di Neri”, ormai purtroppo caduto in oblio.

      Le seguenti “storie davanti al caminetto” dovrebbero essere intense come un “omaggio” al mio predecessore, nato nel 1843 nel “nostro” paesello.

      Con l’arrivo della televisione negli anni ‘70 questo idillio venne brutalmente interrotto, giacché il nuovo intrattenimento risultava più avvincente, divertente e portava dei mondi lontani nelle nostre piccole abitazioni. Arrivarono storie nuove, persino immagini in movimento, bella musica, molta pelle femminile nuda e molto intrattenimento banale. In questo modo si poteva tranquillamente e ben volentieri rinunciare alle “storie della veglia”.

      Sia ben chiaro, la televisione non è l’unico “imputato” del declino di questa vecchia tradizione, è soltanto un anello di una lunga catena di cause, come l’abbandono delle campagne da parte dei contadini ormai vecchi, l’automobile che rende la vita mobile e instabile, la generazione dei giovani che sono inclini ad altri tipi di divertimento e tanto altro.

      A questo punto però non è il caso di intonare un lamento per il “buon vecchio tempo”. Al contrario, queste “storie davanti al caminetto” dovrebbero trasmettere un soffio di quell’atmosfera e un lieto ricordo di tutte le belle serate di veglia che abbiamo ancora vissuto qui, più di 150 anni dopo Renato Fucini.

      Adesso però è giunto il momento delle storie.

      Funghi

      Nell’estate di San Martino non erano soltanto le vecchiette a godersi il tepore degli ultimi raggi di sole, i vecchietti se ne stavano seduti sul muretto nell’ angolo di Piazza Garibaldi. Stanchi, scontrosi e apatici, si lasciavano riscaldare dai deboli raggi autunnali. Tutti i santi giorni si accovacciavano lì, ingobbiti, muti e introversi, aspettando il prossimo pasto, nella speranza che succedesse qualcosa mentre erano seduti là o forse nemmeno questo. Stavano là per non essere soli, per il bisogno di compagnia, un ottimo rimedio contro i brutti pensieri.

      Parlavano poco, la voglia di parlare apparteneva al passato, ai tempi in cui ancora si veniva ascoltati o si doveva essere ascoltati per forza, una volta, quand’ era ancora “il loro tempo”.

      Si doveva uscire di scena, fare posto ai giovani, ricevere la pensione, e da quel momento era permesso loro di stare seduti per giorni interi sul muretto. Ed è proprio lì che le loro conversazioni morivano poco a poco. Difficilmente valeva la pena di parlare di un evento, o dei loro innumerevoli acciacchi, delle malattie che gli soffiavano sul collo, o delle chiacchiere di paese o persino della nuova crisi del governo.

      No, non ne valeva proprio la pena.

      Forse soltanto quando una delle bellezze del paese passava, pavoneggiandosi e sculettando in modo seducente nei suoi jeans troppo stretti, poteva succedere che un brillo di luce guizzasse negli occhi torbidi, qualcuno si leccava le labbra scarne e un altro sospirava profondamente. Per la frazione di un secondo i loro cuori battevano più forte, ma era un attimo, era già passato. Bisognava pure usare riguardo al proprio cuore.

      Eh sì, una volta, nei tempi passati, erano ancora dei tipi in gamba, ma adesso tutto è superato. Persino il rassicurante passato si era offuscato a forza di raccontare tante volte le stesse storie, ormai sbiadite e amuffite.

      Si taceva, sognando grigia nebbia, aspettando, aspettando il nulla, non aspettando più niente.

      Alberto, il minatore disoccupato, scendeva la strada con un cesto sotto le braccia. I vecchi alzavano le loro teste e scrutavano il giovanotto in modo critico.

      “Sei stato nel castagneto?” chiedeva il vecchio Boni incuriosito.

      “Bah, le castagne, non vale nemmeno la pena a chinarsi” ridacchiava il giovane.

      Nonno Rossi annusava l’aria e tutto d’un tratto si agitava: “ha dei funghi, ragazzi, profuma maledettamente di funghi,


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