Amori moderni. Grazia Deledda

Amori moderni - Grazia Deledda


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      Grazia Deledda

      AMORI MODERNI

      Era agli ultimi di febbraio: una sera tiepida e dolce.

      La signora e le figliuole del professor Rotta-Torelli, riunite intorno alla tavola ancora apparecchiata, nella saletta tranquilla la cui porta a vetri dava su un giardino incolto, discorrevano col giovane professore Antonio Azar.

      A dire il vero, la signora, ancor giovane e bella, ma coi capelli bianchissimi, ascoltava in silenzio, stuzzicandosi i denti e guardando con due vivi occhi neri or l’uno or l’altro dei giovani, a misura che parlavano, senza aver l’aria di capire del tutto le loro discussioni. Ella era figlia d’un capitano piemontese, di quelli che «han fatto la patria», e che perciò forse non aveva avuto il tempo di curare l’istruzione della figlia, lasciandola crescere nella più completa ignoranza: ella non leggeva mai un libro, e non sapeva se i molti che leggevano le sue tre figliuole fossero buoni o cattivi.

      In quel tempo in tutti i salotti d’Italia non si parlava che del romanzo Quo vadis?

      – No, – diceva Maria la fidanzata di Antonio Azar, – io non ho letto e non leggerò Quo vadis? Sì, sì, appunto perché lo hanno letto e lo leggono tutti gli imbecilli, tutti gli impiegati, tutti i soldati del Regno di Italia…

      Solo allora la signora intervenne.

      – Rispetta l’esercito… – disse, senza smettere di stuzzicarsi i denti. – Ricordati che sei anche tu discendente di quei prodi che ci han dato una patria ed un re…

      – Ma fatemi il piacere, mamma! Io venero il mio caro nonno, ma non so che farmene della patria e del re!

      – Se ci fosse papà non parleresti così! – osservò la grassa dodicenne Anna, un fenomeno di bimba che aveva già letto più di trecento romanzi, compreso il Quo vadis?

      Ma la sorella non badava a lei.

      – … Gli italiani? Tante pecore gli italiani. Ecco che cosa siete! Ed ecco anche come si spiega il fenomeno di questo stupido Quo vadis?

      – Gl’italiani? Ma tu che cosa sei? – chiese Anna dispettosa, agitando le mani piene d’anellini falsi.

      – … No, – proseguiva Maria, rivolta ad Antonio, – io non leggerò mai un libro, che tutti leggono solo perché qualcuno ha detto che è bello. Ammetto anche che sia bello davvero, ma io non lo leggo appunto perché è passato attraverso l’ammirazione di una turba cretina che lo ha profanato…

      Mentre ella parlava, Antonio non le staccava gli occhi dal viso. Egli provava una specie di brivido interno; sentiva un’onda di parole salirgli alle labbra, ma, come spesso gli succedeva, non riusciva a pronunziarne una. Il mento gli tremava lievemente. E Maria, accorgendosi benissimo che egli non riusciva ad esprimersi, s’irritò e cominciò a battere nervosamente l’estremità del manico d’un coltello sulla saliera colma.

      – Eppure io so che tu hai voglia di leggere il Quo vadis? – disse Marina, la sorella maggiore – e tu dovresti leggerlo perché te lo ha regalato Antonio.

      – Sicuro… – approvò la madre premurosa.

      – Io non ammetto i regali…

      – Ma tu leggi il volumetto dei Salmi, che ti ha regalato l’organista – disse Anna.

      Maria non batté palpebra, ma un segreto impeto di collera l’assalì, contro le sorelle, contro la madre che si stuzzicava i denti, e sopratutto contro Antonio che taceva.

      – Che cosa sono i regali? – riprese dominandosi. – Convenzionalità, o, peggio ancora, prestiti ad usura, che si devono restituire a un dato tempo. Questo non entra nella questione. Io, dici tu, ho voglia di leggere il Quo vadis? E va bene; ma appunto perché ne ho voglia non lo leggo. Che cosa è il desiderio? Un moto incosciente, un istinto: basta esaminarlo per farlo cessare.

      – Ma dal momento che tu hai voglia, vuol dire che non hai esaminato ancora il tuo desiderio – disse finalmente Antonio.

      – Oh, ecco il sofista! Ma io sono cosciente anche quando sono incosciente: ho ancora la coscienza della mia incoscienza.

      – Tu sei mostruosamente sottile, – riprese Antonio un po’ ironico, – ma non rispondi mai a tono.

      – E che cosa è il rispondere? – ella chiese, guardandolo fisso con gli occhioni grigi socchiusi, quegli occhi un po’ misteriosi, canzonatori e ingenui e severi ad un tempo che talvolta gli incutevano paura.

      – E la posa che cosa è? – disse Marina ridendo.

      – La posa è la virtù delle persone insufficienti, come te… ed altre!

      – Meglio insufficienti che anormali – disse Marina.

      – Si è più felici – aggiunse lentamente e un po’ tristemente il giovine.

      – Che cosa è la felicità? Voi, gente normale, non sapete neppure definirla; ne parlate come parlate di Quo vadis? e di tante altre cose, ma non sapete quel che vi dite. Io sarò squilibrata, come voi dite…

      – Chi lo dice? – gridò Antonio.

      – Tu lo dici.

      – Non solo, ma anche matta! – aggiunse Marina.

      – Anche matta, benissimo. Ma tu che chiami matta una matta che cosa sei?

      – Io dico la verità…

      – Allora sei capace di dire cieco ad un cieco, per insultarlo. Ecco che cosa siete voi, i normali, i sani, gli incoscienti, che leggete Quo vadis? perché lo han letto due milioni di persone, e leggete la Famiglia Polanieski perché è dello stesso autore.

      – Tu pure leggi la Famiglia Polanieski! – disse Anna trionfante.

      – Ma ho forse letto Quo vadis? E leggo la Famiglia Polanieski anzitutto perché l’ho comperato io, poi perché appunto non ho letto Quo vadis? Del resto non mi piace. È la solita storia d’amore: moralità immorale. Mi piace solo un personaggio: Bukaski.

      – Perché ti rassomiglia.

      – Scusa, io non sono né tisica, né brutta. Io sono rosea ed ho un bel profilo – diss’ella con vezzo infantile e con fine civetteria, passandosi un dito sul naso. – Io sono sana e bella. Sono bella o no, Antonio?

      Egli la guardò e sorrise.

      – Sì – disse dopo un momento.

      E la madre e le sorelle di Maria non protestarono, perché erano abituate alle piccole stranezze di lei. D’altronde ella era veramente bella, coi capelli chiari rialzati sulla fronte lucente, e gli occhi lunghi, luminosi: la camicetta rossa, col colletto bianco da uomo, dava un riflesso roseo alle guancie infantili ed a tutto il volto abilmente incipriato.

      – Bella, ed anche modesta! – osservò soltanto la piccola Anna, che s’era messa a leggere un giornale e pareva non ascoltasse.

      – Ma! – esclamò Maria. – Vuoi andare a letto, tu, piccola pettegola? Va, va a letto, e pensa che la modestia è una parola.

      – Oh, Dio! – gridò Anna, fingendo di non aver udito. – Leggi, Marina mia, leggi che bel vestito aveva la regina: eliotropio con pizzi gialli. Come doveva esser bella! Cara!

      – … Diceva quel secentista che la parola è il manico delle cose, – rispose Antonio, rivolto a Maria, – anche la bellezza, come la modestia, è una parola… Questo non impedisce…

      – Di preferire la bellezza alla bruttezza – disse Maria, ma subito si pentì, perché Antonio era brutto. Egli però parve non offendersi; solo una vaga tristezza passò nei suoi occhi.

      – Io credo la bellezza, riflesso della bontà – disse con voce grave. – Le cose e le persone belle non possono esser cattive anche se vogliono parerlo…

      Si guardarono: ella si compiacque delle parole di lui, egli si sentì felice d’aver detto qualche cosa di grazioso. Vedendoli bene avviati, anzi completamente rappacificati, la signora si alzò e condusse via Anna: Marina si mise a leggere il giornale.

      – Del resto tu forse hai ragione, – disse Azar, – il Quo vadis? non è poi quel libro meraviglioso che tutti vogliono. Vedrai che la critica insorgerà e lo demolirà, se non altro perché diventerà popolare come i Reali di Francia. Io, almeno, mi aspettavo qualche cosa di più: avevo letto che Nerone ci appariva


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