La plebe, parte III. Bersezio Vittorio

La plebe, parte III - Bersezio Vittorio


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di dover essere il secondo. È l'opera di molti uomini, di molte generazioni che deve far ciò che tu sogni di ottenere ad un tratto. Per redimere la classe più infelice della società attuale, la plebe, non basta riporla materialmente in alto mandando in frantumi le attuali forme dell'ordinamento sociale; conviene che questa povera gente in prima venga rendendosi degna di stare là dove si vuole farla pervenire. Metti in mezzo alle ricchezze sociali le brutalità della plebe ineducata, e che cosa ne avverrà?..

      – Ma quando a guidare questa plebe ci sieno intelligenze superiori – le nostre, per esempio?..

      Gian-Luigi prese a Maurilio una mano e glie la strinse forte.

      – Maurilio! soggiunse. Noi possiamo avere in pugno quella forza meravigliosa – dirigerla a nostro talento.

      – Illusione! Rompi le dighe dell'Oceano, e poi cerca di regolare le onde irrompenti. Senti, Gian-Luigi!.. La mia idea è che i tuoi tentativi, qualunque essi sieno, cadranno nel nulla.

      Gian-Luigi fece un movimento.

      – E così mi auguro che avvenga: soggiunse vivamente Maurilio.

      – Così non avverrà, disse fieramente Gian-Luigi. Soccomberò forse, ma in un mucchio di rovine.

      – Soccomberai senza pure le rovine. Tu hai nemiche tutte le potenze del mondo, il denaro, i governi, la religione. E che vuoi tu fare da questo piccolo angolo di terra contro tutta la moderna civiltà europea? So che tu hai cercato alleanza nelle congiure politiche, come la rivoluzione politica ha cercato un sostegno nella questione sociale…

      – Ah! tu lo sai? domandò con meraviglia Gian-Luigi.

      – Sì, e giudico che soccomberete tutti…

      – No, per Dio! Qui non sarà tutta concentrata la lotta. Il segnale della grande rivoluzione scoppierà nelle nostre mura, ma si ripercoterà nelle città principali, e là specialmente dove la cresciuta industria del secolo ha creato più grandi agglomerazioni di proletari e in questi maggior coscienza dei loro diritti. Abbiamo relazioni colla Francia, col Belgio, coll'Inghilterra, colla Germania stessa, e dappertutto la rivoluzione politica si cambierà, appena sorta, in quella sociale… Io sono uno dei capi nelle cui mani vengono a serrarsi i fili di tutta questa rete, a me lo stringerli o l'allentarli: ho bisogno di un ingegno capace che m'aiuti nell'opera, ed ho pensato a te. Vuoi tu esser quello?

      Maurilio scosse il capo in segno negativo.

      – A noi due l'impero in questa società che ci ha disprezzati: soggiunse Quercia con voce bassa quasi affannosa.

      – Ah! tu mi tenti come Satanasso tentò Cristo: disse sorridendo Maurilio. Ma tutto è inutile. Non istimo vantaggiosa all'umanità l'impresa: non la credo possibile, e condanno assolutamente i mezzi che tu hai pensato di poter scegliere.

      Un lieve rossore corse alle guancie di Gian-Luigi.

      – Che vuoi tu dire? interrogò egli lampeggiando dagli occhi.

      E Maurilio, con calma, e quasi afflitto:

      – Ieri sera alla taverna di Pelone ho scoperto qual fosse l'individuo che porta il nomignolo di medichino famoso nella cronaca dei delitti…

      Gian-Luigi questa volta impallidì; ma in mezzo la sua fronte si disegnò quella tal ruga che conosciamo. Sorse di scatto, e disse con impeto e con accento di comando:

      – Taci! Non più una parola!

      Passeggiò in lungo e in largo per la camera alcuni istanti: poi si piantò di nuovo innanzi a Maurilio:

      – Ebben sì, son io quello… Vuoi tu perdermi? Vammi a denunziare al commissario Tofi, e n'avrai buon premio.

      – Gian-Luigi! esclamò con rampogna Maurilio.

      – Dovresti farlo! Avresti così tolto di mezzo un accanito ed implacabile nemico di quella società che tu hai preso a difendere così bene.

      Si serrò colle due mani la sua bella fronte da statua greca.

      – Tu credi ai miei delitti? ripigliò dopo una piccola pausa, con voce soffocata. Oh Maurilio! Chi ci avesse detto che ci saremmo trovati in questa guisa dopo tanto tempo che non ci siam più visti, quando eravamo tuttidue bambini al villaggio!.. Tu l'hai conosciuto fin d'allora, ch'io non poteva passare in mezzo al mondo ed estinguermi come una bollicina di schiuma nel mare. Non fosse che la fama d'Erostrato, qualche rumore si ha da fare intorno al mio essere… Un giorno converrà che tu sappia quali circostanze mi hanno trascinato là dov'io sono: allora forse mi compatirai… Se nella mia opera vinco, tutto il mio passato sarà come distrutto, assorbito nell'apoteosi della gloria; se soccombo non vi sarà imprecazione e disprezzo che basteranno ad infamarmi… Sono un Catilina; se Catilina avesse trionfato, Cicerone sarebbe stato un calunniatore, e Sallustio avrebbe fatto il panegirico del ristauratore della repubblica romana.

      In quel momento entrarono solleciti Don Venanzio e Giovanni Selva che tornavano dopo aver parlato colla Gattona. Tutti due avevano nelle sembianze una certa emozione.

      – Maurilio: disse il sacerdote con voce concitata; abbiamo da parlarti.

      – Li lascio in libertà: soggiunse Gian-Luigi. Addio Maurilio! Quando ci rivedremo molte cose, forse, saranno cambiate… E forse allora mi conoscerai meglio.

      Non gli tese la mano, nè Maurilio porse la sua; salutò con molto affetto il vecchio parroco.

      – E posso annunziare la tua visita alla buona Margherita? domandò quest'ultimo.

      – Sì, rispose allegramente Gian-Luigi, appena finito il carnevale.

      Ed uscì col medesimo sorriso col quale era entrato.

      – Andiamo da quella povera Ester, si disse scendendo le scale; a quest'ora Jacob non ci sarà, e quando sopraggiunga me ne farò dare i denari.

      CAPITOLO IX

      Torniamo nel sucido cortiluccio del ghetto in cui si apre la porta ferrata del misero stambugio di Jacob Arom il rigattiere ebreo.

      Molte ore sono passate dacchè abbiam visto il vecchio avaro prendere colla figliuola il suo pasto frugalissimo apparecchiato dalla modesta scienza culinare della vecchia Debora. Lo donne sono sole di nuovo nella stanzaccia a pian terreno; e l'ombra della sera, prima ancora del solito per la nebulosità della giornata, incomincia ad invadere quel luogo tristissimo, fatto più tristo da quell'ora crepuscolare. Come prima, come sempre da varii giorni, le donne parlano di quel tremendo avvenire che la sventurata maternità sopraggiunta minaccia alla povera Ester. Aspettano con ansia che Gian-Luigi, fattone avvertito, compaia a rassicurarle, venga a dir loro che ha bello e trovato il modo di salvare la povera figliuola dall'ira, che sarà implacabile, del padre.

      In realtà Debora ha maggior dose di speranza di quel che non abbia la povera Ester. Questa, nei meno ardenti trasporti degli ultimi convegni avuti insieme, nella lunga di lui assenza, ha sentito nell'amante sminuita quella passione che gli aveva fatto superare ogni ostacolo, vincere ogni circostanza per potere arrivare sino a lei. Ora – e l'istinto di donna meravigliosamente lo avverte – ogni amore che scema è amore che parte; quando non si ama più all'eccesso si è avviati a non amar più abbastanza; dietro la calma del primitivo ardore, sta la indifferenza e la sazietà. Ester aveva immensamente sofferto anche prima che la terribile verità del suo stato le fosse rivelata; di poi la sua pena era diventata doppia, e soffriva passando a vicenda da un'esaltazione d'animo ad un abbattimento rassegnato, ma di disperazione sempre.

      Debora adunque la confortava alla speranza con ogni miglior argomento che sapesse trovare; e la infelice fanciulla scuotendo la sua stupenda testa degna del pennello di Tiziano esclamava con cupa risolutezza che era tale da far paura:

      – No, Debora, vedrai ch'egli non verrà nemmanco. Il perfido! E' mi ha dimenticata del tutto… Chi lo avrebbe creduto?.. Ah mio padre ha ragione. Tutti i cristiani sono mancatori di fede… Sai tu che cosa solo mi resta? Morire.

      La vecchia alzava le mani secche e rugose verso il cielo, sclamando spaventata:

      – Che cosa dite?.. Vi dà di volta il cervello Ester?.. Come siete sempre eccessiva, voi!.. Vi dico che il signor Quercia verrà, e troverà modo


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