Il bacio della contessa Savina. Caccianiga Antonio
malcontento di mio zio era evidente, e d'altronde l'obbligo di lasciare Milano mi sembrava che corrispondesse ad una sentenza di morte. Tuttavia per rinunciare ad un impiego, con l'aggiunta di eccezionali vantaggi, ci volevano delle ragioni importanti. Diventava inevitabile la necessità di manifestare il vero motivo che metteva ostacolo alla mia riconoscenza per questo nuovo benefizio offerto con tanta cordialità. E mi parve che l'amore irresistibile che accendeva il mio cuore dovesse giustificare pienamente la mia condotta, e spiegare la fede che animava i miei lavori letterari, i soli che potessero aprirmi la strada della fortuna. Pensai dunque che fosse giunto il momento d'aprire sinceramente il cuore a chi mi teneva luogo di padre, pensai che la mia ingenua confessione l'avrebbe commosso e convinto, e che avrei trovato nel suo cuore generoso un consiglio e un aiuto. Deciso a tale rivelazione, ruppi il silenzio colle seguenti parole:
– Zio!.. la mia gratitudine per tutte le bontà che mi ha prodigato avrà fine colla vita… Ma io non posso lasciare Milano; la mia partenza è impossibile. Un vincolo superiore alla volontà decide del mio destino!.. Io non sono più padrone di me stesso!..
Il povero canonico cogli occhi spalancati dalla sorpresa, colla bocca semichiusa, mi fissava in volto attentamente senza pronunziare parola, ma il suo sguardo doloroso e severo m'interrogava con ansiosa inquietudine. Sentii la necessità di abbreviare le sue pene, e soggiunsi:
– Non tema nulla per la mia onestà, non ho commesso veruna azione malvagia, la coscienza non mi rimprovera alcuna colpa… ma io amo, amo teneramente una fanciulla, e tutte le mie aspirazioni tendono a meritarmi la sua affezione… abbia pietà del mio cuore…
Mio zio si alzò in piedi, e fece un giro per la stanza, come se volesse acquetare l'animo esagitato, prima di rispondermi. Io pure m'ero alzato da sedere, e diritto in un angolo della stanza, rivolto verso il mio giudice, colle mani giunte e con voce commossa, andavo ripetendo queste parole:
– Abbia pietà del mio cuore.
Dopo alcuni giri, egli mi si arrestò dirimpetto, esclamando con parole interrotte:
– Non me l'aspettavo… così presto!.. Ah gioventù, gioventù! che non sa mettere freno alle sue passioni, che si lascia trasportare facilmente in balìa del pericolo… che non diffida dei precipizii!.. mah!.. fragilità dell'umana natura!..
E continuava i suoi giri. Dopo qualche sospiro che parve sollevarlo da un peso, raddolcendo a poco a poco la voce, come un uomo rassegnato che ha preso una determinazione decisiva, soggiunse:
– Ebbene… pazienza!.. pazienza!.. vedremo di accomodare anche questa… Sei molto giovane… ma privo di famiglia… e talvolta una buona compagna può salvare un giovane da pericoli gravi… Iddio benedice le buone famiglie… e il mio desiderio è di vederti contento.
A tanta bontà caddi ginocchioni ai suoi piedi, io sentiva la riconoscenza fino all'entusiasmo, la vita mi sorrideva, presi le mani di mio zio e le ricopersi di baci, e vidi due grosse lagrime che scendevano sulle guance rugose del povero vecchio, commosso dalle mie dimostrazioni affettuose. Io mi sentiva rinascere.
Poi dopo breve sosta, guardandomi con occhio benevolo,
– Su via, – mi disse, – ora puoi completare la confessione, e dirmi senza altre ambagi il nome della tua innamorata!
Mi alzai, e sorrisi ingenuamente, ma esitavo a pronunziare il suo nome. Egli mi fece coraggio dicendomi:
– Su via, sbrigati… andiamo alla fine.
Allora io dissi balbettando:
– È la contessa Savina Brisnago…
Non mi è possibile descrivere l'effetto prodotto sullo zio dalle mie parole.
Dapprima rimase come istupidito dall'impreveduta sorpresa, poi diede in uno scroscio così impetuoso e violento di risa, che temetti per un istante che gli avesse dato di volta il cervello. Furono tre assalti successivi, così clamorosi, così sbardellati, e irresistibili, che lo facevano evidentemente soffrire, ma non poteva calmarsi. Si contorceva sopra una sedia, convulso; pareva che si calmasse un istante, soffiava e ansava, e poi già un altro assalto più sganasciato del primo, accompagnato da singhiozzi e da lagrime… una vera tortura.
Ritto, immobile, insensato, io era rimasto al mio posto, e un brivido mi percorreva le membra, come se mi fosse caduta addosso una doccia d'acqua gelata.
– Mio Dio!.. non ne posso più… – furono le prime parole di mio zio… poi il pover'uomo mi domandava scusa, voleva riprendere la sua serietà, ma ricadeva nelle risa. Dopo una lunga vicenda di soste e di ricadute, finalmente giunse a calmarsi intieramente, e mi disse:
– Vedi, Daniele, non è per offenderti, ma la tua ingenua rivelazione mi riuscì così impreveduta, così strana, così esorbitante, che ne rimasi colpito, e poi una convulsione irresistibile mi assalì con tale violenza, che credevo morire. Che vuoi?.. se tu fossi uno sciocco, non mi sarei sorpreso di nulla, ma colla tua intelligenza, col tuo buon senso, colla tua modestia e moderazione in ogni cosa, vederti così tranquillamente annunziarmi il nome della contessa Savina come la cosa più naturale del mondo… ne sono rimasto colpito… e mi hai fatto terribilmente soffrire… Ora che è passata, ti prego di dirmi, come mai ti è entrata in testa una simile dabbenaggine!.. Tu non ignori certamente il numero di milioni attribuiti alla famiglia Brisnago?..
– Non ci ho mai pensato…
– Non hai mai veduto i dodici cavalli delle scuderie, il lusso degli equipaggi, lo sfarzo signorile della casa, i numerosi domestici…
– Ho veduto… e non ho veduto… ho veduto materialmente cogli occhi, ma non ci ho mai arrestato il pensiero. Non ho mai pensato nè all'ineguaglianza sociale che ci divide… nè alla mia miseria… nè alla loro opulenza… ho amato! ho adorato con entusiasmo… ecco tutto!
Allora raccontai distesamente a mio zio i più minuti particolari della mia cieca passione, gli sguardi modesti di lei, ma perseveranti che mi colpirono, tutti gli atti che interpretai in mio vantaggio ed agitarono il mio cuore, l'evidente gelosia dei fiori appassiti, il mazzetto raccolto in giardino, la mestizia manifestata la vigilia della partenza, l'addio misterioso della sera… la mia disperazione… e le mie speranze.
Egli mi ascoltò con profonda attenzione, e poi mi disse:
– Pur troppo nei giovani l'amore nasce da un nonnulla, vive di tutto, e non ragiona mai. Le fanciulle hanno l'istinto innato di farsi ammirare. Si fanno belle, vogliono piacere a tutti indistintamente, e credono che uno sguardo non dica nulla; poi, quando travedono d'aver colpito, provano una soddisfazione che le spinge a rinnovare la prova e ignorando le conseguenze della replica, a poco a poco si avanzano con leggerezza nella via pericolosa spinte da sentimenti diversi di simpatia, d'ambizione, di riconoscenza; animate al giuoco fatale dalla voluttà del mistero… In vero non cercano altri trofei che quelli dell'orgoglio soddisfatto, e per ottenerli slanciano delle freccie; queste possono colpire gravemente, ma i feriti non hanno altro vantaggio che di passare all'ambulanza, e soffrirne con rassegnazione i dolori, mentre un eroe predestinato dalla sorte trionfa senza aver combattuto. Talvolta avviene che qualche audace assalitrice rimane vittima della propria imprudenza, ed allora porta per tutta la vita la cicatrice d'una ferita ricevuta scherzando nei ludi giovanili. Per questo il candore dell'anima è tanto raro e prezioso, e la prudenza è una delle prime virtù che le madri dovrebbero insegnare alle fanciulle. Tu sei rimasto vittima, povero Daniele, d'uno di questi filtri sociali tanto diffusi, e tanto pericolosi, dai quali si guarisce però colla ragione e col tempo. Ma quando si rimane feriti sul campo di battaglia, bisogna ritirarsi, per evitare inutilmente nuovi pericoli. Questa tua disgrazia aggiunge nuovi e più forti argomenti alla tua partenza. Non tarderai molto, io spero, ad aprire gli occhi; intanto ritirati tranquillamente, riposa il tuo spirito, richiama il senso comune al suo ufficio… un altro giorno parleremo con calma del resto.
Uscii dallo studio di mio zio vergognoso e confuso della triste figura che avevo fatto; e non avendo più forza da sostenere una seconda diatriba, non dissi una parola sulle mie speranze letterarie; il modo col quale era stato accolto il mio amore non m'incoraggiava a parlare della gloria con un canonico che non poteva conoscere nè una cosa, nè l'altra.
Ritirato nella mia stanza, mi gettai sul canapè, piansi dirottamente,