Ahi, Giacometta, la tua ghirlandella!. Beltramelli Antonio

Ahi, Giacometta, la tua ghirlandella! - Beltramelli Antonio


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divino. La mia libertà e il mio amore non soffrono leggi; sono come il vento della steppa. E tu prendimi perchè io voglio essere tutta quanta tua; prendimi e macerami e fammi soffrire nel tuo amore maschio. Io sono arrivata dall'ignoto per amarti e per farti il dono di tutta me stessa ma non promettermi niente e non chiedermi di più!.. – Io ti dissi questo, allora, e tu non mi volesti capire. Tu eri e sei troppo schiavo del tuo misero mondo e delle sue convenzioni meschine. Tu vivi troppo «PER GLI ALTRI» e il mio amore non può vivere che nella più selvaggia libertà, per morire e dileguare quando la sua ora sia giunta come per tutte le cose del mondo…»

      E la voce di Giacometta si spense. Il sole discendeva fra le nuvole dell'aprile attardandosi nel gorgo del cielo, come innamorato.

      E che stava accadendo mai nella mia anima di sognatore? Giacometta mi aveva affascinato con la sua voce e col suo singolare racconto tanto che mi pareva di essere ad un tempo presente ed assente in una immensità di mistero. Sprofondavo nell'impensato con la velocità di un bolide. Io, Francesco Balduino, creatura senza alcun valore, come avevo potuto mai entrare in un mondo tanto strano e impadronirmi di un cuore così moltiplicato nell'inverosimile? Perchè mi aveva prescelto Giacometta? Che poteva vedere e trovare in me, nipote della signora Adalgisa?

      Poi ella riprese a parlare, un po' stanca e disciolta in una perduta dolcezza.

      – Così incominciai a conoscere il cuore di nonna Tatiana. D'improvviso tutto il buio si diradava e mi vedevo dinnanzi quella che non mi aveva sorriso se non dai grandi ritratti e mi spiegavo la luce perdutamente triste e fiera di quei grandi occhi celesti dietro una lontananza infinita.

      «Ormai ti racconto tutto, Franzi mio. Prima di arrivare al particolare per il quale sono risalita nelle mie memorie, voglio tu sappia chi sono, da chi discendo, come ho vissuto perchè un giorno tu mi possa perdonare. Io non ti conosco bene eppure un istinto mi guida. Io sento che tu non sei come gli altri…»

      E, per la prima volta, la sua mano lieve mi sfiorò il volto in una carezza.

      Signore mie, allora avevo diciannove anni e non vi meraviglierete se due lacrime mi scesero per la faccia ruzzolando precipitosamente. Avevo diciannove anni, signore mie, e un cuore che non conosceva la volgarità e mi commovevo e mi entusiasmavo perchè mi piaceva di regalare me stesso, non avendo proprio niente altro da regalare. Pensate a questo, prima di giudicarmi severamente, perchè, se piansi allora, vi giuro che avevo ragione. Forse potrete rimproverarmi la facilità con la quale prendevo tutto troppo sul serio; ma che ci potevo fare io se, in quel punto, Giacometta era sincera? Perchè Giacometta era sempre sincera e sempre al di là del bene e del male e se non aveva una linea continuativa, se non voleva essere e non poteva addimostrarsi eterna nelle cose sue, come piacerebbe alla vostra sentimentalità, care signore, ebbene la colpa non era nè sua nè mia.

      – Pensa adunque, Franzi, in quale orgasmo io vivessi. Guarda, è la prima volta che ne parlo… tu sei il primo al quale confido il segreto della mia fanciullezza ed ora che, per parlarti, mi costringo a rivivere le sensazioni di quei giorni, mi sento avvincere dallo stesso fascino, tanto che non so più se tutto ciò sia avvenuto nei pochi anni di questa mia vita o in un punto indeterminato nelle lontananze del tempo, quando non ero quella che oggi sono, qui, in quest'ora di aprile… accanto a te che mi vuoi bene.

      «Siccome in un giorno solo non potevo vedere e saper tutto quanto era racchiuso nei cassetti del vecchio canterale, presi l'abitudine di chiudere a chiave la stanza di nonna Tatiana e di non abbandonare detta chiave neppure nel sonno. Ogni giorno ritornavo nel mio sacrario e mi vi rinserravo. Così potei scorrere tutte le lettere scambiate fra nonna Tatiana e nonno Felice e così mi capitò sottomano un libriccino rilegato, nel quale la nonna scriveva il suo diario. Capii che Tatiana si era negata a nonno Felice fino al giorno delle nozze, ma nonno Felice non aveva saputo o voluto prenderla. Ciò che piaceva alla giovinetta selvaggia non entrava nella mente dell'uomo abituato a vivere nel fondo di una quieta provincia dove tutto si cristallizza, nei secoli, in dogmi ferrei e la mente, cresciuta sotto il peso di tali dogmi, perde l'elasticità, la bellezza creativa, il senso della libertà e della gioia. L'amore di nonno Felice era grande ma vestiva il costume del suo tempo, povero amore! E nonna Tatiana, fin dai suoi primi anni, aveva imparato a crear la sua libera vita fra i pericoli, fra gli ardimenti, sola col suo istinto, la sua fierezza e la sua giovine forza dominatrice. Fra i due c'era, in realtà, un abisso. Così all'una sarebbe piaciuto di esser subitamente ghermita da un bell'uomo predace, simile allo sparviero, mentre all'altro piaceva la santità dell'imene.

      «Ritornando al diario di nonna Tatiana, il punto che più può interessarti, ora che ti ho raccontato tutto, è quello che precede di qualche giorno la celebrazione del matrimonio. Io so a memoria il piccolo diario. Ora in una pagina che porta la data del 20 maggio 1820 è scritto: – Fra quattro giorni crederanno di aver fatto di me una povera cosa nel ritmo della loro pallida vita; fra quattro giorni crederanno di avermi vincolata per sempre. E perchè? Quale parte mia potranno vincolare che io non voglia? Chi è questa gente? Quando mai mi è stata VICINA? Ho detto a Felice: «Perchè vuoi questo? Non ti accontenti del mio amore? Non hai paura di ucciderlo facendolo passare fra la polvere di queste strade?» Ma Felice non mi ha intesa. Egli non vede che per gli occhi dei suoi; non agisce che per mantenersi ligio agli usi de' suoi borghigiani. Ed io? Crede egli di non potermi perdere quando mi abbia sposata? E crede ancora che mi deciderò a sposarlo se prima non avrà ubbidito al rito della mia gente e non mi avrà dimostrato di essere sempre padrone dell'anima sua e del suo coraggio? Questa notte gli parlerò. Ho veduto, in fondo al giardino, un muro con una pianta di gelsomini in fiore. Là intesserò la mia piccola ghirlanda ch'egli dovrà conquistare e riconquistare di notte in notte finchè non lo chiami e non gli dica:«Ora sono tua anche attraverso alle tue consuetudini e per le tue grige strade piene di polvere e di vento…

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