Il Vero E Il Verosimile. Guido Pagliarino
di uno come te!"
"Schifoso! Schifoso!" aveva allora replicato secco, davanti a tutti, il principale, allontanandosi e battendo più volte fra loro le palme delle mani in segno di maggiore disprezzo.
Era stato in quell'occasione che il Fringuella aveva sibilato al giovane un'ambigua frase: "Lei aveva ragione, signor Seta, ma è passata dalla parte del torto con quell'urlo; e poi, dopotutto, è al cavaliere che la sua famiglia deve la propria posizione."
Sul momento Bruno aveva creduto che si fosse riferito alla nota promessa dâassociazione in ditta. Non aveva affatto immaginato che ben altro si nascondesse in quella frase. Solo qualche tempo dopo avrebbe capito che notizie bugiarde giravano tra la gente.
Intanto, era arrivata per l'economia italiana la congiuntura negativa.
Il giovane s'era consultato con suo padre: "Mi pare che la ditta stia perdendo colpi; ha molti, anzi troppi crediti da incassare da clienti morosi. C'è la possibilità di una crisi di liquidità , e coi costi fissi che la fabbrica deve sopportare, come i nuovi macchinari ancora in gran parte da pagare, c'è rischio grave."
Papà Seta gli aveva risposto tranquillamente: "Intanto, è ovvio che non farai nessun contratto con tuo zio, anche se lui, ma ne dubito, lo proponesse. Poi, ti consiglio di stare per qualche mese ancora a vedere come si conducono le cose; un po' di tempo in più non cambia niente. Potrebbe essere solo una crisi passeggera. Dopo due anni, buttar via tutto senza verificare sarebbe sbagliato."
Bruno non gli aveva detto che, per la verità , l'ambiente non gli piaceva e che avrebbe preferito svolgere la libera professione paterna, pur rinunciando alla prospettiva dâessere ricchissimo; oltretutto, a differenza di molti, se era vero che gradiva un qualche agio, per nulla si preoccupava di possedere tesori, e tanto meno avrebbe provato un piacere nel mostrarli.
Sentendosi inesperto, non aveva però voluto rischiare uno sbaglio e aveva respinto quell'impulso. Era stato invece un buon sentimento, ché è sempre assai arduo riuscire a guidare un'industria senza compromessi ed era prima di tutto la coscienza che per Bruno, allora come sempre, contava. Di più, s'egli se ne fosse andato, si sarebbe forse allontanato in tempo da certi malevoli occhi e da certe bocche che, sia pur in buona fede, avrebbero gonfiato, di lì a poco, una menzogna contro i Seta, e avrebbe evitato, forse, quel dispiacere grande che, là in fabbrica e nei suoi paraggi, lo stava attendendo in agguato.
La polvere per costruire montagne, mescolata alla superstizione del cavaliere, avrebbe dato all'azienda Pittò la spinta decisiva per la caduta.
Dall'inizio del terzo anno in fabbrica di Bruno, l'aggravamento della crisi economica aveva indotto il prozio a cercare nuovi e importanti ordini che sostituissero quelli di clienti ormai inaffidabili o falliti. Improvvisamente, s'era ricordato d'una persona conosciuta a suo tempo, un dirigente dâuno degli stabilimenti cinematografici romani, di proprietà pubblica. Anni prima, in crociera con la moglie sullâAndrea Doria nel viaggio inaugurale di quella bella, sfortunata motonave, il Pittò s'era trovato allo stesso tavolo con lui e signora, e c'era stata fra loro una cordiale compagnia che assomigliava a un'amicizia e con la promessa, non mantenuta, di ritrovarsi. Era poi successo, per caso, anni dopo, che i due uomini, passando le acque a Montecatini, si fossero riconosciuti e che il dirigente avesse confidato al cavaliere d'essere vanamente alla ricerca di nuovi materiali, forti leggeri e poco costosi, per la realizzazione di artificiali paesaggi e falsi edifici, soprattutto per quei film d'ambiente classico o mitologico che allora erano di moda; avrebbe dovuto essere una sostanza che consentisse, inoltre, un realismo superiore a quello della cartapesta.
"à la mia polvere!" aveva detto fra sé il cavaliere, ma non gliel'aveva riferito; infatti la sua ditta era allora piena di ordini da evadere e in arretrato con le consegne ai clienti.
Adesso, invece, una commessa pubblica da Roma sarebbe venuta a puntino.
Il problema era rintracciare la persona, in quanto l'industriale ne aveva perso l'indirizzo né sapeva con certezza di quale stabilimento fosse a capo; per di più, il nome del dirigente era comunissimo.
Il dottor Fringuella, che era noto in fabbrica per l'abilità di saper raggiungere, all'occorrenza, persone dei più diversi ambienti, s'era incaricato dell'indagine e, nemmeno quattro ore dopo, aveva consegnato al principale, di fronte a un meravigliato Bruno, tutti i dati richiesti.
"Ã in gamba, no?" s'era compiaciuto col nipote un sorridente cavaliere, non appena l'altro s'era allontanato.
Il giovane, non riuscendo a vincere la curiosità , gli aveva chiesto maggiori notizie sul dottore, concludendo: "à possibile che una persona tanto abile abbia accettato uno stipendio così modesto?"
"Come, modesto?!" s'era scherzosamente stupito, ridendo soddisfatto, il cavaliere. "Abbiamo fatto un buon colpo, no?" e gli aveva strizzato l'occhio sano. Poi, per meglio mostrare la propria bravura nel trovare gente a basso costo, lo zio aveva raccontato, ma facendo prima giurare a Bruno che non avrebbe mai riferito perché, nell'assumere l'uomo, l'industriale s'era impegnato a tacere: "â¦ma tu sei l'erede e hai diritto d'essere informato."
Bruno aveva così saputo che il Fringuella aveva commesso, ormai scontato, un delitto contro la Repubblica: Anni prima era stato un abile, solerte e temutissimo funzionario delle imposte, incorruttibile dal punto di vista pecuniario. Purtroppo per lui, il dottore era afflitto da irresistibile organico priapismo e, per maggiore sfortuna, era stato a un certo punto comandato a un incarico alquanto tentatore. Erano gli anni '50, quando ancora si tolleravano le case chiuse, cioè i bordelli, e lo Stato se ne faceva vergognoso super lenone con gabelle e imposte sopra quel meretricio: il compito assegnato al Fringuella era stato proprio il controllo fiscale di postriboli. Non potendo soddisfare a sufficienza, per via del magro stipendio, le sue quasi irresistibili voglie, e pensando forse, come s'era poi maldestramente difeso, di "non commettere un grossissimo male, non avendo toccato denaro", era infine venuto meno alla propria onestà e s'era accordato con tenutarie di bordelli: avrebbe alleggerito le loro personali posizioni fiscali se gli avessero consentito, senza spese e a suo esclusivo beneplacito, l'uso fuori orario dei servigi di quei locali. Disgraziatamente per lui, quando quelle case erano state finalmente vietate dalla legge Merlìn, una lettera anonima l'aveva denunciato; e alcune delle ex tenutarie, interrogate in Questura, avevano spifferato tutto. Così il dottore, scacciato dai pubblici uffici, era stato condannato a quattro anni di reclusione, tutti scontati. Uscito finalmente di galera e ormai cinquantenne, non aveva trovato nient'altro che l'impiego sottopagato nell'azienda Pittò.
"Era sui giornali: non li leggevi, allora?" aveva concluso lo zio.
Bruno ricordava quel caso, ma non l'aveva collegato al Fringuella. Il cavaliere l'aveva invece ben in memoria perché, in un lontano passato, il dottore, incaricato di controllare le denunce dei redditi di artigiani, gli era stato potente avversario faccia a faccia negli uffici delle imposte.
Era per la trascorsa professione, dunque, che il direttore amministrativo godeva di vaste conoscenze e, grazie ai suoi antichi colleghi, aveva saputo rintracciare in fretta quel dirigente romano.
Dopo abboccamenti telefonici, contatti epistolari e l'invio di campioni, s'era destato l'interesse della controparte, grazie pure all'opera d'un amico del Pittò e suo agente di commercio per la zona Lazio-Umbria. In un tempo straordinariamente breve, era venuto l'assenso alla stipula del contratto e l'imprenditore, con Bruno al seguito come segretario portaborse, era partito per Roma a concludere l'affare.
Come nelle abitudini del parsimonioso industriale, ma solo quando nessuno poteva saperlo, la spesa era stata contenuta: viaggio notturno in ferrovia in vagone-cuccette di seconda classe. All'arrivo però, preso per il braccio il nipote, lo zio l'aveva trainato, senza che lui ne comprendesse la ragione, nella carrozza adiacente, una vettura-letto, dalla quale, con una strizzatina d'occhio, l'aveva autorizzato a scendere. C'era, e finalmente Bruno aveva compreso, l'amico di Roma ad attenderli.
Questi s'era incaricato d'accompagnarli all'ufficio della controparte e aveva poi atteso con pazienza che il contratto fosse firmato; quindi, li aveva condotti all'aeroporto. Il cavaliere aveva infatti in programma di tornare in aereo, nonostante il maggior