...Sorella di Messalina. Annie Vivanti
un istante, poi riprese:
—Tu crederai pure che io non sono passata traverso la vita senza amori. Crederai pure che gli uomini mi hanno amata... molto amata...
—Sì,—disse Alberto.
—Ebbene, non vi è nel mondo un sol uomo che possa dire di essere stato mio amante. Non uno!
Alberto si sentì vagamente impressionato. Gli parve ch'ella dicesse il vero. Difatti, nei primi tempi, egli aveva pur parlato di lei, un po' coll'uno, un po' coll'altro; e tutti le avevano attribuito molte passioni e un passato turbolento e tempestoso. Ma chi erano i suoi amanti? o chi erano stati? Nessuno lo sapeva.
E ancora, come s'ella gli leggesse in fronte il pensiero, china verso di lui, mormorò:
—Félix de Courcy... morto. Gilberto Nelson... morto. Goffredo Sarti... morto. Theo Smith... morto. Adriano Scotti...—S'interruppe d'improvviso e si coprì il volto.
Alberto aveva ascoltato attonito il lugubre elenco. Pur avendo voglia di sorriderne, sentiva un piccolo brivido serpeggiargli per le vene.
—Tutti nel pozzo?—chiese finalmente, con una risatina nervosa.
Ella non rispose. Era pallida: due linee dure le solcavano le guancie. Ad Alberto parve brutta: brutta e assurda e temibile a un tempo.
Egli si alzò di scatto.
—Fuggo!—disse.—Voi siete una terribile donna!
E si chinò, quasi ironico, a baciarle la mano.
Solo, nella strada, nel pallido e prosaico tramonto cittadino, il giovane sorrise ancora ripensando la grottesca e macabra posa di costei.
—Basta!—disse, aggiustandosi al collo il bavero del soprabito.—Quella donna è un'esaltata e un'isterica. Non ci andrò più.
VI
Mantenne per tre giorni il saggio proponimento. Poi le scrisse chiedendo di rivederla. Ella non rispose.
Allora la sera seguente, andò da lei.
La trovò, elegantissima, circondata da molta gente: uomini noti ed ignoti; donne della società e dell'arte. Si rivelava una perfetta padrona di casa, calma, corretta e cortese.
E Alberto stupito si domandò:—Era questa la donna dell'annuncio? Era questa la Messalina dall'elenco di amanti morti?
—E come—si chiedeva il giovane, con una tazza di thè in una mano e un sandwich nell'altra,—come erano morti?...
De Courcy doveva essersi suicidato. Gilberto Nelson?... Egli ne ricordava la fine improvvisa in una casa di salute; se ne era assai parlato qualche anno addietro... Degli altri Alberto non aveva mai udito il nome.
Quando gli altri invitati si congedarono, egli restò.
Appena furono soli ella cambiò atteggiamento. Al giovane parve che i suoi lineamenti si trasformassero. Non era più la signora di pochi istanti prima, calma, dignitosa e corretta; gli occhi verdi ridivennero triangolari; le labbra ch'ella mordeva convulsamente eran scarlatte; stringeva con violenza alle narici il fazzoletto intriso d'etere.
Alberto turbato le s'inginocchiò dinanzi, e piegò il volto sul braccio di lei, fresco alla sua guancia accaldata.
—Raimonda!—mormorò convulso—amami! amami!
—Ma ti amo! ti amo! Non hai compreso che ti amo?—singhiozzò lei.
E colle due mani gli alzò il viso e gli affondò nelle pupille lo sguardo violento, assetato di voluttà.
Al giovane ella apparve d'un tratto intristita, avvizzita, pietosa. Ed egli pensò che la donna è meno bella quanto più è ardente, meno inebriante quanto più è appassionata, meno commovente quanto più è commossa.
Con subitaneo finissimo intuito ella parve leggergli in fronte quel pensiero. Si riprese, subitamente calmata, sorrise, lo cinse col braccio e gli battè lievemente le dita sulla schiena, come se suonasse il pianoforte.
—Ma tu, dopo ciò che ti ho detto, tu hai forse paura di me!
—No! no! non ho paura—esclamò il giovane, ripreso a sua volta dalla passione.—Hai detto che amarti era la morte! Ebbene, io non ho vissuto prima di amarti!
—Nè vivrai dopo di avermi amata,—disse, accarezzandogli con mano leggerissima i capelli.
Di nuovo egli si sentì urtato da questa asserzione sensazionale che gli parve assai spostata.
Che strana manìa era questa, di voler drappeggiare un grazioso idillio, una piacevole avventura, nel manto tenebroso della grande tragedia?...
Tuttavia, riflettè Alberto, se questa donna voleva ad ogni costo un amore truce e macabro, una passione alla Grand Guignol, bisognava accontentarla. Egli intonerebbe in minore la sua passione e avvolgerebbe di veli neri le rosse fiamme del suo desiderio.
Già. Le donne sono delle strane creature. Bisogna prenderle come sono.
Ed egli la prese com'era.
VII
Com'era?
Era feroce e dolce, era magnifica e mostruosa. In lei l'amore era qualcosa di convulso e di atroce.
E il giovane, da principio stordito e quasi respinto da tanta feroce frenesia passionale, disse a sè stesso:
—Di questa donna mi stancherò presto.
Ma non se ne stancò.
Poichè ella si rivelò un'amante portentosa. Un'amante di profondo e prodigioso intuito; di una sensitività acre e morbosa, di una sensibilità fantasiosa e ispirata. Era così varia e sorprendente che al giovane pareva di conoscere in lei tutta la muliebrità del mondo. Ella era mille donne! Era tutte le donne. Era la donna!
Ora appariva all'amante candida come una bimba; ora corrotta come una meretrice. Oggi ostentava una lubrica depravazione, domani una sognante idealità. Oggi era commovente di ingenua dolcezza, domani spaventosa di delirante lussuria.
Egli la lasciava a tarda notte sopita in un letargo mortale, quasi inabissata nell'inerte stupore di un ipnotico; e, dopo qualche ora, la ritrovava, lieta e candida, gaia e fanciullesca.
Nei soleggiati meriggi uscivano insieme ed ella era con lui saggia e positiva, consigliatrice affettuosa, amica dolce e quasi materna.
Nei ritrovi mondani si rivelava la dama spirituale e corretta, di una dignità calma e irreprensibile...
E la sera, ecco! gli si abbatteva tra le braccia, empia e violatrice, iena, furia, vampiro!
Alberto ne fu avvinto e travolto. Egli che fino allora, con altre donne, era sempre stato un amante blando, temperato e sufficiente, con lei divenne un vulcanico amatore, un amante sovrumano e trascendentale. Turbini e tempeste gli scotevano i nervi. Ed egli sentiva di essere un uomo speciale, prescelto, eletto! Sentiva di essere un dio.
Andava intorno per la città con aria spavalda e sprezzante; disdegnava le donne, insultava gli uomini, si pettinava come un apache, si profumava il fazzoletto coll'etere. Dipingeva con balda iattanza, sbattendo sulla tela delle spennellate sprezzanti e disdegnose.
E trattando così, con altezzosa villania, gli uomini, le donne e l'arte, si fece molto notare ed apprezzare.
Ed essa lo amò. Lo amò con frenesia ed estasi, con rapimento e strazio.
Ben presto venne l'epoca, come in tutti gli amori, in cui ella non volle più vedere nessuno all'infuori di lui; nè amici, nè amiche, nè conoscenze, nè estranei. Lo rinchiuse nella sua passione come in una fortezza, esigendo da lui il passato, il presente e l'avvenire, chiedendogli la rinuncia ai suoi ideali, alle sue aspirazioni,