Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7 - Giannone Pietro


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nipote, e che potea dire, che fosse più suo questo, che i Regni della Corona d'Aragona. Questi non ebbero molta fatica a divertire quel Re dal pensiero di volere il Regno di Napoli, perchè se ben forse quel vecchio ne aveva volontà, gli mancavano le forze. Ma ebbero fatica in saldare un altra piaga, perchè pochi dì innanzi la Regina Maria, che fu moglie del Re Alfonso morì in Catalogna, e lasciò erede Re Giovanni delle doti sue, ch'erano quattrocentomila ducati, e il Re Giovanni dicea, che doveano cavarsi dal Regno di Napoli e dal tesoro ch'avea lasciato Re Alfonso; ed ebbero questi due Cavalieri fatto assai, quando accordarono di darglieli in diece anni, dicendo ch'era tanto quanto togliere il Regno, volendo così grossa somma di danari a questo tempo, che si sospettava certa e pericolosa guerra.

      Il Principe di Taranto vedendo riuscir vano il suo disegno, tentò un altra impresa, nella quale, oltre i riferiti Baroni, volle avervi anche per compagno il Principe di Rossano, che odiava il Re mortalmente, perchè s'era sparsa fama che il Re avea commesso incesto colla Principessa di Rossano sua sorella carnalmente, e moglie del Principe onde mandò a richiederlo per mezzo di Marco della Ratta, che poichè non era successo l'invito fatto al Re d'Aragona, che pigliasse l'impresa del Regno, mandassero ad invitare Giovanni d'Angiò Duca di Calabria, che ancora si trovava in Genova.

      Era questo Principe venuto in Genova prima di morire Alfonso, quando per la pertinacia sua di non voler restituire a Genovesi le loro navi predate, gli costrinse disperati (poichè non trovarono nelle Potenze d'Italia alcuno ajuto) a darsi a Carlo VII Re di Francia il quale mandò a governargli Giovanni figliuolo del Re Renato, che, come si disse, s'intitolava Duca di Calabria per le ragioni di suo padre; deliberarono per tanto unitamente di mandare il medesimo Marco della Ratta a chiamarlo. Avea costui per moglie una figliuola di Giovanni Cossa, il quale, come fu detto nel precedente libro, si partì da Napoli col Re Renato, e da quel tempo era stato sempre in Francia con grandissima fama di lealtà e di valore; e per questo il Re Renato l'avea dato, come maestro, al Duca Giovanni suo figliuolo; e fu cosa leggiera ad ottenere, che il Duca venisse a quest'impresa non meno per volontà sua, che per consiglio e conforto di Giovanni Cossa, che desiderava dopo un esilio di diciannove anni ritornare alla Patria; onde nell'istesso tempo che mandò a Marsiglia al Re Renato per l'apparato della guerra, fece ponere in ordine galee e navi in Genova, e dall'altro canto il Principe di Taranto, che come Gran Contestabile del Regno avea cura di tutte le genti d'armi, pose Capi tutti dipendenti da lui, e cominciò a dar loro denari per ponersi bene in ordine, e tuttavia dalla Marca e da Romagna faceva venire nuovi soldati, ed accresceva il numero, e già pareva che in Puglia ed in Apruzzo le cose scoppiassero in manifesta guerra, e dall'altra parte nella Calabria per opra del Marchese di Cotrone le cose si trovavano ancor disposte a prorompere in tumulti e disordini. E mentre Re Ferrante era tutto inteso a reprimere questi moti, ecco che s'ebbe l'avviso, che il Duca Giovanni con ventidue galee e quattro navi grosse era sorto nella marina di Sessa tra la foce del Garigliano e del Vulturno; onde per tutte le parti si vide in un baleno arder tutto il Regno d'intestina e crudel guerra.

      Tutta questa guerra, che seguì ne' primi anni del Re Ferrante, fu scritta da Gioviano Pontano, celebre letterato di que' tempi e scrittor contemporaneo, poichè fu secondo Segretario del Re Ferrante istesso. Michele Riccio, pur egli autor coetaneo, parimente trattonne, ancorchè ristrettamente Angelo di Costanzo10 poi più a minuto e con maggior esattezza ce la dipinse, protestando, che se egli s'allargava in molte cose, che il Pontano non scrisse, o non espresse, era per relazione di Francesco Puderico, quegli, che insieme col Sannazaro gli diedero la spinta, e l'infiammarono a scrivere la sua istoria, che morì nonagenario, e di alcuni altri Cavalieri vecchi, che furono prossimi a quel tempo. Antonio Zurita, che seguì per la maggior parte il Fontano, il Summonte ed altri, anche ampiamente ne scrissero; onde essendosi questa guerra cotanto divulgata da questi Autori, nè essendo ciò del mio istituto, volentieri mi rimetto all'istorie loro.

      In breve fu ricevuto il Duca Giovanni dal Principe di Rossano; e spinse la sua armata fino al Porto di Napoli, ed invase gran parte di Terra di Lavoro. Passò poi in Capitanata, e trovò Baroni e Popoli tutti inclinati a seguire la sua parte. Lucera subito aperse le porte, e Luigi Minutolo rese il castello: il simile fece Troja, Foggia, Sansevero, e Manfredonia e tutte le castella del Monte Gargano: ed Ercole da Este, ch'era stato Governadore di quella provincia per lo Re, vedendo tutte le Terre della sua giurisdizione ribellate, passò a servire il Duca. Vennero anche a giurargli omaggio Giovanni Caracciolo Duca di Melfi, Giacomo Caracciolo suo fratello Conte d'Avellino, Giorgio della Magna Conte di Bucino, Carlo di Sangro Signore di Torre Maggiore, Marino Caracciolo Signore di Santo Buono, li quali aveano in Capitanata e nel Contado di Molise molti e buoni castelli; e l'Aquila a persuasione di Pietro Lallo Camporesco alzò le bandiere d'Angiò. Il Principe di Taranto, che si trovava a Bari uscì fino a Bitonto ad incontrare il Duca e lo condusse in Bari, dove fu ricevuto con apparato regale. Il Principe di Rossano tentò insidie e tradimenti per assassinare il Re; ma fu il suo esercito rotto presso Sarno. Tutto Principato, Basilicata e Calabria fin a Cosenza alzò le bandiere angioine, e l resto di Calabria l'avea fatto già ribellare il Marchese di Cotrone; e chi legge l'istoria di questa guerra scritta dal Fontano, può giudicare in che opinione di perversa natura stasse il Re Ferrante appresso i Baroni ed i Popoli, che non solo tutti quelli che con grandissima fede e costanza aveano seguita la parte di Re Alfonso suo padre, o i figliuoli d'essi cospirarono a cacciarlo dal Regno, ma gli stessi suoi Catalani, cominciando da Papa Calisto III che fu suo precettore.

      Le cose di Ferdinando si ridussero in tanta declinazione, che fu fama, la quale il Fontano tiene per vera, che la Regina Isabella di Chiaramonte sua moglie, vedendo le cose del marito disperate, si fosse partita da Napoli con la scorta d'un suo confessore in abito di Frate di S. Francesco, e fosse andata a trovare il Principe di Taranto suo zio e buttatasegli a' piedi l'avesse pregato, che poi che l'avea fatta Regina, l'avesse ancora fatta morire Regina, e che il Principe l'avesse risposto, che stesse di buon animo, che così farebbe.

      Il Duca di Milano, che era entrato in questa guerra in ajuto del Re Ferrante e che correva la medesima fortuna che il Re, per la pretensione del Duca di Orleans sopra lo Stato di Milano, sentendo le cose di Ferdinando in tale stato, pensò se per via di pace e di riconciliazione potesse salvargli il Regno, e mandò Roberto Sanseverino Conte di Cajazza, ch'era figliuolo di sua sorella, in soccorso del Re con istruzione di consigliarlo, che proccurasse di riconciliarsi i Baroni, e ricovrare a poco a poco il Regno; e perchè sapeva, che il Re per la natura sua crudele e vendicativa era noto a' Baroni, che non osservava mai patti, nè giuramenti, per saziarsi del sangue di coloro, che l'aveano offeso; mandò una proccura in persona di Roberto, che sotto la fede di leal Principe potesse assicurare in nome suo quelli Baroni, che volessero accordarsi col Re11. Questa venuta del Conte di Cajazza sollevò molto le cose del Re, perch'essendo parente del Conte di Marsico e di Sanseverino trattò con lui, che avesse da tornare alla fede del Re, siccome venne ad accordarsi accettando volontieri l'onorati partiti che gli fece il Re, fra' quali fu la concessione della città di Salerno con titolo di Principe; di poter battere moneta; che i beni de' suoi Vassalli devoluti per fellonia, fossero del Fisco del Principe, e non del Fisco regale, ed altri onoratissimi patti rapportati dal Costanzo. Il Conte di Marsico, che da questo tempo innanzi fu chiamato Principe di Salerno, mandò subito al Pontefice Pio per l'assoluzione del giuramento, che avea fatto in mano del Duca Giovanni, quando lo creò suo Cavaliere, rimandando al medesimo l'ordine della luna crescente, del quale l'avea ornato Cavaliere e molti altri seguirono quest'esempio; ed il Chioccarello12 rapporta la Bolla di Pio II fatta a' 5 Gennajo dell'anno 1460 colla quale assolve dal giuramento tutti coloro, che aveano dal Duca Giovanni preso l'ordine della luna crescente e disfece questa Confrateria, ch'era chiamata de' Crescenti.

      L'accordo del Principe di Salerno col Re fu gran cagione della salute di Ferdinando, perchè non solo gli diede per le Terre sue il passo, e gli aperse la via di Calabria; ma andò insieme con Ruberto Orsino a ricuperarla; e perchè di passo in passo, da Sanseverino fino in Calabria erano Terre sue, o del Conte di Capaccio, o del Corte di Lauria, o di altri seguaci di casa sua, quanto camminò fino a Cosenza, ridusse a divozione del Re. Fu presa Cosenza e saccheggiata: Scigliano, Martorano e Nicastro si resero: Bisignano fu preso a forza, ed in breve quasi tutta quella provincia tornò alla fede del Re.

      Il Pontefice Pio mandò Antonio Piccolomini suo Nipote in ajuto del Re


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<p>10</p>

Costanzo lib. 19.

<p>11</p>

Costanzo lib. 19.

<p>12</p>

Chiocc. to. 1. M. S. Giurisd.