Il bacio della contessa Savina. Caccianiga Antonio

Il bacio della contessa Savina - Caccianiga Antonio


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poesia della vita.

      L'Agata era troppo buona per aver l'intenzione di pungermi sul vivo, tuttavia ogni qual volta mi metteva al confronto cogli altri animali, io figurava sempre al di sotto della bestia… Non potevo sopportare in pace ogni attacco, nè dissimulare la mia stizza, ed essa, invece di mostrarsi dolente del mio dispetto, pareva si godesse. Alla fine, convinto dalle sue dimostrazioni che gli uomini hanno meno attitudine delle donne per mettere in ordine una casa, la pregai di volermi assistere come una buona sorella, incaricandosi di completare le mie disposizioni e di compiere l'opera che sembrava troppo superiore alla mia capacità. Avendo accettato cordialmente l'incarico col consenso dei genitori, le consegnai il denaro che restava disponibile facendole ampia procura di spenderlo secondo i suoi gusti e il suo giudizio. Due giorni dopo essa partì per Sondrio, accompagnata dal padre, per fare le spese necessarie, ed al suo ritorno venne spedito un carro a prendere gli oggetti acquistati che giunsero in buon ordine, certo a motivo che Martino non faceva parte della spedizione.

      Allora l'Agata accordò la Rosa al mio servizio, e volle stipulata una convenzione fra noi, cioè ch'io non entrassi più nella mia futura dimora fino a che l'opera non fosse compiuta. Così, mentre l'Agata e la Rosa, accompagnate dal signor Nicola, dalla signora Giovanna e da Martino, andavano a lavorare a mio vantaggio, e si affaticavano a mettere a posto ogni cosa, io non aveva altro incarico che di passeggiare dalla parte opposta del paese col sigaro in bocca, come un vero sibarita.

      In pochi giorni tutto fu messo in assetto, e finalmente ottenni il permesso di visitare la casa. La trovai trasformata, e ne rimasi sbalordito. Essa respirava una modesta agiatezza, piena d'attrattive. Si vedeva dappertutto la mano della donna, si sentiva la sua influenza e il suo intento. Ogni stanza aveva le sue tende, i mobili opportuni, puliti, e collocati a dovere. Al pianterreno un allegro salottino, con un bel tappeto davanti al canapè, un tavolo rotondo nel mezzo; uno studiolo colla stufa, e gli scaffali pei libri, un tinello colla sua credenza a invetriate ove si vedevano le stoviglie, le tazze, i cristalli che brillavano per nitidezza; ed una cucina ben fornita di pentole e pentolini, casseruole e girarrosto. Sugli scaffali si vedevano tutti gli oggetti destinati agli usi domestici, ch'io aveva dimenticati, dal macinino del caffè allo scaldaletto, dalle caffettiere alle lucerne, dai piatti alle scodelle. Davanti al focolare due alti seggioloni a bracciuoli invitavano a sedersi al fuoco. La catena e gli alari lucenti stavano al loro posto. Dopo la cucina si entrava in una piccola dispensa collocata a settentrione, fresca e ventilata per conservare le carni, poi c'era un magazzino ad uso di legnaia e cantina, provveduto dell'occorrente.

      Al primo piano due belle stanze da letto, una per me, un'altra a disposizione dello zio quando volesse arrestarsi andando ai bagni di Bormio. Una stanzuccia per la Rosa, un'altra ad uso di guardaroba, un'altra ancora disponibile e vuota.

      Tutte le stanze avevano l'occorrente, ma quello che mi colpì di più furono i quadretti appesi ai muri, e i vasi di fiori sui tavoli, e vari altri piccoli oggetti da collocare i sigari e i fiammiferi. Nel gabinetto da studio figuravano le più belle vedute di Milano, che mi arrestai a contemplare con uno stringimento di cuore. Il tinello aveva due bei panorami del lago di Como, e le pareti del salotto portavano i ritratti di alcuni fra i più grandi benefattori del genere umano.

      Sulla porta della cucina stava affisso il lunario, e un calendario dell'ortolano, nel quale si leggevano i lavori e le semine da farsi ogni mese.

      Quella buona ragazza così sensata e positiva, visti i miei piccoli mezzi, mi aveva dichiarato non occuparsi che del solo necessario; essa aveva dunque trovato necessario coprire la nudità delle pareti, riposare i miei sguardi sulle care memorie della patria, ricondurre il mio spirito di quando in quando per le vie della mia cara Milano, rammentando l'aspetto ridente della natura coi più bei siti contemplati sul lago, e richiamandomi alla mente le grandi virtù dagli uomini che onorano l'umanità.

      Di quella povera casa, così deserta, tacita, e nuda, essa aveva fatto una dimora piacevole, comoda, popolata di ricordi, eloquente d'insegnamenti, fornita di graziose opere d'arte, un rifugio tranquillo e sereno, che invitava alla pace ed allo studio.

      Commosso e riconoscente, non sapevo in qual modo dimostrarle la mia gratitudine. Essa aveva apparecchiato il nido al povero esule, s'era studiata di rendergli meno squallida la vita solitaria. Come una buona sorella aveva prodigate le cure più affettuose nell'allestimento d'ogni stanza, usando gli accorgimenti più delicati, le previsioni più sottili. Io andava pensando a qualche regaluccio che le provasse la mia piena soddisfazione, ma mi trovavo nell'impossibilità di poter acquistare un oggetto qualunque al villaggio.

      Mi si presentò il pensiero di offrirle la medaglia di mia madre.

      Era quanto io possedessi di più prezioso, e vi tenevo tanto che dapprima respinsi tale idea come una tentazione. Non sapevo risolvermi a privarmi di quella santa memoria; respingevo il progetto, e lo riprendevo esitante e sconvolto da mille diversi pensieri, quando la Rosa venne a dirmi che l'Agata mi attendeva ansiosa di conoscere l'effetto prodotto dalle sue disposizioni.

      Dovetti risolvermi a partire colla medaglia o colle mani vuote; o quella o niente!.. In tale dolorosa alternativa, piuttosto di passare per un ingrato ho preferito lacerarmi le fibre del cuore, presi la medaglia deciso e rassegnato al dolore di privarmi dell'ultimo residuo della famiglia, dell'unico segno che mi rammentasse mia madre, e corsi a casa Bruni.

      L'Agata era nel suo giardinetto aspettando il mio ritorno, quando io le comparvi dinanzi tutto sconvolto dall'interna lotta delle mie sensazioni. Vedendomi ne rimase confusa, temendo di non avere incontrato il mio gradimento. La rassicurai piuttosto coi gesti che colle parole, perchè mi mancava la voce. Poi le presentai la medaglia dicendole:

      – Questo è l'oggetto più prezioso che posseggo, è l'unico ricordo che mi rimane della mia povera madre; vogliate accettarlo come un pegno della mia viva riconoscenza.

      Fece un moto di sorpresa e rifiutò: una grossa lagrima scese sulle sue guancie, indi mi rispose:

      – La vostra soddisfazione mi ricompensa largamente del poco che ho fatto. L'allestimento della casetta è stato per me un vero divertimento, il dono che vorreste farmi mi prova che sono riuscita al di là delle mie speranze, io ne sono contentissima e non desidero altro.

      – Non rifiutate, vi supplico, di accettare questo piccolo segno della mia gratitudine.

      – Ma nemmeno per sogno, caro Daniele, io sarei ben crudele se vi privassi d'una tale santa memoria!

      – Eppure, Agata, sento dentro di me una ispirazione che mi spinge ad insistere, sento come la voce di mia madre che mi ordina di mettere questa medaglia nelle vostre mani, come un sacro deposito… rifiuterete la preghiera di una povera madre morta?

      Allora, vedendomi umiliato e dolente della sua esitanza, stese la mano dicendomi:

      – Come semplice deposito l'accetto. – Prese la medaglia, la guardò attentamente, le diede un bacio, se la pose in seno, ed aggiunse: – Essa mi darà il diritto di trattarvi come fratello… fin che saremo vicini.

      – Mia madre vi ascolta a vi benedirà, – risposi.

      Le baciai la mano con affetto fraterno, mi ritirai nella mia stanza, perchè sentivo bisogno di trovarmi solo, per piangere in libertà.

      VII

      Il giorno seguente presi possesso della mia nuova dimora, dopo di aver dimostrato come seppi meglio tutta la profonda riconoscenza per la cordiale ospitalità ricevuta in quell'eccellente famiglia. La partenza da casa Bruni mi riuscì dolorosa come se vi avessi vissuto degli anni. Vi sono a questo mondo luoghi ai quali non ci avvezziamo nemmeno dopo una lunga dimora; ve ne sono altri nei quali si sta bene fin dal primo giorno, e che non si vorrebbero lasciare. Generalmente in questi si è destinati a passare rapidamente, e negli altri a consumare la vita! ecco il nostro destino!

      Pregai quei buoni signori di continuarmi la loro amicizia.

      – Nulla è cambiato, – mi rispose il signor Nicola, – avete due case invece d'una sola, ecco tutto!..

      Volevo baciargli la mano, ed egli si è rifiutato, dandomi due grossi baci sul volto. Mi accompagnarono fino alla porta della loro casa, mi strinsero le mani affettuosamente. Martino portava il mio sacco da notte, le signore mi dicevano:

      – A


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