Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8 - Giannone Pietro


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e partendo egli da Costantinopoli per terra, giunse alla Velona a' 13 di luglio di quest'anno: fece anche apprestare nel medesimo tempo un'armata di 200 vele da carico, e di gente da combattere, dandone il comando al suo famoso Ammiraglio Barbarossa, il quale quasi ad un medesimo tempo, che egli per terra giunse alla Velona, vi giunse egli per mare colla sua armata.

      Il Vicerè, che molti mesi prima, invigilando agli andamenti de' fuorusciti ricovrati in Costantinopoli, avea avuti avvisi da Scipione di Somma Vicerè della Provincia d'Otranto de' maneggi del Pignatello, e di quanto si trattava in quella Corte, e della risoluzione di Solimano, come potè meglio, diede tosto principio alla fortificazione delle riviere del Regno; e scrisse immantenente a Cesare, ragguagliandolo di ciò che dal Turco si meditava, e che a fine di resistergli, gli mandasse tosto soccorso di fanteria spagnuola, per raddoppiare i presidj, avendo egli intanto di munizione e di vettovaglie il tutto provveduto. Ordinò per tanto agli uomini d'arme, che si raccogliessero sotto le loro bandiere, e ragunatili tutti, gli fece accampare nella Puglia piana, donde potevasi con prestezza soccorrere a tutte le riviere. Distribuì ancora le milizie per guardia di Napoli; e poichè si trattava della difesa da farsi contra il nemico comune, fidossi dei propri Cittadini, mettendo in loro mani le arme, acciò si difendessero bisognando: i quali con molta intrepidezza s'offerirono andare incontro a mille morti per resistere all'oste implacabile del Cristianesimo. Fece poi chiamare i Baroni del Regno, e ragunatili tutti in un general Parlamento tenuto dentro il Castel Nuovo, espose loro la cagione della chiamata, il grave pericolo nel quale erano, e che Solimano essendo già partito con potentissimo esercito da Costantinopoli per assaltare il Regno, bisognava per ciò armarsi per una valida difesa. Tutti si offerirono con la medesima prontezza; onde ogni uno finito il Parlamento si diede a provvedersi d'arme, ed accingersi colla maggior prestezza e sollecitudine.

      In questo giunsero al Porto di Napoli 24 Navi cariche di Spagnuoli, ed indi a poco arrivò il Principe Doria con 25 Galee e due Galeoni; ed appresso entraron cinque altre Galee mandate da Papa Paolo III a cui molto premeva render vani i conceputi disegni di Solimano. Partì l'armata dopo essersi provveduta delle cose bisognevoli per la volta di Messina, su della quale il Toledo vi mandò D. Garzia suo figliuolo, e navigando verso Levante, pose il Doria in iscompiglio l'armata nemica. Partito il Doria, il Vicerè mandò alla volta di Puglia la fanteria spagnuola con alcuni pezzi d'artiglieria, ed avuta certa notizia, che Solimano era giunto alla Velona, partì egli da Napoli seguitato dal Baronaggio, e da molta cavalleria a' 28 di luglio, e giunto a Melfi, quivi fece far rassegna generale di tutto il suo esercito. In questo vennegli nuova, come il Bassà Lussibeo, arrivato all'improvviso a Castro, avea posta a sacco ed a fuoco quella Terra, e prese le donne ed i giovani, il resto avea fatto morire: poi assalito Ugento, lo fece brugiare con molti casali attorno. E nel medesimo tempo Barbarossa approdato con settanta Galee in Otranto, fece sbarcar molta gente e cavalli per invader quei luoghi; ma trovandosi Scipione di Somma Governatore di quella Provincia, il quale stava ben provveduto di gente e cavalli, ancor che a lungo andare non avrebbe potuto resistere a tanta furia, pure con molte scaramucce gagliardamente si difese. Ciò inteso dal Vicerè, spinse avanti le sue genti da Melfi, e si portò a Taranto, per esser più pronto a soccorrerlo: ma appena ivi giunto, gli venne avviso come gl'inimici s'erano ritirati ed imbarcati; ed intese anche da alcuni Turchi fatti prigioni, come Solimano si era anche partito dalla Velona per assalire l'Isola di Corfu, e sorprenderla a' Veneziani.

      La cagion di sì improvisa ritirata di Solimano fu, perchè ebbe nuova, che tutte le riviere del Regno stavano ben unite e fortificate di buoni presidj, di valorosi soldati, e di vettovaglie, e che il Vicerè stava in campagna con trentamila uomini, e che il Papa assoldava gente per soccorrerlo. Ebbe anche avviso, che il Principe Doria avea fracassate molte Galee della sua armata; e che l'armata Veneziana (ancorchè vi fosse fra di lor tregua, riputandola i Veneziani per rotta, a cagion, che Solimano in quell'anno avea fatto ritenere in Levante 20 loro Galee) dubitava non se l'intendesse col Doria, e s'unisse anche a' suoi danni; onde dovendosi ritirare, per non perdere la riputazione, nè dimostrar viltà, andò ad assaltare Corfu.

      Dissipato per ciò il nemico, licenziò il Vicerè (dopo aver loro resi molti ringraziamenti) i Baroni, e ad ogni uno, che potesse tornare a casa sua, come fecero. Ma egli considerando, che il Turco non era per desistere dall'impresa del Regno, e conoscendo di quanto giovamento gli era stato lo star provisto di gente, deliberò di fortificare tutte le Terre della riviera: e visitando quelle con buoni Architetti ed uomini di guerra, diede ordine per fabbricare il Castello di Reggio. Cinse di baloardi e di mura la Città di Cotrone: fece fabbricare il Castello di Castro, di Otranto, di Lecce, di Gallipoli, di Trani, di Barletta, di Brindisi, di Monopoli, e di Manfredonia; e fece ancora fortificar Vesti, città posta nell'ultima punta del Monte Gargano; ed avendo con tal occasione scorto, che la maggior parte del Regno, e particolarmente le città di Puglia erano oltremodo oppresse da grossi debiti, onde ne nasceva, che molte si disabitavano, e si rendevano impotenti a' pagamenti fiscali; egli trovò rimedj così efficaci e profittevoli, che in pochi anni furono le Città libere da' debiti, ristorate tutte le loro entrate, e tornate a popolarsi con accrescimento di fuochi: in cotal modo fu rinfrancata Barletta, Trani, Bisceglia, Monopoli, Manfredonia, S. Severo, Rutigliano, Minervino, e molte altre Città oppresse, e furono redente e rilevate le loro entrate. Così il Toledo avendo felicemente terminata la sua espedizione, ripartito poi l'esercito per gli alloggiamenti, se ne ritornò a Napoli. La Città, in grazia d'un così segnalato beneficio, gli donò una collana d'oro lavorata con grande artificio, fatta a spese del pubblico; e come liberatore d'un sì formidabile e potente nemico, gli rese pubbliche grazie.

      Ma il Vicerè, di ciò non soddisfatto, non tralasciò ne' seguenti anni, per maggiormente munire il Regno contra l'incursioni di sì forte nemico, di fortificare l'altre Città e Terre e le marine tutte del Regno.

      Egli fu autore presso a Carlo V per far ordinare, che in tutte le riviere del Regno si edificassero di passo in passo ben alte Torri, con situarvi certi e perpetui stipendj per chi le custodiva, affinchè l'una dando avviso all'altra di qualche sbarco di Corsaro Turco, potessero i paesani ammoniti salvarsi. Fece ancora ne' confini del Regno verso lo Stato Ecclesiastico, costruire una gran Torre, chiamata del Porto di Martino Severo, per sicurtà de' buoni e per vendetta de' rei. E nell'Apruzzo fecevi riedificare un sicuro Castello, siccome fece in Terra di Lavoro a Capua, nel qual tempo fece anche rifar di nuovo il Castello di Baja.

      La città di Pozzuoli a questo Vicerè dee la sua conservazione, e che ora ancor duri sopra la Terra, e non, come Cuma, Baja e Miseno, coprissero le sue mura arena ed erba. I spessi tremuoti dell'anno 1538, le orrendissime voragini aperte in quel piano, ch'è tra il Lago Averno e Monte Barbaro, dalle quali furiosamente uscivano pietre, fiamme e gran nubi di fumo e di cenere, spaventarono in maniera i vicini Pozzolani, che abbandonando le lor case, tutti se ne fuggirono, molti per mare e molti per terra colle loro mogli e figliuoli, lasciando desolata quella città. Il che inteso dal Vicerè cavalcò subito a quella volta, e fermatosi sul monte di S. Gennaro, vide la misera città coverta tutta di cenere, che appena si vedeva vestigio di case, per la cui rovina i Pozzolani aveano determinato di abbandonarla affatto. Ma il Vicerè non volle acconsentire, che si desolasse una città tanto antica, ed un tempo cotanto famosa. Fece far bando, che tutti ivi si ripatriassero, con fargli franchi di pagamenti per molti anni; e per dar loro più animo, vi fece edificare un magnifico Palagio, con una forte Torre, e pubbliche fontane. E perchè s'agevolasse il commercio tra' Napoletani e Pozzolani, fece rifar la via, donde si viene a Napoli, ed appianò, e rese più larga e luminosa quella mirabile grotta (maraviglioso vestigio della potenza Romana) tal che per quella vi si potesse passare senza lume. Fece a questo fine ristaurare, come si potè meglio, i Bagni, e rifare le mura della città; e per renderla più piena d'abitatori, quando prima soleva andarvi per sua salute a dimorarvi la primavera, si allargò poi ad andarvi ad abitare la metà dell'anno; ed essendo di nuovo Barbarossa nel 1544 tornato ad infestare il Regno, meditando dopo aver saccheggiate l'Isole d'Ischia e di Procida, di far lo stesso a Pozzuoli, siccome avea già cominciato da mare a batterla; tenendovi il Vicerè dentro un conveniente presidio, e cavalcando egli stesso con prestezza con tutta la cavalleria, e molta gente da Napoli, e dalle Terre convicine, giunto che fu al Borgo di quella città, Barbarossa veduta la moltitudine della gente, si ritirò subito, proseguendo il suo viaggio verso Levante, ed il Vicerè liberator di quella fece ritorno a Napoli. Tanta previdenza diede egli per liberar le città del regno dalle invasioni di sì potenti e fastidiosi nemici.

      §.


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