La Cattura. Sandra Carmel

La Cattura - Sandra Carmel


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      “Ti senti bene?”

      Merda. Eva non poteva rivelare alla sua amica che stava cercando suo padre. Non ancora. Greer non avrebbe capito, non con quell’infanzia perfetta stile protagonista della serie Il carissimo Billy che aveva avuto. Non avrebbe potuto comprendere quel suo bisogno di scovare uno sconosciuto, un assente, disinteressato sconosciuto con cui condivideva solo il patrimonio genetico.

      “Sì, sono solo un po’ stanca, mi sto ancora sistemando nel nuovo appartamento”. Un appartamento tutto suo. In affitto, d’accordo, ma era il primo luogo che sentisse come casa sua.

      “Bene, perché hai bisogno di uscire con qualcuno. Ad esempio con il tizio di stamattina. Lui ti ha notata, molto più che notata”. Lo sguardo di Greer si fece sognante e zuccheroso. “Vorrei che avesse notato me”.

      “Tu hai già un ragazzo”, disse Eva nascondendo il rapporto investigativo sotto a una pila di documenti. Niente più detective, almeno non per il momento. I soldi le servivano per pagare l’affitto e per concentrarsi su cose importanti su cui aveva più controllo, come trovare un marito e farsi una famiglia.

      Greer sistemò le penne e le matite di Eva in modo da formare un cuore un po’ sbilenco. “Siamo usciti qualche volta, non è niente di ufficiale. E comunque non c’è niente di male nel guardare le vetrine”.

      “È più che guardare le vetrine, ti piace provare, provare e riprovare prima di acquistare”. A differenza della sua amica, Eva non voleva passare da un appuntamento all’altro, era più il tipo da Principe Azzurro.

      “Mi fai sembrare una sgualdrina”.

      Eva sorrise. “Questo lo hai detto tu...” Prendere in giro la sua collega aggiunse un po’ di spensierato divertimento alla loro chiacchierata, anche se in realtà lei aveva bisogno proprio di un’amica estroversa e pronta a correre rischi come Greer che la spronasse, altrimenti rischiava di rimanere sola e patetica.

      “Molto divertente. Smettila di cercare di cambiare argomento, dobbiamo trovare un bel gattone per te, Dobbiamo trovare il signor Fantastici Occhi Verdi”.

      “Non l’ho neanche visto quel tizio! Che succede se non mi piace?” Sembrava proprio che l’universo e Greer si fossero coalizzati contro di lei. Eva si voltò e iniziò ad archiviare documenti,

      ma Greer la raggiunse vicino all’alto archivio grigio. “Dai Eva, dagli una chance. Ti sei sbaciucchiata con un paio di sfigati e non ha funzionato. Capita. Passa oltre, il passato è passato. Hai quasi ventun’anni, se non trovi presto qualcuno, ti ritroverai ad essere una zitella”.

      Eva sistemò l’ultimo documento, quindi chiuse il cassetto dell’archivio. Il suo anulare sinistro stava lì, nudo e pallido. Senza anello. Portò le mani sui fianchi. “E chi lo dice?”

      “La società”.

      Il suo sguardo si fissò su Greer. “E da quando ti importa di ciò che pensa la società?”

      “A me non importa, ma a te sì”. Un sorriso compiaciuto piegò le labbra rosa glossy di Greer.

      Eva lasciò cadere le mani e le sue spalle si incurvavano. La collega aveva fatto centro, a Eva importava eccome... Della sua reputazione, di trovare la sua anima gemella, di essere troppo vecchia per formare una famiglia.

      I grandi occhi di Greer si illuminarono di uno sguardo ‘ho una fantastica idea che non ti piacerà’. “Lo so. Venerdì verrai a ballare con me. E non cercare scuse”.

      Gli occhi di Eva si spalancarono così tanto che l’aria fredda che li investì per poco non le ghiacciò le pupille. Sbatté le palpebre, poi le sbatté di nuovo. “No, no, lo sai come mi sento a quei balli”.

      “Tu ci vieni. Me lo devi, ho trascorso l’intero fine settimana ad aiutarti col trasloco. Ricordi?”

      Una serie di scuse si susseguirono nella sua testa. L’aprire i pacchi e la stanchezza non l’avrebbero salvata dalla missione cerca-marito di Greer questa volta. Merda. Era stata incastrata in un modo che neanche Houdini sarebbe riuscito a liberarsi.

      Capitolo Due

      La rottura

      Salvator Aalem sollevò la provetta contenente un liquido di un blu brillante verso la luce accecante del laboratorio. Chissà se i farmaci per la memoria funzioneranno come ci aspettiamo...

      “Come procede?” Chiese Harry ‘ficcanaso’ Kennedy dall’ingresso al laboratorio. Il tormentone tipico dell’alto dirigente della Sub Rosa e il suo pancione tondo erano inconfondibili. Trascorreva le sue giornate gironzolando fra il suo lussuoso ufficio e il dipartimento di ricerca, cercando di apparire importante e inquisitorio mentre delegava.

      Era raro che Salvator avesse molti visitatori, lavorava da solo in un laboratorio all’avanguardia riservato ai progetti speciali. Cella di isolamento, lo definiva lui, magari poteva sentirsi un po’ solo ma c’erano dei vantaggi.

      Mise un tappo alla provetta e la ripose in un apposito supporto in legno. “La buona notizia è che il cancella memoria e i farmaci riempitivi sono finalmente pronti per essere testati. La notizia non troppo buona è che ho tentato di selezionare degli animali adatti al trial, ma sembra che nessuno possa dare risultati utili”.

      “Perché no?” Chiese Harry.

      “Posso testare le modifiche nella memoria in topi, ratti e persino scimpanzé, ma il test non è sufficientemente sensibile per determinare se le loro memorie sono state effettivamente cancellate del tutto. Per non parlare dei riempitivi. Non posso fare nulla finché non verrà ratificata la sperimentazione su umani”. Salvator tirò via i guanti in lattice e li gettò nel secchio di metallo sotto il banco da lavoro.

      “Sfortunatamente non abbiamo budget per quella, e anche se lo avessimo, dove potremmo trovare dei volontari?”

      Salvator si tolse gli occhiali protettivi e si strofinò gli occhi. Il protocollo della Sub Rosa prevedeva test sugli animali prima di poter considerare quelli sugli esseri umani. Di norma era d’accordo, ma in questo caso non era proprio possibile. Avrebbe dovuto fornire argomentazioni cliniche inattaccabili per passare direttamente alla sperimentazione umana e aveva appena identificato il gruppo di soggetti che avrebbe potuto beneficiarne.

      “La Returned and Services League, (organizzazione australiana di supporto alle persone che hanno prestato o prestano servizio nella Defence Force, ndr.). I militari di ritorno in patria, o quelli affetti da affetti da stress post-traumatico o che hanno subito un trauma importante potrebbero desiderare di dimenticare”. Salvator aveva vissuto sulla sua pelle gli strascichi devastanti della guerra.

      Suo padre si era suicidato l’anno in cui Salvator aveva compiuto diciassette anni e sua madre era morta di crepacuore poco tempo dopo. Tutto perché un soldato in prima linea non riusciva a dimenticare gli orrori a cui aveva assistito, le memorie ricorrenti che lo costringevano a rivivere quegli eventi in ogni momento, contagiando l’intera famiglia con la sua afflizione come se fosse un cancro.

      Nessuno meritava una tale sofferenza. I farmaci per la memoria che Salvator stava sviluppando erano un mezzo per fermare il dolore, per restituire alla gente un po’ di qualità della vita.

      “Buona idea, ma dobbiamo ancora ottenere l’approvazione del comitato etico”, disse Harry.

      Aveva già visto quell’espressione sul volto di Harry. Stava prendendo tempo. Molto probabilmente per rimetterlo in riga con qualche altra proposta dettata dall’agenzia.

      “Potrebbero volerci dei mesi!” E in quel momento, con la guerra in atto in Vietnam, era ancora più urgente mettere a disposizione dei soldati che rientravano un farmaco per dimenticare sicuro e clinicamente testato.

      “E lo farà. Per cui, per velocizzare il processo, mandami i documenti il prima possibile così che possa inoltrarli al comitato etico e quindi al board e agli alti dirigenti per l’approvazione”.

      “E nel frattempo?”

      Un sorriso


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