Le Regole Del Paradiso. Joey Gianvincenzi
âNon importa se scappi ogni volta che mi vediâ ripeté il ragazzo riuscendo a usare le stesse parole di un attimo prima, âla cosa che conta è che tu non venga per fare quello da cui ti ho tirata fuori lâultima voltaâ.
Jane sentì inumidirsi gli occhi, guardò quel giovane da una prospettiva nuova, riscoperta, più complessa sicuramente, ma anche più nuda, a un passo dalla verità , come quando una persona ci meraviglia con qualcosa che avremmo scommesso non sarebbe potuto uscire dalla sua bocca, o con unâazione che, ai nostri occhi inquinati dal pregiudizio, non avrebbe mai potuto appartenere a chi abbiamo prepotentemente avuto lâardire di giudicare.
âQuindi tuâ¦â
Il ragazzo si allontanò con qualche passo stanco dirigendosi verso lo scivolo più grande del parco giochi. Si sdraiò.
âHo soltanto fatto quello che mi sembrava più giusto fareâ.
Adesso che aveva realizzato a pieno il merito che quel ragazzo gestiva con evidente modestia, Jane gli attribuì una specie di significato invisibile a occhi esterni; vedeva solo lei la gratitudine spontanea con la quale lo aveva rivestito. Nei pochi giorni di convalescenza aveva avuto lâoccasione, a mente fredda, di analizzare in modo minuzioso quello che aveva fatto e quello che aveva rischiato fino a rendersi conto dâaver commesso un grave errore. Inaspettatamente, però, aveva scoperto chi le aveva permesso di rimediare allâerrore e, in quel momento, non poté far altro che osservarlo sdraiato sullo scivolo, con lo sguardo sparato tra le stelle.
Avvicinandosi, poté notare alcuni dettagli che, durante i minuti precedenti, attaccata da un senso di confusione e agitazione, erano abilmente sfuggiti alla sua attenzione: gli occhi profondi, il naso leggermente a punta, la bocca definita e carnosa, le orecchie minute e le marcate sopracciglia. Tutto questo disegnava un volto pulito e proporzionato al resto del corpo. Di colpo e senza motivo le vennero in mente dei compagni di classe: alcuni avevano teste enormi rispetto ai corpi gracili, alcuni lo strabismo di Venere, altri ancora avevano caratteristiche orribili, pessime espressioni, caratteri impossibili, voci rauche, occhi spenti. Guardare quel ragazzo fu come ricredersi sulla bellezza maschile, fu come lasciarsi andare e affermare tutto il suo fascino; non aveva di per sé particolari caratteristiche fisiche, ma era soprattutto il suo sguardo a disorientarla.
âTi devo tuttoâ disse lei, come se quella fosse la conclusione del ragionamento mentale a cui lui non aveva assistito.
âNon l'ho fatto per ricevere qualcosa in cambioâ rispose lui rimanendo sdraiato, con le mani intrecciate dietro la nuca.
âMi hai salvato la vitaâ.
âSe non lo avessi fatto io, lo avrebbe fatto qualcun altro, non credi?â
âNon fare il modesto, il punto in cui....â la voce si spezzò. Riprese subito dopo pochi secondi. âMi trovavo in un posto isolato. So per certo che non c'era nessuno perché avevo controllato in precedenza quindi se nonâ¦â
âNon fa più nienteâ disse lui rizzandosi a sedere. âL'importante è che sia andato tutto per il meglio, no?â Sorrise e, dopo un momento, si alzò in piedi.
âIl sangueâ¦â riprese Jane con tono interrogatorio. Voleva vederci più chiaro. Parlare con gli sconosciuti, specie se uomini, le metteva un senso di ansia non indifferente, ma lui sembrava lâunica eccezione possibile. Lâunica e la sola valida.
âIl sangue?â
âNon ti ha impressionato tutto il mio sangue? Non ti sei sporcato?â domandò velocemente.
âNon ce n'era tantissimoâ si difese lui.
âMa se ho perso i sensi!â sbottò Jane.
âTi sembra necessario ora discutere sul come e perché? Non sei contenta di essere viva?â
Quella domanda retorica placò la sua angoscia e ammise di aver esagerato. Che motivo c'era di farsi tante domande?
Non si fidava di lui?
Decise di non farne più, anche se sfiorò il pensiero di fargliene un'altra, l'ultima: perché lâaveva lasciata sul retro dellâospedale?
* * *
âIl cielo è pieno di stelleâ se ne uscì lui tenendo la testa buttata all'indietro.
Jane imitò la sua posizione e si accorse che effettivamente il cielo aveva milioni di punti luce addosso, come un meraviglioso tappeto incastonato di preziosi diamanti.
âBello, non trovi?â
âMoltoâ rispose lei. Lo guardava, ma ogni tanto chinava gli occhi in basso. Non avrebbe voluto sparargli tutte quelle domande insieme e a gran voce, come invece aveva fatto
âOgni volta che alzo gli occhi al cielo mi viene in mente la storia che mi raccontò mia madre, molti anni faâ disse lui continuando a tenere gli occhi fissi sulle stelle.
âSe ne hai voglia puoi raccontarmelaâ lo incoraggiò Jane. Si sedette sull'altalena.
âQuando mia zia morì in seguito a una brutta malattia, non riuscii a dormire più come prima. Era tutto per me e appena la persi mi dissi che la sua mancanza mi avrebbe tormentato per sempre; avrò avuto circa otto anni e mia madre, quando per l'ennesima volta venne svegliata dai miei lamenti notturni, mi preparò una tisana e mi chiese se avevo voglia di vedere mia ziaâ. Il ragazzo sorrise.
âChe faccia avrò fatto non lo so, mi ricordo solo che gridai un forte 'sì'. Lei mi prese la mano, si diresse verso la grande finestra dalla sala e indicò il cielo. Mi disse: 'La vedi quella stella laggiù? Non puoi sbagliarti, è la più luminosa'. Io la fissai incantato e annuii. 'Quella è zia. Adesso si è trasformata in una stella. Ogni volta che vorrai la potrai guardare e salutare con il pensiero. Zia non se ne andrà mai da lì'â.
Il ragazzo distolse lo sguardo da Jane per alzarlo di nuovo al cielo.
âNon dimenticherò mai l'ingenua felicità che provai. Sapevo che in qualsiasi posto fossi andato, sarebbe bastato alzare la testa un attimo per guardarla quanto volevo. Questa dolce bugia riuscì a farmi calmare e a farmi accettare meglio la sua morteâ.
Il sorriso che aveva tenuto per l'intera storia scomparve.
âà stata davvero molto delicata con i tuoi sentimentiâ osservò la ragazza.
âSì. Col passare degli anni ovviamente la bugia di mia madre non teneva più e di questo ho pianto. Avevo perso la fiducia in quella stella. Ho sempre apprezzato il suo gesto, ma alla fine lâho pagato molto caro. Un po' come quando scopri che l'amato Babbo Natale non esisteâ disse lui tornando a sorridere.
Anche Jane si addolcì. Lei in realtà non ci aveva mai creduto, ma questo non poteva dirglielo. Non poteva raccontargli, come aveva fatto lui, nemmeno un frammento della sua storia familiare. Gary, quando si avvicinava il fatidico giorno in cui si sarebbero dovuti scartare i regali, le ripeteva che doveva ringraziare il cielo di avere un tetto sopra la testa e il cibo tutti i giorni quando invece nel mondo c'erano tanti bambini che morivano di fame. La banale scusa serviva soltanto a farla sentire in colpa e a non farle desiderare nessun regalo; in questo modo non avrebbe speso un centesimo e tutti sarebbero stati più contenti, secondo il suo logico e perfetto ragionamento. Dopo svariati anni, Jane aveva perso del tutto la fiducia sia nella festa in sé, sia in un tentativo da parte del padre di cambiare atteggiamento e non per comprarle chissà cosa: bastava anche essere poco più gentili. Ma questo regalo, desiderato e gratuito, Gary non glielo aveva mai fatto.
âQuando guardo le stelle, però, una parte di me, la più nascosta, ancora è convinta che zia sia realmente quella stella. La più luminosa di tutteâ.