Ottavia. Alfieri Vittorio

Ottavia - Alfieri Vittorio


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giova, il so, ch'altri pur reo si mostri:

      divisa colpa, a te men pesa. Or sappi,

      ch'io, non reo de' tuoi falli, io pur ne porto

      la pena tutta: del regnar mi è dato

      il miglior premio; in odio a tutti io sono.

      Qual mi puoi nuova infame cura imporre,

      che aggiunga?..

      Ner.

      Ei t'è mestier dal cor del volgo

      trarre Ottavia.

      Seneca

      Non cangia il volgo affetti,

      come il signore; e mal s'infinge.

      Ner.

      All'uopo

      ben cangia il saggio e la favella, e l'opre:

      e tu sei saggio. Or va; di tua virtude,

      quanta ella sia, varrommi, il dí che appieno

      dir potrò mio l'impero: io son frattanto,

      il mastro io sono in farlo mio davvero,

      l'alunno tu: fa ch'io ti trovi or dunque

      docile a me. Non ti minaccio morte;

      morir non curi, il so; ma di tua fama

      quel lieve avanzo, onde esser carco estimi,

      pensa che anch'egli al mio poter soggiace.

      Torne a te piú, che non ten resta, io posso.

      Taci omai dunque, e va; per me t'adopra.

      Seneca

      Assolute parole odo, e cosperse

      di fiele e sangue. – Ma l'evento aspetto,

      qual ch'ei sia pure. – Ogni mio ajuto è vano

      a' tuoi disegni, e reo. Che a sparger sangue

      Neron per se non basti sol, chi 'l crede?

      SCENA SECONDA

Nerone

      – E con te pur la tua virtú mentita,

      altero Stoico, abbatterò. Punirti

      seppi finor coi doni: al dí, ch'io t'abbia

      dispregievole reso a ogni uom piú vile,

      serbo a te poi la scure. – Or, qual fia questa

      mia sovrana assoluta immensa possa,

      cui si attraversan d'ogni parte inciampi?

      Ottavia abborro; oltre ogni dir Poppea

      amo; e mentir l'odio e l'amore io deggio?

      Ciò che al piú vil de' servi miei non vieta

      forza di legge, il susurrar del volgo

      fia che s'attenti oggi a Neron vietarlo?

      SCENA TERZA

Nerone, Poppea

      Poppea

      Alto signor, sola mia vita; ingombro

      di cure ognora, e dal mio fianco lungi,

      me tieni in fera angoscia. E che? non fia,

      ch'io lieto mai del nostro amor ti vegga?

      Ner.

      Lunge da te, Poppea, mi tien talvolta

      il nostro amor; null'altro mai. Con grave

      e lunga pena io t'acquistava; or debbo

      travagliarmi in serbarti: il sai, che a costo

      anco del trono, io ti vo' mia…

      Poppea

      Chi tormi

      a te, chi 'l può, se non tu stesso? è legge

      ogni tuo cenno, ogni tua voglia in Roma.

      Tu in premio a me dell'amor mio ti desti,

      tu a me ti togli; e il puoi tu appien; com'io

      sopravvivere al perderti non posso.

      Ner.

      Toglierti a me? né il pur potrebbe il cielo.

      Ma ria baldanza popolar, non spenta

      del tutto ancor, biasmare osa frattanto

      gli affetti del cor mio: quindi m'è forza,

      che antivedendo io tolga…

      Poppea

      E al grido badi

      del popolo?

      Ner.

      Mostrar quant'io l'apprezzi

      spero, in breve; ma a questa Idra rabbiosa

      lasciar niun capo vuolsi: al suolo appena

      trabalzerá l'ultima testa, in cui

      Roma fonda sua speme; e infranta a terra,

      lacera, muta, annichilata cade

      la superba sua plebe. Appien finora

      me non conosce Roma: a lei di mente

      ben io trarrò queste sue fole antiche

      di libertá. De' Claudj ultimo avanzo

      Ottavia, or suona in ogni bocca; il suo

      destin si piange in odio mio, non ch'ella

      s'ami: non cape in cor di plebe amore:

      ma all'insolente popolar licenza

      giova il fren rimembrar debile e lento

      di Claudio inetto, e sospirar pur sempre

      ciò che piú aver non puote.

      Poppea

      È ver; tacersi,

      Roma nol sa; ma, e ch'altro omai sa Roma,

      che cinguettar? Dei tu temerne?

      Ner.

      Esiglio

      lieto troppo, ed incauto, a Ottavia ho scelto.

      Intera stassi di Campania al lido

      l'armata, in cui recente rimembranza

      vive ancor d'Agrippina. Entro quei petti,

      di novitá desio, pietá fallace

      della figlia di Claudio, animo fello,

      e ria speranza entro quei petti alligna.

      Io mal colá bando a lei diedi, e peggio

      farei quivi lasciandola.

      Poppea

      Tenerti

      dee sollecito tanto omai costei?

      Oltre il confin del vasto impero tuo

      che non la mandi? esiglio, ove pur basti,

      qual piú securo? e qual deserta piaggia

      remota è sí, che t'allontani troppo

      da lei, che darsi il folle vanto ardisce

      d'averti dato il trono?

      Ner.

      Or, finché tolto

      del tutto il poter nuocermi le venga,

      stanza piú assai per me secura ell'abbia

      Roma, e la reggia mia.

      Poppea

      Che


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