Le Regole Del Paradiso. Joey Gianvincenzi

Le Regole Del Paradiso - Joey Gianvincenzi


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      * * *

      Si stava facendo notte.

      Presa da un senso di noia e considerato il fastidioso silenzio in cui era sommersa la casa, Jane approfittò della fine della punizione imposta dal padre per scendere e farsi una passeggiata. Decise di entrare nel parco e dirigersi verso il posto in cui aveva tentato di togliersi la vita. Quando giunse nello stesso fazzoletto di terra in cui aveva raccolto il coraggio necessario per far saettare la lama d’acciaio contro il suo polso, realizzò di sentirsi come un fantasma che visita luoghi a lui appartenuti, quand’era ancora in vita, quando ancora tutto era possibile. Chiuse un momento gli occhi come per richiamare alla mente, in ordine cronologico, tutte le immagini e le azioni eseguite quel giorno, un po’ come se avesse voluto analizzarne i punti salienti, i punti critici, i punti in cui qualcosa poteva andare diversamente e visse quella sensazione che, mentre teneva in mano l’arnese di suo padre, non l’aveva abbandonata un solo istante: la consapevolezza di poter incontrare, una volta suicidatasi, sua madre. Se quel piano avesse funzionato, non avrebbe avuto mai più l’opportunità di crescere, diventare una donna, abbracciare i suoi giorni migliori e quelli più difficili, avrebbe perso qualsiasi battaglia che la vita le avrebbe srotolato davanti, avrebbe rinunciato volontariamente a tutti i soli che sarebbero sorti per regalarle giornate felici; non avrebbe vissuto il tanto sognato e sperato amore che, come un’entità sfuggevole e timida, si nascondeva ai suoi occhi.

      Esiste una giustificazione al suicidio? Anche non trovando una risposta adeguata, né tanto meno oggettivamente accettabile a quel dubbio, cercò di valutare la motivazione che l’aveva spinta a tagliarsi le vene.

      Scosse la testa non riuscendo a cancellare domande e visioni: il sangue che zampillava fuori dal polso, la testa che cominciava a girare e… e poi? Sembrava che il resto fosse stato cancellato segretamente da qualcuno. Cos’era successo durante quel lasso di tempo? La dottoressa aveva detto che l’avevano trovata seduta sui gradini dell’ospedale.

      â€œCosa ci fai qui a quest’ora?” Jane si voltò all’improvviso spaventata.

      â€œNon dovresti girare da sola di notte. Potrebbe essere pericoloso”.

      Il cuore le cominciò a battere forte; si rese conto che per fuggire doveva passargli per forza davanti. Quello che fece però fu rimanere perfettamente muta e immobile davanti a lui.

      Il misterioso ragazzo la guardò. Aveva gli occhi di un marrone scuro quasi da sembrare neri. Gelarono completamente i suoi.

      Notando una strana espressione sul volto del giovane sconosciuto, la ragazza cercò di organizzare un piano di fuga valido ed efficiente, ma non c’erano molte possibilità di attuarlo. La sua paura più grande era di essere placcata non appena gli fosse sfrecciata accanto per andarsene.

      Guardando a terra, cercò comunque di camminare verso l’uscita a passo lento, come se non esistesse.

      â€œTe ne vai? Non voglio mica mangiarti”.

      Il suo era un tono sicuro. Era ancora contro quell’albero. Con le mani in tasca.

      Jane affrettò il passo e con la paura addosso riuscì a passare davanti al ragazzo senza essere placcata, né ostacolata in alcun modo. Con la coda dell’occhio vide però uno strano movimento di lui, come se con la schiena si fosse dato una spinta contro il tronco dell’albero per riacquistare la posizione naturale e camminare verso di lei.

      Questo bastò per far correre Jane all’impazzata verso l’uscita. Metteva un piede davanti all’altro a una velocità che non avrebbe mai scommesso di avere; stava gridando aiuto, ma il parco era praticamente deserto.

      Sentì alcuni rumori dietro di sé e cercò in ogni modo di accelerare ancora di più; una volta fuori virò a sinistra, attraversò la strada e sfrecciò verso casa a perdifiato.

      Nel giro di pochissimi minuti si ritrovò segregata in cameretta, con il fiato corto e la schiena sudata. Si tolse il giacchetto, lo lasciò cadere a terra e andò alla finestra.

      Sbirciò fuori, nei pressi del parco, ma non vide nessuno.

      * * *

      La mattina seguente decise di farsi una passeggiata.

      Anche se c’erano molti ragazzini che correvano all’impazzata, sarebbe stato ugualmente un momento perfetto per abbandonarsi a qualche passo all’aria aperta, non pensando a niente di particolarmente impegnativo o preoccupante.

      Per buona parte del tempo rimase seduta su una panchina al lato del parco e, quando si accorse che si era fatta ormai l’ora di pranzo, decise di andarsene, ma un attimo dopo si sentì chiamare.

      â€œEhi!”

      Si girò. Era lo stesso ragazzo che il giorno prima cercava la sua attenzione. Gli diede le spalle e camminò a passo svelto.

      â€œMa perché scappi quando mi vedi? Non voglio mica mangiarti!”

      Con la testa bassa e gli occhi che sembravano scannerizzare qualsiasi cosa ci fosse a terra, finse di non sentirlo. Si alzò di scatto.

      â€œDevo dirti una cosa. Aspetta!”

      Automaticamente, come se quelle parole fossero cariche di una magia a lei estranea, avvertì un misto di curiosità e prudenza a cui sapeva di non voler resistere; fece uno sforzo e irruppe ugualmente in casa. Appena entrata si affrettò ad andare alla finestra per spiarlo come l’ultima volta. Non c’era più.

      Si trattava del solito ragazzo in cerca di divertimento?

      Fin dal giorno prima si rimproverava per non riuscire a controllare e gestire alcune parti del suo carattere che, scagliate verso gli altri, soprattutto se sconosciuti, non le procuravano altro che figuracce distorcendo la sua immagine. Ritornando al momento in cui il ragazzo aveva dichiarato di avere qualcosa da dirle, si rese conto che la sua reazione, anche se prudente, aveva finito per essere esageratamente diffidente, sfiorando così quello che odiava: la maleducazione.

      Affacciata alla finestra per un altro quarto d’ora, lo intravide passeggiare con la testa abbassata, gli occhi spenti, ignorava tutti i bambini che gi sfrecciavano accanto. Senza contare il fatto che ce n’erano alcuni davvero impertinenti. Correvano proprio nella sua direzione e, se non fosse stato per lui che si spostava velocemente ogni volta, lo scontro sarebbe stato inevitabile; non ci fece caso più di tanto perché era presa dalle emozioni che le giravano in corpo. Perché quella strana paura che aveva di lui si era trasformata in curiosità? Decise di fare, una volta tanto, come le pareva. Senza la maledetta bestia che le ordinava o le vietava qualcosa. Quel ragazzo le aveva messo così tanta curiosità da creare un conflitto tra Jane e la sua timidezza a tal punto da far combattere, per la prima volta in vita sua, la ragazza contro se stessa.

      Diede un’ultima occhiata alla finestra e lo vide seduto su un’altalena. Scendendo sentiva di nuovo la paura iniziale. Era la prima volta che stava andando lei da un ragazzo. Non era mai successo ed era convinta che non sarebbe mai capitato. E invece quella volta era diverso. Si era stancata di essere prigioniera di se stessa e della vergogna e per una vita era stata ingiustamente la schiava di suo padre. Adesso basta. Con quella piccola follia, voleva andare contro ogni regola.

      Raggiunto il parco cercò di non dar troppa importanza al tremore delle gambe e si cimentò a raggiungerlo. Un po’ sorpresa di vedere sopra le altalene due ragazzini abbastanza in carne che cercavano di dondolare in avanti e indietro aiutandosi con le gambe, si chiese dove si fosse cacciato. Non riusciva a individuarlo. Girò per il parco per più di mezz’ora guardando in tutti gli angoli, ma niente. Era sparito. Jane decise di dare un’occhiata anche nel famigerato posto in cui aveva deciso di farla finita, ma lui sembrò essersi volatilizzato e così, inaspettatamente delusa, se ne andò.

      * * *

      Le aspettative riguardo


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