Ahi, Giacometta, la tua ghirlandella!. Beltramelli Antonio
certo si era che una precoce fioritura lo constellava di un mite candore. Giacometta mi mostrò un sedile. Disse:
– Sediamo qui, Franzi.
Io sentivo che la mia timidezza andava dileguando e lasciava posto ad alcunchè che non le assomigliava troppo. Ma il tuo tepore, il tuo profumo, tutta quanta la tua bellezza, Giacometta mia, erano cose troppo assassine, ed anche un buon giovane morigerato, come io mi ero, ha le sue improvvise prodigalità.
Ella mi sedeva accosto accosto perchè la panchina non era fatta che per una persona e mezzo; tanto accosto mi sedeva, da potersi dire ch'io la sentivo aderire a me, dalle spalle alle ginocchia; e certe aderenze non lasciano il tempo che trovano. Però forte era la mia costumatezza ed io cercavo, con disinvoltura, di allungare un poco la giacchettina striminzita che pareva volesse partire verso il torace per una gita di piacere.
– State attento, Franzi. Ora vedrete che cosa accadrà.
Io lo sentivo già che cosa stava accadendo e mi turbavo ed avevo la faccia accesa come certi tramonti violentissimi in cui ti domandi se il sole non si sia per caso svenato.
Ma alzai gli occhi e vidi due gatti l'uno di fronte all'altro, proprio sullo scrimolo del muro. Uno era rosso di pelo e riconobbi Salsiccia.
– Sta a vedere – pensai – che Salsiccia mi combina uno scandalo sotto agli occhi di Giacometta!
E Salsiccia mi combinò uno scandalo.
Ma mentre io cercavo di portar gli occhi altrove, Giacometta mostrava il maggiore interesse per la scena fisiologica che continua dal giorno in cui Iddio disse: Sia fatta la luce!
Poi Giacometta parlò:
– Io, un giorno, qui, in circostanze che forse vi racconterò, vorrò tessere una ghirlandella di quei gelsomini! Può darsi che la cosa vi interessi.
Le risposi:
– Giacometta, non vorrei passasse il tempo della fioritura. Questi gelsomini fan tanto presto a sfiorire!..
Sorrise e mi parve si turbasse; ed anche mi parve aderisse un poco più a me. E mi dicevo: – Baciala!.. – ma avevo il mio malnato dèmone che mi teneva inchiodato al mio posto, irrigidito, al mio posto come il più funebre palo che sia mai stato in una funebre terra.
Ella ad un tratto scattò in piedi rabbuiata e disse: – Andiamo via!.. – con lo stesso tono che avrebbe usato per dire: – Imbecille!.. – E andammo via. Ella un passo avanti, io un passo indietro, finchè non tramutò d'improvviso e non scoppiò in una grande risata:
– Ah, Franzi… Franzi… Franzi!..
– Perchè ridete?
– Di niente. Mi è passata per il capo un'idea bizzarra.
– Si può sapere?
– No. Non ne vale la pena.
Poi mi prese sotto braccio e mi chiese un libro da leggere.
– Portatemi un vostro libro.
– Io non ho pubblicato che un opuscolo: I veli de la notte.
– E che cosa sono questi veli?
Trovai una facondia improvvisa che mi parve la travolgesse. Però quando più ero infervorato e credevo tenerla nel magico dominio del mio sogno, mi interruppe per chiedermi una sigaretta che naturalmente non avevo. E disse poi:
– Ma Franzi, voi siete disperatamente infelice!
Non mi rimase che risponderle:
– Avete ragione!
Ciò la riconciliò. Poco dopo eravamo alla presenza dei due vecchi zii.
IV
Meglio è credere a un onesto merlo anzichè a una leggiadra fanciulla.
Il signor Tomaso e il signor Antonio mi squadrarono dall'alto al basso e mi chiesero:
– Chi siete voi?
Io guardavo pietosamente Giacometta che si divertiva un mondo al mio imbarazzo e non mi decidevo ad aprir bocca per non saper che dire.
Il signor Tomaso era un uomo alto più di due metri e aveva il naso pieno di bitorzoli. Il signor Antonio, all'opposto, era piuttosto piccolo e calvo e grassotto. Entrambi portavano gli occhiali a stanghetta e vestivano una vasta cacciatora di fustagno.
E ricordo che il signor Tomaso teneva, sospeso al dito anulare della mano destra, una gabbia con un uccello che mi parve o un merlo o un tordo; ma non ebbi tempo di occuparmi del particolare.
Questi due zii erano molto antichi ed entrambi scapoli.
Continuando adunque il mio penoso silenzio, il signor Tomaso, lo zio Pertica, si fece innanzi e muovendo la gran bocca nera, fra rari ed ispidi peli bianchi, mi domandò:
– Ehi, giovanotto, non sapete dire dunque per quale ragione vi trovate qui?
Io vedevo Giacometta che si mordeva le labbra per non scoppiare a ridere e credo di esser stato in quel punto, sì per la mia naturale timidezza, come per la orripilante sorpresa, di esser stato più bianco della panna.
Continuando il mio silenzio, il signor Antonio si rivolse a Giacometta e le chiese:
– Ma dove hai trovato questo signore?
– L'ho trovato in giardino – rispose Giacometta.
– E da qual parte è passato se Girolamo non ci ha annunciato neppure una visita?
La giovinetta fece una smorfia e rispose con palese indifferenza e tranquillità:
– Credo sia passato da una finestra.
– Da una finestra?.. – domandarono i due zii ad una voce e tanto l'uno quanto l'altro mi spalancarono addosso due smisurati occhi.
– Volete spiegarci questo enigma? – domandò il signor Antonio.
– Su, Franzi, parlate – fece Giacometta con adorabile semplicità.
Ma io non trovavo modo di spiccicar parola; tormentato fra mille dubbi; preso da un inverosimile timore ero nell'assoluta impossibilità di formulare alcunchè di concreto. E mi sosteneva inoltre l'ultima disperata speranza che Giacometta intervenisse.
Allora il signor Tomaso, continuando il silenzio, divenne aggressivo.
– Spero non ci vorrete far perdere maggior tempo – disse. – Su, che diavolo facevate con Giacometta?
– Che diavolo facevate? – soggiunse il signor Antonio.
– Ma, Franzi, siete davvero tanto timido?.. Quando io sono contenta potete parlare liberamente. Gli zii sono buoni e fanno quello che desidero!
Allora impallidii certamente anche nelle mie parti più celate. Di fronte a quale enigma mi poneva la mia sfinge improvvisa?
Dopo le parole di Giacometta i due anziani si guardaron negli occhi, poi lo zio Pertica domandò alla nipote:
– Dunque tu conosci questo signore?
– Eh, se lo conosco!
– E perchè non dircelo prima? – fece lo zio Antonio.
– Perchè è per lo meno strano che io debba parlare prima di lui.
– Ma allora, se lo conosci, saprai anche perchè è venuto – riprese lo zio Pertica.
– Certo che lo so! Anzi lo so benissimo! E parlerò. Siete contento Franzi?
Le avrei gettato le braccia al collo.
– Sì, Giacometta, ve ne prego!.. Parlate… Parlate subito!..
Che cosa avrebbe detto?.. Che cosa avrebbe detto mai?..
– Ebbene… il signor Franzi è venuto a chiedere la mia mano!..
Il primo impulso, il più forte, fu quello di gridare ai vecchi musi:
– No, non è vero!.. Non è vero!..
Ma tacqui, allibito,