La famiglia Bonifazio. Caccianiga Antonio
l'altro, andiamo a vedere.
Il capitano s'impazientava, montava in collera, lo accusava d'essere un visionario, lo sgridava e lo consigliava a desistere dalle sue inquietudini, e l'obbligava a sedere in quiete, colle carte in mano.
Ma la partita era turbata dalle insistenti aspirazioni nasali del maestro, che continuava a dimenarsi sulla seggiola, e a mostrarsi pauroso del fuoco. Il capitano fremente lo tacciava d'uomo ostinato, fino alla cocciutaggine.
Ma quando il maestro partì fece spalancare tutte le finestre e le porte, affinchè uscisse ogni odore sospetto, e volle che Mosè tirasse fuori dalla stufa delle carte bruciate incompletamente, e che le riducesse in cenere, ma persisteva nel [pg!36] sostenere che non ci poteva essere nessun odore da fumo.
—Ma quel benedetto uomo, egli ripeteva, vuol mettere il suo naso da per tutto!
Mosè, come al solito, dava ragione al padrone, e vuotando la stufa delle carte bruciate, continuava a dire che non c'era il minimo odore di fumo.
Poi il capitano diede degli ordini precisi e segretissimi, per delle possibili contingenze. «Che il cancello del giardino sia sempre chiuso a chiave, anche di giorno, in modo che se qualche persona vi si presentasse per entrare, sia costretta ad aspettare che si vada a prender la chiave, da lui stesso tenuta in saccoccia. La porticina in fondo del brolo, che mette ai campi, sia sempre aperta di giorno e di notte.»
Il matrimonio che doveva aver luogo in novembre fu rimandato di comune accordo a tempo più opportuno.
C'era pericolo imminente da ogni parte. Furono prese infinite precauzioni per non entrare nelle trappole tese dai nemici, ma non tutti i sorci hanno gli accorgimenti necessari per evitare le insidie, e burlarsi degli insidiosi; molti furono accalappiati, ed era indispensabile di non muoversi, di non dar segno di vita, per non eccitare sospetti. [pg!37]
Il maestro che ignorava la dilazione del matrimonio aveva apparecchiato il suo bravo sonetto per le nozze dell'amico, nel quale non mancò di rammentare le prodezze guerriere dello sposo, e la bellezza della sposa (che non aveva mai veduta) per tirar fuori il solito paragone di Venere e Marte. Gli pareva di aver fatto un lavoretto abbastanza degno dell'occasione, e portò il manoscritto alla I. R. Censura per ottenere il permesso di stamparlo.
Non lo avesse mai fatto! il censore lo fece chiamare in ufficio, gli diede una solenne lavata di testa, e gli osservò:
—Anche senza badare all'indole sovversiva di tutto il sonetto non potrei lasciar passare alcune parole proibite, come Italia, patria, libertà; e poi che diavolo si è messo in mente di parlare di Buonaparte e di chiamare l'Italia una nazione? dove vede la nazione?... mi dica....
Il maestro tutto confuso gli rispose:
—Sono stato trascinato dalle rime: Marte Buonaparte; Napoleone-Nazione. Sapeva di far piacere allo sposo che fu soldato di Napoleone.
—Peggio che peggio! Ella ignora dunque che Napoleone Buonaparte fu nemico dell'Austria?...
—Fu genero del nostro venerato Sovrano, di Sua Maestà l'Imperatore!... [pg!38]
—Senta, le dò un consiglio da padre, lasci la politica agli uomini di Stato.... e a chi ha voglia di andare in prigione; e se vuol fare il poeta, quantunque io non ne veda la necessità, lasci stare i cavalli di battaglia, e salga al Parnaso col modesto ronzino che serve al suo pievano per andare alla congrega, e cavalchi tranquillamente nella pacifica Arcadia, che non ha mai fatto male a nessuno.
E così dicendo lacerò il sonetto incriminato, lo gettò nel cesto, e congedò il poeta con uno sguardo severo accompagnato da queste poche parole:
—Si tenga per avvertito!
Il maestro Zecchini uscì dall'ufficio di Censura annichilato.
Gli tremavano le gambe, si riteneva fortemente compromesso, vedeva già il commissario di polizia e gli sbirri che picchiavano alla sua porta, che lo perquisivano, lo arrestavano, lo conducevano in prigione.
Corse difilato dal capitano a confessargli la sua imprudenza, e a domandargli consiglio.
—Che cosa vi è passato per la mente? gli domandò il Bonifazio, in collera. Ignorate dunque che senza patria non si ha il diritto nè di scrivere, nè di pensare? Avete commesso una vigliaccheria degnandovi di sottomettere i vostri [pg!39] concetti alla censura, avete commesso una asinaggine gettandovi volontariamente in bocca al lupo. Non sapete che a Milano hanno soppresso il Conciliatore? che hanno chiuso le scuole di mutuo insegnamento?... Vi siete cacciato in un vespaio.... potreste essere arrestato.
—Ma io non ho fatto niente!...
—Appunto per questo siete in pericolo. Tutti quelli che furono arrestati in questi giorni non hanno fatto niente.... qualche leggerezza, qualche imprudenza, qualche fanciullaggine come la vostra; ma saranno condannati, perchè coloro che agiscono seriamente, sanno farlo colle dovute precauzioni, e l'Austria ne prenderà pochi. I generali muoiono raramente in battaglia, sono i semplici gregari che pagano per tutti. Ma pazienza che voi andiate in prigione, il peggio si è che compromettete gli amici con la pazzia dei sonetti, che non servono a niente. Non siete uomo da esporvi alle conseguenze d'un atto coraggioso, la vostra tempra frolla non vi permette di sfidare le crudeltà del dispotismo. Guai se vi manca ogni mattina il vostro caffè nero, e i calzerotti di lana l'inverno, il pancotto la sera, guai se vi togliessero l'aria e il sole dei campi, e vi chiudessero in un camerotto, colle balze agli stinchi per finire i giorni sul tavolaccio del carcere duro!... [pg!40]
Il povero Zecchini si coricò colla febbre, e battendo i denti andava borbottando la sua massima prediletta, come una giaculatoria in articulo mortis, e questa volta intendeva parlare di sè stesso, quando ripeteva con compunzione:—l'uomo è un asino, un asino, un asino!...
Gli volle molto tempo prima di ricuperare una discreta salute; e quando leggeva sulla Gazzetta di Venezia dei nuovi arresti, sentiva un brivido fra carne e pelle, gli pareva di vedersi in mezzo ai Carbonari, e se li figurava tutti neri, le vesti, il viso, e le mani, e faceva il più solenne giuramento di mai più esporsi a simili pericoli, e per evitare ogni occasione di compromettersi, non voleva più vedere nessuno, e non frequentava che una sola casa, quella del suo vicino, il capitano Bonifazio.
Intanto i processi di Milano e di Venezia continuavano le inchieste, e sempre nuove vittime cadevano in mano dell'Austria.
Il capitano Bonifazio e il colonnello Palanzo erano costretti di protrarre continuamente il matrimonio nell'interesse di Maddalena, perchè nè un fidanzato nè un padre potevano condannare una giovane sposa a vincolarsi per la vita con un uomo minacciato dalla prigione o dall'esilio. E attendevano silenziosi e cauti che fosse cessato [pg!41] il pericolo, cercando di giustificare il ritardo con facili pretesti, ammessi facilmente da chi non vedeva altri motivi.
Ma tutto non isfuggiva alla perspicace penetrazione delle donne; alcune parole colte a volo, alcuni fatti sospetti che coincidevano coi dolorosi avvenimenti del giorno le illuminavano abbastanza, da renderle rassegnate al destino, come ad una necessità ineluttabile.
Il più difficile per Bonifazio consisteva nel giustificare il ritardo delle sue nozze presso il maestro Zecchini, il quale s'interessava vivamente alla sorte dell'amico, trovava opportunissimo il matrimonio, si riprometteva dal medesimo una conversazione più geniale, e non poteva credere nè rassegnarsi ai pretesti che gli venivano presentati dal capitano come i veri motivi della prolungata dilazione.
E questo era nuovo argomento di dissenzione fra i due vicini, per le osservazioni noiose da una parte, e le risposte bisbetiche dall'altra.
Così passavano i mesi dolorosi pei fidanzati, pieni di angoscie per le famiglie, con maneggi segreti dei congiurati per stornare le minacce, e per disperdere tutte le prove compromettenti per coloro che erano liberi.
Tutto il 1821 trascorse nella caccia accanita [pg!42] degli inquisitori in cerca di congiurati, e nella somma destrezza dei capi della setta per sottrarre nuove vittime alla vendetta degli usurpatori, e alla insidiosa procedura di giudici arrabbiati per non poter cogliere nei loro tranelli che un numero assai limitato di Carbonari.
In febbraio 1822 il lungo processo