Omicidi Alieni. Stephen Goldin

Omicidi Alieni - Stephen Goldin


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tutto il suo tempo a scrivere su di un taccuino. Rabinowitz non ricordava di averlo mai sentito pronunciare cinque parole consecutive, ed anche in quei casi era solamente per chiedere dei chiarimenti.

      Chalnas non c’era in quel momento. Era una di quelle persone che non noti se c’è, ma la cui assenza stona.

      Nel centro della stanza, alla sua scrivania, c’era Path–Reynik Levexitor. I Jenitharp erano bipedi, ma umanoidi solo per una definizione generosa del termine. Erano cilindri irsuti, ricoperti da un piumaggio un po’ simile al marabù. Due lunghissime braccia, collegate al corpo nel punto in cui ci dovrebbe essere la cintura; potevano raggiungere con la stessa facilità la sommità delle loro teste bulbose e le suole dei loro grandi piedi. Gli occhi erano nascosti meglio di quelli di un cane da pastore e le voci sembravano risuonare dal loro intero corpo.

      La proiezione di Levexitor nello spazio virtuale era altissima, una spanna più alta di Rabinowitz. Il suo marabù era screziato di lavanda, molto più elegante del marrone plebeo di Chalna. Era così nobile che non aveva bisogno molto di muoversi.

      Non c’erano sedie nella stanza. Rabinowitz era in piedi, Levexitor era in piedi, Chalnas— quando era presente – stava in piedi. L’attitudine di rendersi deliberatamente più bassi davanti agli altri era chiaramente impossibile su Jenithar. Se Rabinowitz non fosse stata in grado di sedersi comodamente nella sua sedia reclinabile a casa, anche mentre stava in piedi nello spazio virtuale di Levexitor, alcune delle sue lunghe sessioni di trattativa non sarebbero andate così bene.

      “Benvenuta, Signorina Rabinowitz. Non mi sarei aspettato di trovarmi di nuovo di fronte a lei così presto.”

      “Le chiedo veramente scusa per l’intrusione Altissimo. C’erano ancora alcuni piccoli dettagli da sistemare, e pensavo potessimo farlo una volta per tutte, … ma se Chalnas non è qui per registrarli.”

      “È il giorno di riposo di Chalnas, ma posso ricordare bene quello che diremo. Continui, la prego.”

      Rabinowitz passò i successivi 10 minuti a discutere le definizioni precise di diritti teatrali in nero, per tutti e tre i romanzi Tenger e la durata esatta delle opzioni.

      Anche se era un esercizio senza senso, le dava una scusa legittima per essere lì.

      Nelle risposte di Levexitor c’erano delle insolite lunghe pause, e lui sembrava piuttosto a disagio.

      C’era evidentemente qualcosa nel suo spazio reale che preoccupava almeno una parte della sua mente. Quando Rabinowitz commentò che probabilmente lui avrebbe preferito occuparsi delle sue cose personali e rifarsi vivo con lei più tardi, lui respinse l’idea con un gesto della mano e continuò la discussione.

      Quando arrivarono al punto cruciale e lo affrontarono in modo più dettagliato di quanto fosse necessario, Rabinowitz disse, “Altissimo, ho qualche esitazione a sollevare delle questioni così delicate davanti a qualcuno così alto, ma qualcosa mi ha disturbato così tanto che sento di doverle parlare di questo.”

      “La prego di sentirsi libera di parlare apertamente.” Disse Levexitor.

      “Molto bene, Altissimo,” disse Rabinowitz. “Sulla Terra ci sono voci che dei criminali stiano cercando di contrabbandare la nostra letteratura su mercati dei mondi esterni. Non ho sentito nomi, ma solo i più infimi dei nostri si abbasserebbero a svolgere un’attività di questo genere.”

      “È curioso che lei parli di questo argomento proprio adesso, Signorina Rabinowitz. Continui, la prego.”

      “So che lei naturalmente è al di sopra di certe cose. Come amica, tuttavia, ero preoccupata che Lei potesse inconsapevolmente essere raggirato da questi esperti criminali e commettere azioni che potrebbero certamente sminuirla. Pensavo anche che potesse sapere come diffondere queste notizie fra i suoi colleghi più bassi, alcuni dei quali potrebbero cedere alla tentazione. Questi criminali sono privi di scrupoli e sminuirebbero chiunque trattasse con loro.”

      “Infatti,” disse Levexitor. “Posso capire fin troppo bene che qualcuno, persino il più alto fra noi, potrebbe essere momentaneamente tentato da queste offerte, in particolare se provengono da alte fonti.” Ci fu un’altra lunga pausa. “Sì,” continuò infine, “e posso anche capire lo sminuire di cui parlava. Per parlare in tutta franchezza, Signorina Rabinowitz—”

      Levexitor si fermò improvvisamente e si girò. La testa si piegò all’indietro, come se stesse guardando in alto. Poi, emettendo un piccolo grido, si chinò in avanti sulla scrivania e restò fermo, fermissimo.

      “Altissimo? Altissimo?” La stanza era completamente silenziosa. Nessun movimento, nessun rumore. Rabinowitz si guardò intorno. Non c’era nessuno nella stanza virtuale, a parte Levexitor e lei. E Levexitor non si muoveva.

      Rabinowitz avanzò fino a trovarsi proprio di fianco al grande alieno. Si sporse per toccarlo. Era massiccio, come toccare un albero indossando spessi guanti di gomma, ma nessun’altra sensazione oltre a quella. Il corpo proiettato di Levexitor era reale come le pareti – e non più vivo.

      Camminando lentamente, fece il giro della stanza. I suoi passi non facevano rumore. Levexitor non faceva rumore. Le sole cose che udiva erano le sue pulsazioni che le fluivano nelle orecchie e il respiro che stava cercando di tenere controllato.

      Non sarebbe stato un bene gridare o chiedere se ci fosse qualcuno. In questo spazio virtuale c’era solo la sua proiezione e la proiezione di Levexitor. Qualcuno o qualcosa poteva essersi introdotto nello spazio reale di Levexitor e poteva in effetti essere ancora lì, ma lei non poteva vederlo.

      Doveva informare qualcuno. Si guardò intorno nella stanza scarsamente arredata, cercando qualche dispositivo di comunicazione. Non sembrava essercene nessuno. La scrivania di Chalnas era vuota e anonima. C’erano alcuni comandi digitali sul tavolo di Levexitor, ma lui era sdraiato su di loro e lei non poteva muoverlo. Anche se avesse potuto, i comandi non sarebbero stati proprio intuitivi.

      Improvvisamente il corpo di Levexitor sobbalzò sul tavolo. Non era un movimento consapevolmente controllato. Mentre Rabinowitz guardava, mani invisibili si muovevano sul pannello di controllo della scrivania. Poi l’ufficio alieno improvvisamente scomparve e lei si ritrovò nella sua stanza dei Viaggi Virtuali.

      Si avvolse le braccia intorno al corpo e sedette sulla sedia reclinabile, tremando come una foglia. In effetti batteva i denti: non riusciva a ricordare di averlo più fatto da quando aveva letto per la prima volta “Il cuore rivelatore” quando aveva quattordici anni. Chiuse gli occhi e cercò di controllare gli improvvisi boccheggi, in cerca di fiato. Lentamente, molto lentamente riprese il controllo. Obbligò le labbra tremanti: “Telefono: San Francisco, Interpol, Detective Hoy.” Dopo pochi istanti, il viso sorridente del detective le apparve davanti.

      “Che bella sorpresa, Signorina Rabinowitz,” disse. “Non pensavo di risentirla così presto.”

      “Non bella,” rispose lei. “Per niente. Dovrà contattare le autorità di Jenithar. Qualcosa è appena successo a Levexitor. Penso sia stato assassinato.”

       ***

      “Mi sento così stupida,” disse Rabinowitz. “Sono andata in panico come un’adolescente svitata. Non ero in pericolo. Non mi avrebbe potuta toccare. —”

      “Lei era presente quando è finita violentemente la vita di qualcuno!” disse Hoy in modo confortante dalla scrivania del salotto. “O almeno telepresente. Penso che non sarebbe normale se lei non fosse rimasta scioccata.”

      “Era proprio lì con me,” continuò Rabinowitz. “L’assassino. Non potevo vederlo, non potevo sentirlo, non potevo toccarlo. Ma comunque era lì. Lui era nel mondo reale e io in uno virtuale, ma avevamo un collegamento in comune—Levexitor. Lei pensa che mi abbia vista??”

      Hoy fece una pausa. “Beh, potrebbe avere controllato il computer di Levexitor senza essere nello spazio personalmente. La sua immagine proiettata è fedele alla realtà?”

      “Sostanzialmente sì. Sono abbastanza soddisfatta del mio aspetto.”

      “Allora


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