Carovana. Stephen Goldin

Carovana - Stephen Goldin


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sorrise. “Quella è solo una piccola parte. Tu hai detto—vediamo se riesco a citarti a memoria ‘la Chiesa Cattolica ha fatto più di qualsiasi altra singola organizzazione nella storia per ritardare il corso del progresso umano.’ “

      “Spero tu non l'abbia presa troppo personalmente; il fatto è che la Chiesa Cattolica è stata in giro più a lungo di qualsiasi altra singola organizzazione nella storia. Tutte le istituzioni alla fine diventano più o meno repressive—a un certo punto della loro esistenza la loro funzione passa all’auto conservazione piuttosto che al perseguimento degli scopi originali. Io criticavo la struttura burocratica e non i singoli cattolici.”

      “Questo l'ho capito. Ma a noi singoli cattolici viene insegnato che la Chiesa non può sbagliare e ci dà fastidio essere attaccati su questo punto. Ma quella non era l'unica mia obiezione. Come rappresentante consacrato di Dio, non potevo fare a meno di avvertire che Lo avevi lasciato fuori dai tuoi calcoli.”

      “Come agnostico consacrato, ” ribatté Peter, “non potevo fare a meno di sentire che il sovrannaturale fosse una variabile superflua nei miei calcoli. Avevo come obiettivo principalmente l'ecologia sociale. Le regole erano state stabilite da Dio —sempre se realmente esiste— molto tempo fa e io non potevo prevedere alcun cambiamento alle regole principali una volta che il gioco aveva avuto inizio. Io ho considerato solo ed esclusivamente gli esseri umani.”

      “E hai ignorato la possibilità di un intervento divino.”

      “Diciamo che sarei stato contento di dargli il benvenuto ma che non ci contavo molto.”

      “E cosa ne dici di questo tentativo di colonizzazione interstellare?”

      “Se stai cercando di rivendicare che sia un intervento divino, non potrei smentirlo. D'altro canto, ti sfido a provare che non sia semplicemente il frutto del lavoro di qualche uomo ingegnoso e pieno di buona volontà.”

      “Touché” sorrise Jason.

      Peter per la seconda volta provò la sensazione di essere osservato. Si guardò intorno e notò che la ragazza bionda lo stava ancora fissando da pochi metri di distanza. “Chi è lei?” chiese alle persone intorno a lui.

      “È Risa Svenson,” rispose Marcia. “L'abbiamo raccolta a Monterey. Una ragazza molto strana, se vuoi la mia opinione.”

      “Strana? In che senso?”

      “Fondamentalmente è solo timida,” spiegò il prete. “Questo e la sua giovinezza la tengono un pochino in disparte rispetto agli altri. In realtà è veramente una persona carina.”

      “Vorrei andare a parlare con lei per un po’. Grazie a tutti per aver fatto colazione con me. Jason, mi piacerebbe continuare la nostra conversazione un po’ più tardi.”

      Peter si alzò e andò verso la giovane, che stava ancora fingendo di non accorgersi di lui. “Scusami se te lo chiedo, ma perché mi stavi fissando?”

      Lei lo guardò, trasalendo. “Io non—”

      “Sì invece. Non che la cosa mi infastidisca molto, ma vorrei sapere il perché.”

      Lei aprì la bocca per trovare una scusa, la chiuse e poi disse, “Tu eri così famoso e io volevo solo darti un'occhiata. C'è qualcosa di male in questo?”

      “No. In effetti, sono piuttosto sollevato nello scoprire che non assomiglio al mostro ripugnante che tu pensavi io fossi.”

      Dall'espressione della ragazza, Peter capì che aveva indovinato i suoi pensieri. “Non pensavo realmente che tu fossi un mostro,” disse in fretta.

      “Certo che no.”

      “Ma avevo sentito così tante cose cattive su di te”

      “Hai mai letto il mio libro?”

      “No, ero troppo giovane. Ho visto, però, uno spettacolo televisivo che ne parlava. Non mi era piaciuto—sembrava così deprimente e negativo.”

      “Era deprimente e negativo,e non piaceva neppure a me. Ma cosa puoi fare con la verità? Se la seppellisci in un angolo, lei scaverà, e tornerà da te a morderti le caviglie.”

      “É che… non so. Voglio credere che ci sia una speranza, da qualche parte, per il mondo. Il tuo libro lasciava con l'impressione che non ce ne fosse.”

      “La situazione poteva essere vista da tutti. Io mi sono limitati a essere quello che accendeva la luce. Non è servito—la gente ha preferito chiudere gli occhi e ha finito con l'inciampare nel futuro. Io mi sono solo limitato a riportare i fatti.”

      “I fatti non sono tutto,” disse la ragazza. “Abbiamo bisogno anche dei sogni.”

      “Quanti anni hai?”

      La ragazza lo guardò sulla difensiva. “Diciannove, perché?”

      “A diciannove anni avevo appena preso il mio diploma in Sociologia. La gente mi considerava una specie di genio e mi iscrissi a un programma universitario accelerato. Allora avevo anche io dei sogni, sogni grandiosi. Avrei risolto tutti i problemi del mondo. Sistemato le cose in modo che tutti potessimo vivere in pace.” Si strinse nelle spalle. “Poi è successo qualcosa—forse sono solo cresciuto, non lo so. In un paio d'anni tutti i sogni si sono trasformati in incubi. Il mondo si stava allegramente incamminando verso l'Inferno, e nessuno stava facendo una dannata cosa per fermarlo. Ho cercato di urlarlo, di tirare i freni, e la gente mi ha ignorato. C'è da meravigliarsi che mi sentissi impotente?” Peter scoprì, con suo grande disappunto, di avere gli occhi pieni di lacrime. É proprio quello di cui ho bisogno, avere una crisi nervosa e mettermi a piangere davanti a una completa sconosciuta, pensò, chiedendosi allo stesso tempo perché la ragazza lo colpisse così tanto da fargli quell'effetto.

      Con sua grande sorpresa l'atteggiamento della ragazza si addolcì di colpo. “Mi dispiace,” gli disse, toccandogli delicatamente un braccio. “Non lo sapevo. Deve essere così triste, vedere morire così tutte le tue speranze.”

      “Scava nell'anima di un cinico e troverai un ottimista che è stato deluso.”

      “Povero,” disse lei, fissandolo con i suoi enormi occhi blu. “Vuoi parlarne?”

      Si sedettero sul ciglio della superstrada, accanto alla carovana e prima ancora di rendersene conto Peter si trovò a raccontare la storia della sua vita a questa strana, meravigliosa ragazza.

      

       * * *

      

      Honon tornò un paio d'ore dopo mezzogiorno. “Non ho avuto fortuna,” disse a tutti, poi in privato spiegò a Peter, “Sono sicuro che capisci come vanno le cose. C’è un tipo con moglie e due figli. Ha un lavoro richiesto per i prossimi anni—la gente avrà sempre bisogno di scarpe, e le scorte nei negozi non dureranno per sempre. Perché dovrebbe sradicare la sua famiglia e gettarsi in questa folle avventura con noi? Non posso biasimarlo—a volte è una decisione difficile da prendere. Io e te, senza legami, siamo fortunati. Possiamo prendere e andare dove e come ci pare. Sta attento alle responsabilità che ti prendi.”

      “Allora cosa facciamo ora?” chiese Peter.

      “Ci rimettiamo in marcia. Abbiamo ancora molta strada da percorrere e non abbiamo nessun altro affare urgente a Los Angeles. Appena Kudjo arriverà con un rapporto sulla situazione, faremo risalire tutti in macchina e ce ne andremo.”

      Kudjo arrivò mezz'ora dopo. Riferì che la superstrada era libera per tutto il lato orientale della città e che non sembrava ci fosse alcuna banda di teppisti a creare problemi. Con questa assicurazione, tutti rientrarono nelle rispettive automobili. Honon, che aveva un walkie-talkie grazie al quale era collegato a ogni veicolo, diede il via e la carovana si mise in moto. Peter, su invito di Honon, salì nella cabina del primo furgone con il capo della carovana.

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