Il bacio della contessa Savina. Caccianiga Antonio

Il bacio della contessa Savina - Caccianiga Antonio


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parlargli, eccolo qui.

      In quel momento vidi un uomo ben tarchiato che veniva verso di noi, con un cappello a larghe falde, una giubba di fustagno e calzoni simili che entravano negli stivali. Mi venne incontro con faccia aperta dicendomi:

      – Di chi domanda?

      – Del signor Nicola Bruni.

      – Sono io… Venga avanti.

      – Io sono Daniele Carletti, nipote di Monsignor Giusep…

      Non mi lasciò finire, ma gettandomi le braccia al collo mi baciò sulle due gote, colla più cordiale espansione.

      – Bravo per Dio!.. Caro signor Daniele… benissimo; venga avanti, e si accomodi… ma non sarà solo forse?

      – No, signore, sono in compagnia del mio cane.

      – Ma vengano avanti tutti due… ma dov'è il bagaglio?.. La vettura, il cavallo? – Martino, su via, presto, corri ad aprire il cancello del cortile, fa entrare la vettura che ha condotto il signore… animo, corri…

      Non era possibile interromperlo, e Martino era già corso ad aprire, quando ho potuto dirgli ch'ero venuto a piedi, spiegandogli il motivo.

      – Oh per Bacco!.. quale fatalità! Se mi avesse scritto, avrei mandato a prenderlo coi nostri cavalli. Io pure, veda, non posso soffrire le diligenze.

      Lo assicurai che mi ero divertito moltissimo, e che quel viaggio era stato per me un sommo piacere.

      – Benissimo… Benissimo… bravo da senno. – Andò poi a' piedi della scala e gridò a piena gola: – Giovanna… Agata… Marta… venite subito abbasso, ma presto.

      Eravamo entrati in un salotto terreno. Bitto s'era accovacciato in un angolo, e ansava colla lingua pendente. Il signor Nicola mi fece sedere sul canapè, e incominciò a chiedermi notizie della salute dello zio, e degli effetti provati dopo la cura dei bagni. Quando entrò la signora Giovanna seguita dall'Agata, egli si alzò per le presentazioni, e mi disse:

      – Mia moglie… mia figlia… – poi rivolto a loro, – il signor Daniele Carletti, nipote di monsignor Canonico, e futuro maestro del nostro villaggio.

      Io feci le mie riverenze, e le signore i soliti complimenti; e sedemmo tutti in circolo a parlare di mille cose.

      Il signor Nicola aperse la finestra che guardava sul cortile, e chiamò:

      – Martino?

      – Eccolo… – rispose il domestico avvicinandosi.

      – Che cosa fai?

      – Ho aperto il cancello.

      – E non hai veduto che non ci sono vetture?

      – Ho veduto.

      – Ebbene, ora che fai?

      – Aspetto la vettura…

      – Come?.. Vuoi che le vetture che conducono i viaggiatori arrivino dopo di loro?.. Chiudi il cancello… chiama la Menica… accendi il fuoco… corri… imbecille!..

      – Sì, signore!..

      Il signor Nicola chiuse la finestra e mi disse:

      – Caro signor Daniele, non dovete giudicare il paese dal campione che vedeste. Abbiamo una popolazione intelligente e laboriosa, il mio domestico è un asino, ma non ne ho trovati di migliori. I nostri montanari sono pronti e svegliati, ma preferiscono la vita avventurosa dell'emigrazione alle cure servili ed alle meschine risorse del villaggio. Tutti gli uomini validi se ne vanno a cercar fortuna, la coscrizione porta via la gioventù, e non ci restano che gl'imbecilli per farci servire. Non si trovano più buoni domestici!..

      La signora Giovanna alzava gli occhi al cielo, confermando coi moti del capo e delle spalle le asserzioni di suo marito; la signora Agata rideva.

      Agata era una ragazza bionda cogli occhi chiari, ma per me una bionda non era una donna, od era una donna incompleta ed incolore. Avevo sempre presente come unico modello di bellezza femminea la contessa Savina, co' suoi capelli neri, cogli occhi e i sopraccigli corvini. L'Agata non poteva piacermi, e per giunta era vestita come una bambola di Norimberga, senza grazia nè moda, e non poteva reggere al confronto delle signorine eleganti di Milano, alle quali erano avvezzi i miei occhi.

      Essendosi fatta notte, la vecchia Menica venne a deporre sul tavolo un'antica lucerna d'ottone che mandava una luce rossastra, ed avendo fatto cenno alla padrona, questa la seguì accompagnata da sua figlia. Bitto uscì egli pure dalla stanza, attirato forse dall'odore della cucina, ed io rimasi solo col signor Nicola, che mi mise al corrente di quanto poteva interessarmi.

      Il signor Nicola Bruni, antico amico di mio zio, che desso pure era oriundo di Valtellina, era diventato da tanti anni l'amministratore onorario del piccolo patrimonio del Canonico, consistente nella casetta appigionata al maestro, con poca terra annessa, e l'aggiunta d'un altro ettaro di terreno diviso in sei appezzamenti sparsi per la montagna. Pagate le imposte e gli ordinari ristauri della casa, la terra rendeva circa l'uno e mezzo per cento del suo valore. Per altro quell'ettaro di terra così frazionato si sarebbe venduto senza la casa, un quattordici o quindicimila lire sonanti, tanto si apprezza in quelle montagne il diritto di proprietà. La terra era data a mezzeria, e produceva castagne, patate, legna, fieno, fagioli, e un po' di vino. Potevo calcolare in media sopra una rendita di circa dugento lire l'anno. Lo stipendio al maestro essendo fissato a lire settecento, e non mancando gl'incerti, consistenti nei regali dei parenti degli scolari, e qualche gratificazione comunale, poteva contare sopra una rendita fissa di novecento lire annue, e l'abitazione gratuita.

      – Da vivere onestamente… – conchiuse il signor Nicola.

      Io pensava in quel punto ai milioni di casa Brisnago, ed alla mia intenzione di ritornare una volta o l'altra a Milano a rinnovare il tentativo del bacio. Intanto col mio ingegno doveva studiare il modo di pareggiare la differenza fra le mie rendite e quelle della contessa Savina!.. ma ero innamorato stracotto e la parola impossibile non si trova nel dizionario degli innamorati. E poi avevo sul telaio il mio Lucchino Visconti, e nessuno poteva indovinare ove mi avrebbe condotto una tragedia.

      – La casa, – continuò il signor Nicola dopo una breve pausa, – la casa ha bisogno di qualche ristauro, ma l'annata è stata buona, ed io ho fatto dei risparmi che il vostro buon zio mi ha autorizzato di spendere per mettere in assetto conveniente la vostra dimora.

      – Non basta, – io soggiunsi, – tengo anche un gruzzoletto d'oro che il povero vecchio mi ha consegnato al momento della partenza, per il viaggio, i primi bisogni e gli arredi di casa.

      – Allora siete un signore addirittura, – disse il signor Nicola, – e con un po' di economia e di giudizio, in queste montagne si vive da papi. Tutto sta nel non avere delle idee superiori alle forze, contentarsi del proprio stato, non aspirare a quelle grandezze che non si possono raggiungere…

      Voltai la testa, tirai fuori il fazzoletto, e mi soffiai il naso tanto da nascondere la mia confusione; perchè mi pareva proprio che il signor Nicola mi leggesse i pensieri sul viso. Per buona fortuna entrò la Menica, che si mise a distendere sulla tavola una bianca tovaglia di bucato, poi distribuì i tovagliuoli, i piatti, le posate, e apparecchiò in ordine ogni cosa. Il signor Nicola tirò fuori da un armadio parecchie bottiglie, dicendomi:

      – Ecco il vino di Sassella, onore della nostra Valtellina; ed assaggerete anche degli altri vini dei nostri monti che non sono privi di merito.

      Poco dopo entrarono le signore portando ciascheduna qualche cosa. Osservai che Bitto, il quale non aveva idee preventive riguardo alle donne, seguiva la signora Agata con qualche dimostrazione di simpatia, ed essendomi venuto vicino continuava ad osservare i movimenti di lei, poi mi guardava in un certo modo che pareva volesse dire:

      – Sta attento, se hai fame, questa è una buona ragazza; e si leccava i baffi.

      Finalmente la Menica venne a portare in mezzo alla tavola una famosa zuppa di polli, fumante, che spandeva un odore appetitoso.

      Ci sedemmo tutti in circolo intorno la tavola: alla zuppa seguì un arrosto eccellente di beccaccie, del


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