Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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coppia di assassini?…

      «Sani» gridò De Vincenzi.

      Si era scosso di colpo, dopo quasi mezz’ora di meditazione.

      Il vicecommissario accorse.

      «Hai bisogno di me?».

      «Sì. Chiudi la porta… Adesso, ascoltami. Tra poco, verranno due giovani, un uomo e una donna. Sono gli assistenti del professore Magni. Su di essi… su tutti e due… pesano i più gravi sospetti… Gli indizi, che li implicano, sono molti e innegabili… Chiunque altro al mio posto, li farebbe arrestare immediatamente. Io no!».

      Sani lo ascoltava con attenzione quasi rispettosa. Egli aveva imparato ad amare il suo Capo immediato e lo ammirava. Si sentiva legato a lui da quella solidarietà, che soltanto una stima senza riserve può creare.

      «Se credi che sia bene far così, sei tu che hai ragione! Fidati del tuo fiuto».

      «Non so! Questa volta, non so. Il caso è gravissimo. Bada che io non faccio alcuna distinzione fra l’assassinio di un pover uomo qualunque e quello di un personaggio importante. Per me ogni delitto è un delitto, a prescindere dalla personalità del morto. Ma questa volta lo ritengo gravissimo ed eccezionale, più per la personalità dell’assassino… che non conosco ancora… che non per quella dell’assassinato. Me ne infischio io che si tratti di un senatore! Sulla tavola anatomica un cadavere è uguale a un altro. Ma dal modo con cui si presenta, questo delitto, ha tutte le caratteristiche della perfezione». Sani sorrise.

      «Credi al delitto perfetto, tu?». «Sì. E mi propongo di scoprire l’autore di questo, valendomi dei suoi stessi mezzi. Non puoi capirmi ancora. Quando tutto sarà finito… ti dimostrerò che l’unico modo per venire a capo di qualcosa, questa volta, era di agire come se si fosse trattato di un orologio da smontare. L’autore dell’assassinio ha creato una macchina impeccabile… tutte le rotelle al loro posto… il bilanciere sui rubini… ogni piccolo ingranaggio che combacia, dente a dente… È un artista! Un inventore!… Ti dico io che il genio della delinquenza esiste! Ebbene, per trovare la marca di fabbrica, bisogna smontare l’ordigno, rifacendo all’inverso il lavoro del suo autore. Togliere rotella dopo rotella… ingranaggio dopo ingranaggio… Mi capisci?…». «Cerco di capirti. A ogni modo, ti credo…». «Sì… Grazie…».

      S’alzò e cominciò a passeggiare per la camera. Sani lo guardava in silenzio. Finalmente, De Vincenzi si fermò. «Scusami la digressione… Qualche volta mi lascio prendere dalla fantasia e il mio cervello vola!… Ebbene, come ti dicevo, quei due verranno. Uno è il dottor Verga, l’altra miss Patt Drury… Un tipo, miss Patti».

      «Bella?».

      «Non ci sono donne brutte, in quest’avventura! Non ci potevano essere. Essa è tutta impregnata di erotismo. La personalità del morto in questo si è imposta. Il senatore doveva morire, rimanendo nell’ambiente, che si era creato e nel quale viveva! Dunque, trattieni il dottore con te, di là, nella tua camera, e mandami qui per prima la donna… La interrogherò… Poi a un certo momento, farò in modo di aprire un poco la porta, che tu non chiuderai del tutto… Lascia che il dottore ascolti le nostre parole… Io alzerò la voce… Tu osserva i riflessi dell’uomo, ma dagli la libertà di agire come vuole… Anche se dovesse lanciarsi in questa camera, non impedirglielo. Hai capito?».

      «È facile!» rispose Sani e si mosse per andarsene. «Vado ad aspettarli…».

      De Vincenzi lo richiamò.

      «Hai mandato Paoli in via Boccaccio e in via Leopardi?».

      «Sì. Ha condotto un uomo. È di là con lui».

      «Bene. Quando te lo dirò… lo farai venire…».

      Sani uscì, richiudendo la porta dietro di sé.

      Poco dopo la riapriva, per introdurre miss Patt Drury.

      De Vincenzi, seduto al suo tavolo, faceva mostra di giocherellare coi ferri chirurgici, che aveva dinanzi.

      «Oh! Brava, miss Drury!» esclamò, sollevando il capo e sorridendo. «Lei, oltre a essere puntuale, giunge proprio a proposito…».

      L’americana avanzò con quel suo passo sicuro e ritmico, ritta sulle anche, coi sodi polpacci ben piantati e saldamente uniti alle caviglie. Era elastica e armoniosa. Il volto irregolare appariva ermetico, nonostante il sorriso artefatto delle labbra rosse. I pomelli rosei e gli occhi dorati. Aveva pagliuzze d’oro negli sguardi.

      «Okay!» esclamò e, scoprendo i denti bianchi, piccoli, uguali, allargò il sorriso. «Da noi si dice okay. Per dire che tutto va bene, che si è d’accordo… Che cosa vuole da me?».

      «Guardi un po’ questi ferri, lei che se ne intende, e mi dica a che servono».

      La ragazza li prese uno dopo l’altro.

      «Bisturi…» proferì. «Serve per tagliare e incidere… Questo a forma di cacciavite è un uncino elicoide di Doyen a spire grandi e strette… Questa, che lei deve credere una forbice, è una pinza speciale per elettroemostasi…».

      «Ah!» fece il commissario, perché ricordò che la ragazza aveva già nominato quell’arnese alla mattina. «È un ferro che deve esserle familiare…».

      «E un ferro aristocratico… non tutti l’adoperano… E quest’altra, con la rotellina alla punta, è una pinza di Berger, che consente all’operatore di assicurarsi che il corpo estraneo è preso e di misurarne le dimensioni…».

      «Di modo che è con un ferro simile a quello che lei ha tra le mani, che in questo momento, forse, stanno estraendo il proiettile dal cranio del suo maestro?».

      «Può darsi…».

      «Grazie della spiegazione. E ora mi dica: riconosce questi ferri, come appartenenti al professor Magni?».

      L’americana fu esplicita.

      «Non li ho mai veduti. Il professore ne aveva di simili, certo; ma non li portava nella sua borsa abitualmente. Escludo a ogni modo che questo bisturi appartenesse al professore. Tutti i bisturi che egli possedeva hanno il manico d’onice. Era una sua civetteria aver ferri chirurgici di molto valore».

      «Afferma che non erano del senatore?».

      «Credo proprio di no».

      «E questo camice? Guardi!».

      Miss Drury prese il camice e scosse la testa.

      «Cotone!… No. I camici del professore sono tutti di puro lino».

      De Vincenzi sentì che non mentiva.

      «Dunque, esclude che ieri sera, il senatore, quando si recò assieme a lei al Sempioncino, avesse con sé questi ferri e questo camice?…».

      La ragazza si morse le labbra e apparve turbata per un attimo.

      «Il Sempioncino».

      «Non è stata al Sempioncino col senatore, lei, ieri sera?».

      De Vincenzi si aspettava che negasse.

      «Non dico di non esservi andata. Le dico che sarebbe stato assai strano che lui fosse venuto con me, portandosi dietro quattro ferri da operazione e un camice!».

      Infatti! Questa volta fu il commissario a mordersi le labbra.

      «Bene! Lei dice sempre la verità, allora?».

      «Quando non se ne può fare a meno… A che scopo dirla sempre?».

      «Badi che è pericoloso giocare con le menzogne!». La ragazza tacque, come se quel possibile pericolo non la riguardasse. «Segga, la prego».

      Lei sedette, accavallando le gambe inguainate di seta. «Perché mi ha mentito, stamane, dicendo che non aveva più veduto il professore dalle diciassette di ieri?». «Perché non mi sembrava generoso narrare un fatto che non ricadeva a onore del morto…».

      «Avere


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