Gioia!. Annie Vivanti
un neuro-patologo per questa spasmodica ipersensibilità del mio sistema nervoso....
Che silenzio! Che freddo!
Queste stanze mi sembrano più che mai sepolcrali.
Grazie, gentile signora, delle parole lusinghiere. Mi è doloroso apprendere ch'Ella soffra di quella lieve forma convulsa che, spero, non sarà nulla di preoccupante.
Augurandole pronta guarigione La saluto devotamente.
Claudio mi ha condotta in automobile a Lanzo. Abbiamo avuto due pannes.
Pioveva.
Ritta in mezzo alla strada, col mio cappello Louis-Lewis esposto all'acquazzone, sono stata a guardare Claudio che pompava aria nella grossa gomma moscia e schiacciata. Non aveva con sè il martinetto per rialzare la ruota. I suoi sforzi erano vani.
Io mi domandavo, guardandolo, come mai ho potuto amarlo; come mai da quasi due anni Claudio rappresenti per me l'estasi e lo strazio....
Dopo circa mezz'ora ha smesso.
– Perde aria dalla valvola – mi spiegò.
E a me pareva di sentire che anche il mio amore per lui si sperdeva via, pianamente, lievemente, in un soffio che era tra la risata e il sospiro....
Ho rivisto lo scultore. Passando con Claudio in automobile ho fatto fermare davanti alla sua porta e l'ho mandato a chiamare.
È uscito subito dal suo studio a pian terreno, ed è venuto a salutarmi. Ritto sul marciapiede nel sole, senza cappello, colle chiome nere e lucidissime divise nel mezzo, mi ricordava l'amante nel quadro intitolato «Vertigine».
Ho notato che ha degli occhi inverosimili, velati da ciglia lunghe e fini come le frangie di seta nera di uno scialle spagnolo.
Che meravigliose ciglia!…
La sua anima deve essere un abisso.
Egregio signore,
Venga stasera a trovarmi. Ci sarà gente.
Se quei briganti del Comitato delle Onoranze non mi pagano «La Rassegnazione che sorride al Dolore» sarò in un bell'impiccio. Da tre mesi dovevano portarselo via. Farabutti!
Gentile e illustre signora,
Grazie. Verrò col massimo piacere.
Iersera ho avuto molte visite.
C'era anche Galeazzi. Non ha mai parlato.
Pareva il giovane Endimione dormiente, prima che Astarte lo baciasse in fronte. Ha una fronte classica, calma, pacata sotto quei capelli neri e lisci divisi nel mezzo. (Come mai hanno potuto un giorno piacermi le teste à la Pompadour dalle chiome ondeggianti e svolazzanti, come quella del banalissimo Claudio?).
Temo che lo scultore abbia trovato stolta e frivola la nostra conversazione. Ho pur provato a parlargli dell'influenza di Nietzsche sull'evoluzione della moderna mentalità – devono essere questi gli argomenti che lo interessano! – ma subito il tenente Rossi mi ha distratta e mi ha fatto venire il «fou rire».
Ridevo, ridevo.... e lo scultore mi guardava cogli occhi così gravi e strani che ne rimasi tutta sconcertata. Spero che si sarà ricordato che patisco il convulso.
Ho scoperto ciò che manca, ciò che ha sempre mancato, alla mia vita. Il riso. Nessuno ride mai intorno a me. Il riso, che cosa meravigliosa!… C'è della gente che quando ride riempie di luce, di suono e di fragranza il mondo.
Si chiama Andrea.
Ho pensato a una nuova statua, affatto diversa dalle altre opere mie.
Non mi occorre modella. La farò, così.... dal ricordo: Una donna. Una donna che tra i tragici simboli della vita e il macabro apparato della morte ride! Null'altro.
La intitolerò «Gioia».
Ho rotto definitivamente coll'insoffribile Claudio. Tutto è finito tra noi; egli ha accettato il posto a Budapest; ed io ho scritto un poema intitolato «Addio»! ritmo moderno, come un carro che sballotta per una via sassosa; versi lunghi e corti: bellissimo!
Lo manderò alla Rivista «Ardente».
E così dalla mia vita – exit Claudio.
Che sollievo! Che leggerezza!
Mio signore,
Venga a trovarmi questa sera.
Sarò sola.
Ciò che mi rapisce in lei è la sua letizia, la sua trillante esultanza! Sembra vivere in una continua estasi, in una perenne ebbrezza.
Lavoro alla statuetta «Gioia». Mi pare ch'essa chiuda nel viso ancora misterioso tutti gli splendori e tutte le giocondità.
Mia signora,
Grazie. Verrò.
Ero brutta, so che ero brutta iersera. Alice mi pettina esecrabilmente. Mi fa una testa che pare una «pagnotta Garibaldi».
La licenzierò.
Farei bene ad andare in campagna per un mese a curarmi i nervi e la carnagione. Flavia dice che contro i primi soli di Febbraio non c'è di meglio che la crema Hazeline coll'acqua di rose e alcune goccie di tintura di benzoino.
Mio signore ed amico,
Lascio la città per qualche tempo. Un nuovo poema mi canta ed urge entro il cervello. Andrò ad ispirarmi nella solitudine e nel silenzio.
Venga a salutarmi prima ch'io parta.
Se domani, alle cinque, non avesse nulla di meglio a fare....
Fui da lei oggi alle cinque. Quante cose avrei voluto dirle per impedire o ritardare la sua partenza! Non ho trovato nulla nel mio cuore selvatico, nella mia gola inaridita. Sono rimasto muto, impietrito, a guardare quel riso che le scintillava negli occhi.
.... Non sapevo che le donne potessero essere delle creature così gaie e delizianti.
Già, ne ho conosciute ben poche.
La donna, dunque, è così? Non parla, canta. Non cammina, vola. Non vive, gioisce....
Mi pare di aver trascorso i miei giorni finora rinchiuso in un sepolcreto di famiglia.... d'autunno.... nella nebbia....
Signora gentilissima,
Se la Sua partenza, come spero, non sarà imminente mi permetterei di offrirle il modello di una mia nuova statua, intitolata «Gioia» che mi sarebbe caro dedicare a Lei.
Confido che Ella ritarderà di qualche giorno il progettato viaggio, e mi professo di Lei devotissimo
«Nella guerra d'amor vince chi fugge, E chi non fugge, strugge.»
Amico mio,
È necessario ch'io parta. Il clima di questa città.... ecc. ecc.
Le arrida ogni fortuna.
Mio Dio!… mio Dio!
Viviana,
Non partite!
Andrea.
Andrea,
Non parto.
Mia adorata, mia adorata!
Verrai stasera?
Altrimenti verrò io da te.
Tuo