Oltre Il Limite Della Legalità. Alessandro Ziliotto
La domanda mi era uscita schietta e sincera, senza tener conto che non avevo nemmeno i soldi per offrirle una pizza, il massimo che sarei riuscito a permettermi, forse, era un panino al Mc Donalds, sempre che non avesse preso il menù completo. Insomma mi ero inguaiato con le mie stesse mani, per la prima volta, da che la memoria me lo concedeva, speravo che una ragazza non accettasse il mio invito.
“Che scemo che sei. Comunque sì.”
Ecco ero rovinato, e ora cosa le avrei detto?
“Eh…”
“Ma perché quella faccia? Mi hai chiesto se avevo qualche impegno e ti ho detto semplicemente di sì. Mi spiace. Ora devo scappare, continueremo la conversazione la prossima volta, magari domani se vieni.”
“Ok. A domani allora.”
“Buona serata.”
“Anche a te. Ciao.”
“Ciao.”
Mi piaceva. Questo suo atteggiamento cordiale e socievole nei miei confronti, senza sbilanciarsi troppo, e l’aver declinato il primo invito, mantenendo comunque l’argomento aperto per il giorno seguente, garantendomi la sua presenza, era il degno ingegno del sesso femminile. Forse ero io troppo ottimista nei suoi confronti e non capivo come al solito nulla sulle donne, oppure i segnali che mi stava mandando lì stavo percependo perfettamente e dovevo solamente cogliere il momento adatto per farmi avanti.
“Che diavolo stavo facendo.”
Pronunciai a bassa voce tra me e me, forse facendomi sentire dalle persone che passavano lì vicino, le quali effettivamente mi guardarono di sott’occhio quasi fossi uno psicopatico.
Il mio obbiettivo era incontrare e conoscere “Senna”, cercare di avvicinarlo e in qualche modo agganciare dei minimi contatti con lui, sperando di prenderne confidenza entro poco tempo e invece dopo che Isabel se n’era andata, senza pensarci su due volte, m’andai a fare la doccia prendendo l’uscita sempre con la sua immagine in testa, pensando solamente al giorno seguente, tempo in cui probabilmente l’avrei rivista. Questo sarebbe potuto essere anche naturale e accettabile per una persona qualunque, ma non per me, non dovevo perdermi su queste sciocchezze e debolezze, l’avevo fatto sino a qualche mese prima, e mi ero ripromesso che sarei dovuto cambiare. Questa era una nuova vita, maturata sugli errori del passato, perché era di sbagli che si stava parlando.
Uscivo dallo spogliatoio con la mente offuscata, e indispettito dal mio stesso comportamento. Aprendo la porta andai a sbattere contro la prima persona che avevo incrociato.
“Scusami.”
“Ehi, ma che cazzo fai? Non ci vedi. Che sei su un altro mondo?! Dai levati, hai intenzione di startene lì impalato come un mulo?”
“Oh, vedi di rilassarti. E dire che mi sono pure scusato, sai che ti dico, ma chi cazzo ti credi di essere? Se sei nano e non ti vedo non è mica colpa mia! Metti i tacchi la prossima volta, levati va che non riesco a uscire.”
Mi feci avanti dandogli una spallata. Il gesto improvviso gli fece perdere l’equilibrio e arretrare di qualche passo, ma questo mi aveva permesso di passare e raggiungere l’uscita della palestra.
Sentii la voce del personal trainer avvicinarsi nella nostra direzione.
“Senna, tutto bene, cos’è successo, qualche problema?”
“Tutto bene, tranquillo.”
Mi sentii il suo sguardo sulla schiena e ciò mi faceva molto piacere. Non avrei potuto far incontro migliore. Non sapevo se il gesto era stato dettato dalla coincidenza o dalla mia sbadataggine, sta di fatto che sebbene in un primo momento, non l’avessi riconosciuto, successivamente, approfittai della situazione per farmi vedere uno che non si faceva mettere i piedi in testa dal primo che passava, e la cosa non poteva essere che positiva.
Ero sceso dall’autobus e avevo cominciato a passeggiare per tornare a casa, sebbene non fosse proprio casa mia, bensì l’unico posto dove potevo andare. A esser sincero non riuscivo a capire perché l’avevo definito casa. E la risposta non potevo trovarla solamente nel fatto che avevo un tetto sotto al quale dormire, certo anche per questo, anche se dentro di me ero consapevole che era dovuto alle persone che animavano quell’ambiente, e nel loro modo di interagire con me. Erano incredibili, e giorno dopo giorno lì riuscivo ad apprezzare sempre di più, sebbene l’idea che avessi per la loro popolazione in linea generale, rimaneva comunque pessima.
L’imbrunire era sceso, sfumando i contorni dei palazzi con i suoi scuri colori.
Un solo pensiero avevo nella mente, ma più mi ronzava dentro e maggior era la volontà con cui cercavo di cacciarlo via, come si trattasse di una zanzara.
I suoi occhi stavano diventando lentamente il buco nero dei miei pensieri, le sue dimensioni erano piccolissime, ma gradualmente crescevano sino a riempirli completamente; la cosa m’affascinava ma mi faceva una paura immane. Anche perché ora come ora non avevo tempo da perdere con una donna. Avevo fissato un obbiettivo nella mia vita e l’avrei dovuto raggiungere in un modo o nell’altro, ma era altrettanto vero che un uomo non era un vero uomo se non aveva una donna al suo fianco che lo rispettava e lo sorreggeva nei momenti di sconforto qualora fossero entrati senza bussare. Non avrei dovuto fasciarmi la testa prima ancor di rompermela, ma vivere la cosa per come sarebbe andata, fatto sta che lei era veramente incantevole, e non potevo non desiderarla con tutto il mio corpo e la mia mente.
“Ehy Archimede, come va? Andata bene la giornata oggi?”
“Si si, tutto bene.”
Quel personaggio così fuori luogo e incredibilmente inaffidabile, era incarnato in una persona alta circa un metro e settanta, dalla corporatura esile e disidratata, e dal sorriso tutt’atro che perfetto. Quando sorrideva dei piccoli fori scuri,marchiavano il suo sorriso. I capelli neri crescevano a ciuffi qui e là, facendosi notare grazie alla loro lunghezza relativamente corta. Dimostrava molto più dei suoi 24 anni, ma non sembrava interessarsi della cosa, anzi, disprezzare la cura della sua persona, ora che lo conoscevo da poche ore, pareva un risultato cercato, e a dire il vero, pienamente trovato. I vestiti che indossava erano sempre stropicciati e solo saltuariamente profumati, anche se non potevo dire che emanasse un odore sgradevole, ma solo un po’ nauseante. In poche parole era l’opposto del fratello, il quale, anche a causa, o per fortuna del lavoro come interprete, doveva mantenere un certo tipo di dignità e pulizia. Ahmed invece vestita con delle semplici magliette da pochi euro, e dei pantaloni definibili quasi jeans, calzando ovviamente dei sandali, cosa che in casa ometteva puntualmente. Le unghie dei piedi, per com’erano tagliate, sembravano strappate via a morsi.
“Ho capito non hai fatto nulla come al tuo solito, e chi lo sente tuo fratello ora che torna a casa?!”
“Quello che spetta a me, spetta pure a te…non è che tu abbia fatto molto più di me, anzi, te ne sei andato in palestra, giusto?”
“Certo che sono andato in palestra, ma a te quello che faccio io non ti deve interessare, e poi ora come ora l’ultima cosa che mi serve è trovare un lavoro, ma questi non sono affari che ti riguardano, e poi sei tu quello che vive sulle spalle del fratello da anni e prima che tu possa aggiungere qualcosa, la mia sistemazione qui è momentanea, ancora pochi giorni e ringrazierò il sangue del tuo sangue dell’ospitalità che mi ha concesso.”
“Sai, pure io detto così, invece eccomi qua, sono mesi che vado avanti come te e credo che tu sarai uguale a me, poi che te ne frega se trovo lavoro o no, tu non mio parente.”
“C’hai ragione, ma sai che potresti fare, mi potresti aiutare.”
“Fare che cosa?”
“A imparare il marocchino, che ne dici, me la dai una mano?”
“Se paghi, ok.”
“Sei proprio un genio, vedi che faccio bene a chiamarti