Storia degli Esseni. Benamozegh Elia

Storia degli Esseni - Benamozegh Elia


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Esseni così facendo, dissentito avrebbero dall’andazzo comune di ogni setta, la quale quel nome a preferenza si appone che il genio intimo e la natura sua propria e il carattere prominente stia a significare, anzichè un uso o una qualunque consuetudine, per quanto grande e peculiare si voglia imaginare. Ella è, in secondo luogo, la formale e contradittoria deposizione della istoria, la quale, siccome a suo tempo vedremo, non solo della vita reclusa, del genio cenobitico non fa costume proprio inseparabile dagli Esseni, ma gli Esseni stessi ci addita talvolta negli affari e nelle transazioni mischiati della umana società, e bella e grande parte sostenere sì nelle politiche, come nelle religiose faccende. – Il fatto, o signori, la reclusione, la vita cenobitica, cade qual integral requisito dell’Essenato; e con esso cade la etimologia del Fuller sur esso fondata. Altra ne escogitò lo Scaligero, e fu quella di Santi. Che ciò significhi il nome di Esseni, non oserei sostenere, comecchè io vada persuasissimo che tra i nomi che recarono gli Esseni, fu quello di Santi; come, da un lato, ne fanno fede le numerose menzioni che sotto questo nome appunto ne fa il Talmud, segnatamente là ove si parla della Santa Società, Keilla caddiscia di biruslem; e come, dall’altro, non meno concludenti ne soccorrano all’uopo i tanti passi degli Evangeli, in cui i primitivi cristiani, usciti senza meno dagli essenici chiostri, s’intitolano Santi; e Santi è tra i nomi che gli storici attestano avere i cristiani nei primi tempi recato, molto prima che cristiani si dicessero in Antiochia.

      Strana cosa avvenne poi ad un antico padre della Chiesa cristiana, a S. Epifanio. Non è già che la cognizione della vera e sana etimologia gli facesse difetto, che anzi egli la conoscea benissimo, egli la propose, la insegnò; ma non quotando nel possedimento del vero, cercò il nuovo ed incappò nell’errore. Stava a cuore ad Epifanio, siccome stette di poi ad altri moltissimi della sua religione, di noverare il nobilissimo Istituto tra quelli che la chiesa generò nei primi secoli; di cristianizzare, per così dire, lo Essenato, di svellere la gloriosissima pianta dal Monte Sion per innestarlo al tronco cosmopolita del cristianesimo, e questa cara e bella gemma strappare alla corona di Giuda. Però non rifinirono antichi e nuovi dottori cristiani di cercare alle loro pretensioni argomento; cercarlo nei fatti, cercarlo nelle dottrine, e di queste vedremo; cercarlo poi nell’etimologia, e di questa adesso vediamo. Il primo a dar il segno della propaganda retrospettiva, fu, come dissi, Epifanio. Egli nel nome Esseni trovò Iesse genitore di Davide; anzi, in grazia di esso, il nome di Esseni in quello mutò più alle sue viste affaciente di Iesseni. Gli parve poco. Gli parvero troppo remoti, troppo indiretti i rapporti coll’oggetto che preso si aveva di mira. Egli osò; e di un balzo superò ogni distanza, e di un balzo strinse, confuse, identificò l’Essenato o il Cristianesimo; e quello, come questo, derivò dal nome di Gesù, e gli Esseni disse da Gesù appellati, siccome quelli che alle dottrine sue preso avevano ad ubbidire. Dante, o miei giovani, disse in alcun luogo della Commedia, negarsi talvolta dagli uomini ossequio a quel ver che ha faccia di menzogna; nè la mente errò, così dicendo, del divino Poeta. Dante, avria potuto dire con egual verità, che spesso quest’ossequio si concede, si prostituisce a quella menzogna che ha faccia di verità. Ma quella di sant’Epifanio ha ella almeno, o signori, di verità la sembianza? Io dico che ella reca distinto il suggello dell’errore, dell’arbitrario. Chi mi sa dire, invero, quale delle due sue interpretazioni riesca più a udir tollerabile? È ella forse la prima, è ella quella che da Iesse padre di Davide l’appellazione ripete degli Esseni? Ma qual rapporto, di grazia, fra l’antico Betlemmita, e il grande e il dotto istituto degli Esseni? È ella la seconda che da Gesù, il nome conia di Esseno, di Essenato? Ma vuol dunque egli, sant’Epifanio, la baia dei fatti nostri? Che un padre della chiesa, che un Epifanio non voglia soscrivere alla sentenza di parecchi tra i moderni che Gesù vogliono anzi educato, ispirato nella società degli Esseni, questo di leggieri si comprende; ma quello che non si comprende, questo si è, o signori, cioè come ignorasse Epifanio, che mentre gli Esseni mangiavano, bevevano e panni vestivano, il modello d’onde tolsero, al dire di lui, a foggiare il nome loro, il preteso denominatore della setta, giaceva tuttavia latente in grembo al futuro; ch’è quanto dire che Gesù Cristo non esisteva: e non occorre aggiungere che, salvo quei rarissimi casi in cui tutto collima ad attestare la verità di un supposto, non è concesso a chicchessia, fosse pure un santo, detrarre o aggiungere una jota, siccome egli fa, veramente nel nome che si vuol decifrare. Or, chi ha egli abilitato Epifanio a cangiare il nome di Esseni in quel di Iesseni? Ecco, o signori, le cause, le gravissime cause che ci interdicono lo assentire alle arbitrarie interpretazioni di Epifanio.

      Vi fu, o signori, chi accettando la lezione di questo Padre, e chiamando lo antico sodalizio Iesseni piuttosto che Esseni, una interpretazione v’innesta che ha, se non altro, l’apparenza di plausibile. Volle il Nilo che Esseni si dicessero nel significato di Dotti e di Savi. D’onde una siffatta etimologia? Egli vide la Sapienza denominata nelle sacre scritture col nome implicito di Ies; dico, o signori, implicito, perchè la forma e lo involucro esteriore suona piuttosto Tuscia, comunque universa predomini la opinione, inchiudervisi qual radice il vocabolo significantissimo di Ies. Che vuol dire Ies, o signori? —Ies è il vocabolo che esprime l’Idea più astratta, l’Idea, sto per dire, più ideale – l’Idea massima – l’Essere– l’Essere metafisico, incondizionato, indeterminato, e come direbbe il Rosmini, l’Ente Possibile. – Ma Ies esprime eziandio, voi già l’udiste, l’Idea di Scienza, di Dottrina, di Pensiero per eccellenza; attalchè, per una ammirabile e notevolissima sinonimia, acchiude nel proprio senso il duplice significato di Essere e di Pensiero. Voi non potreste misurare la immensa importanza di questo bellissimo trovato filologico senza molte indispensabili precognizioni filosofiche; che dico? senza alle più alte cime poggiare della odierna filosofia Alemanna, senz’almeno toccare del rinnovatore delle filosofiche discipline, di Cartesio, che poneva a base del suo sistema il famoso Cogito, ergo sum: Penso, dunque esisto;– senza risalire almeno a Platone che, nel decimo delle leggi, domandava che cosa è l’Essere Primo? e rispondeva l’Essere Primo, è l’Idea – è il Pensiero; – senza accennare almeno ai Dottori, i quali videro nel Ies promesso ai giusti in Paradiso, leanhil oabai ies, l’Essere Perfetto e il Perfetto Pensiero, cioè la Visione.8

      È egli questo lavoro, o signori, che intraprendere si possa e compire tra due parentesi? Il vostro buon senso ha già risposto per me. Io voglio soltanto che impariate da questo esempio, quale sterminata latitudine abbracciano le lettere ebraiche; come in fondo ad un oscuro vocabolo ti si apra non di rado agli sguardi atterriti tale profondo e smisurato abisso, da darti, al solo vederlo, il capo-giro; come gli spregiatori di queste frasche pretese, sieno tanto savi quanto il villano che d’uno sguardo non degna la minutissima polve stellare che si chiama Nebulosa, alcune poche palate anteponendole invece del suo caro concime. Fatto è, o signori, che Ies adombra l’Idea di una scienza sublime, di una scienza nella sua perfezione immanente; e chi solo ne dubitasse potria vedere i più rigidi ed esclusivi gramatici, il Kimhi tra gli altri, nei suoi Radicali.

      Si apponeva egli, o signori, il nostro Erudito nel derivare da questo vocabolo, l’origine di quel di Esseni? Senza dubbio, che qualche giusta e calzante analogia milita in favor suo. Il favorisce, o signori, l’Ebraico Jesciscim, al plurale Vecchi, o come altrimenti si voglia, Anziani, nei quali, dicono i Proverbi, posta ha seggio la Sapienza: bisciscim hohma. Il favorisce lo esempio dei Pitagorici, coi quali non pochi nè lievi riscontri ci offrirà il nostro Essenato, che il nome i primi coniarono ed assunsero eglino stessi per tempissimo, di filosofi, ossia cultori ed amanti della sapienza: e quando ogni altra analogia venisse meno, quella sorgerebbe viva e parlante di tutto il Dottorato Ebraico, che la caratteristica distinse mai sempre di Hahamim, savi. Dirò anzi di più, che per questa come per alcuna fra le altre etimologie da noi rigettate, noi rechiamo sentenza che i nomi che vi si volle trovare, se non esprimono il senso di Esseni, pure tornano in acconcio al grande Istituto, e per, alcuni almeno, probabilmente il contraddistinsero. Di questo novero è il nome di Savi, di Dotti; diciamolo a dirittura, di Gnostici. Noi che crediamo gli Esseni antenati dei Cabbalisti, la cui scienza essi chiamarono Gnosi o Scienza per eccellenza, come chiamarono la propria e il Cristianesimo e le prime Eresie; noi che ricordiamo nel Talmud cento parlantissimi casi in cui il nome di hohma o Gnosi è usato manifestamente nel senso di Dottrina Acroamatica, non potremmo


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L’illustre sig. Frank, autore della Kabbale, notò a buon diritto come nella identificazione suprema dell’Essere e del Pensiero precorresse la Teologia ebraica alle ultime dottrine prevalse in Germania. Ciò che ci reca ad una più alta antichità, che ne fa risalire alle Bibliche sorgenti, e che perciò stesso rivela nelle viscere dell’idioma biblico l’arcana dottrina teosofica che per entro vi circola, è questa sinonimia profonda di Essere e Pensiero nella radice Ies, onde qui si discorre. In un ordine poco diverso d’idee abbiamo, nel verbo Iadah, conoscere, un’altra non meno ammirabile sinonimia di Conoscenza e Amore. Noi renunciamo a citare il nome di Benedetto Spinosa, e ciò che nella sua Etica pertratta. È noto come i due attributi della Sostanza sieno per esso il pensiero e la estensione; e ciò che vi ha di acroamatismo ebraico nelle dottrine di Spinosa, ciò che costituisce la sua deviazione dall’acroamatismo ortodosso, ci studiammo di porre in luce in un articolo in idioma francese dettato, nel quale prendemmo a rilevare alcune mende nelle quali ci sembrò incorrere l’illustre sig. Emilio Saisset, nell’egregio suo lavoro pubblicato dalla Revue de deux Mondes intorno a Maïmonide et Spinosa.