Dal Vangelo Secondo Giuda. Andrea Lepri

Dal Vangelo Secondo Giuda - Andrea Lepri


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ad accoccolarsi sulle sue ginocchia e si strinse tra le sue braccia.

      «Possiamo soltanto aspettare e vedere cosa accadrà, non abbiamo altra scelta. Io sono fiduciosa, in fondo siamo sempre riusciti ad uscire dalle situazioni difficili, anche se allora era diverso perché dipendeva solo da noi.»

      «Che cosa vuoi dire?» le chiese perplesso lui. «Da chi altri dipende la soluzione dei nostri problemi?» insisté, le prese il viso tra le mani e lo girò delicatamente verso di sé per guardarla negli occhi. Lei cambiò espressione e lo guardò come le fosse appena sfuggito qualcosa che non voleva o non poteva dire, ma subito dopo tornò a fissare le fiamme del camino. «Possiamo soltanto aspettare» ripeté rassegnata, senza spiegarsi. «Sono sicura che tutto si risolverà per il meglio, ma anche se qualcosa andasse storto e dovessi davvero perdere la vita per far nascere il nostro bambino, gli anni che ho trascorso con te e Jodie mi avranno ripagata di tutto questo tormento» aggiunse poi sottovoce, come per cominciare ad abituarsi all’idea. Era la prima volta che affrontavano questo discorso, l’eventualità di trascorrere il resto dei suoi giorni senza di lei passò fugace nella testa di Giuda, che si sentì sprofondare in una voragine senza fine.

      «Una soluzione ci sarebbe» sussurrò evitando di incontrare i suoi occhi, lei lo guardò turbata perché aveva paura di quello che lui le avrebbe detto.

      Gli occhi di Ann erano di uno splendido colore verde mare ma tagliati in un’espressione lievemente arcigna, i corti capelli neri mettevano in evidenza i suoi lineamenti fini e regolari. Pur non essendo canonicamente bella aveva un certo magnetismo nello sguardo, quando sorrideva mostrando i denti candidi non era facile staccare gli occhi dal suo volto vagamente mascolino. Continuava a guardarsi le mani, che si muovevano nervose tamburellando sulla scrivania mentre cercava le parole più adatte. Non temeva in alcun modo l’uomo che aveva davanti, ma era molto orgogliosa e dover ammettere quella piccola macchia professionale la seccava.

      «Qualcuno si è introdotto nell’Archivio Storico» annunciò infine semplicemente, quasi con rassegnazione.

      «Ma com’è possibile? Il sistema informatico è protetto da un labirinto di miliardi di combinazioni, analizzarle tutte per arrivare alla password definitiva è praticamente impossibile» replicò l’Anziano, incredulo.

      «Hanno installato un programma che si auto evolve. In base alle varianti degli errori commessi nei diversi tentativi di trovare la soluzione, arriva gradualmente a pensare come la persona che ha installato la password. Gli è bastato girare indisturbato all’interno del sistema per pochi giorni, attraverso un terminale satellite collegato alla rete.»

      «Come lo avete scoperto?»

      «Una volta passato lo sbarramento, il Server Centrale rivela automaticamente la violazione e cambia immediatamente la password. Ma stavolta non è stato abbastanza veloce, perché il programma intruso ragionava molto più rapidamente.»

      «Siete almeno riusciti a individuare il terminale spia?»

      «Per ora sappiamo solo che è situato nel Nono Quadrante, ma ci stiamo lavorando sopra e spero che potremo essere più precisi in capo a qualche giorno. Dobbiamo ancora analizzare i tempi impiegati per la trasmissione dei dati e le distanze percorse dai files, si lavora su miliardesimi di secondo perché esistono terminali vicinissimi tra loro.»

      Sir Jonathan provò un fastidioso senso di oppressione al petto. Ancora una volta, e soprattutto in un momento delicato come quello, qualcuno stava cercando ostacolarlo. Sperò che l’autore dell’intrusione non avesse trovato le informazioni sul “Giorno della Rivelazione”, o che al limite non fosse stato abbastanza intelligente da decifrarle. Si lasciò andare a un moro di stizza e sbatté con forza un piede a terra, aveva appena avuto la conferma che il suo cammino verso la Gloria era ancora lungo e impervio, a dispetto dei risultati grandiosi che aveva ottenuto fino a quel momento.

      Di questo era consapevole da sempre, ma era convinto che pur di arrivare alla mèta valeva la pena di rischiare tutto ciò che aveva. Per la prima volta in vita sua, però, si trovò a domandarsi se avrebbe avuto la forza e la determinazione necessarie per portare a compimento quella sfida. Nell’Archivio Storico erano celati segreti troppo importanti, per potersi permettere che divenissero di dominio pubblico. Eppure, nonostante tutte le precauzioni prese e tutte le barriere costruite, qualcuno era riuscito a penetrarvi.

      «Lei è la migliore del Reparto Antisommosse, Ann, non è un caso che ne sia il comandante assoluto. Si dia da fare, faccia quello che meglio crede e usi i mezzi che ritiene più opportuni, ma trovi l’intruso. E lo trovi alla svelta! Se anche una soltanto, tra tutte quelle informazioni riservate, cadessero in mano a qualche cittadino, sarebbe un vero disastro. Un evento del genere produrrebbe un danno irreparabile ai nostri equilibri sociali» disse, poi se ne andò senza neanche attendere la risposta della donna.

      «Sempre Sia Lodato!» gli gridò polemicamente lei alle spalle per rinfacciargli la sua maleducazione, poi si rimise al lavoro sul terminale.

      «Hai spiato all’interno dell’Archivio Storico?» chiese Nicole quasi gridando, era sconcertata. «Devi essere impazzito! Se ti avessero scoperto, a quest’ora saresti rinchiuso in prigione. Ti avrebbero accusato di appartenere alla Setta e ti avrebbero somministrato ogni tipo di trattamento psicologico, pur di estorcerti informazioni.»

      «Ma quale Setta, sai bene che la Setta non esiste! E comunque non l’ho fatto di proposito, stavo navigando in rete quando ho notato che qualcosa non andava per il verso giusto. Mi sono ritrovato là dentro d’improvviso, probabilmente ho sfruttato involontariamente il varco creato da qualcun altro... una volta che ho capito dove mi trovavo, ho pensato che forse là avrei potuto trovare una soluzione ai nostri problemi» le spiegò Giuda allargando le braccia, ma lei continuò a scrutarlo seria, incapace di decidere se credergli o meno.

      «Io non ce la faccio più a vivere in questo modo, non ce la faccio più a vedere che ti allontani da me ogni giorno di più senza che io possa fare niente... non posso limitarmi ad aspettare che si compia la tragedia» cercò di giustificarsi lui dopo un attimo di silenzio lungo come un’eternità.

      Nicole lo guardò preoccupata, sapeva che non si sarebbe arreso tanto facilmente. Scese dalle sue ginocchia e tornò a sedere sulla poltrona di fronte, poi sospirò amareggiata e lo fissò dritto negli occhi, preparandosi ad ascoltare quello che era certa che non avrebbe mai voluto sentirsi dire. Lui le spiegò in poche parole che cos’era l’aborto terapeutico, praticato decenni rima, lei scattò in piedi.

      «Ma ti rendi conto di cosa sei arrivato a pensare?» gli chiese sgomenta, era incredula e profondamente adirata.

      «Lo so che è contro natura, che è una cosa orribile... ma io non so più dove sbattere la testa, non so più cosa fare! Quando sono da solo e mi lascio andare, penso a come potrebbe andare a finire e mi sento annientato. Mi prende un’agitazione che non riesco a contenere, il livello dell’adrenalina cresce in me con la disperazione, con la voglia di gridare e distruggere tutto ciò che ho intorno, con la voglia di fuggire in un posto che non c’è. E così mi ritrovo disteso a terra, paralizzato dal chip come quella maledetta notte, in preda a dolori tremendi e prigioniero di me stesso. Non te l’ho mai detto prima perché non volevo che ti preoccupassi per me, ma mi è già accaduto molte volte.»

      Nicole mise a fuoco la sua immagine come uscendo da uno stato di torpore, gli dedicò un lungo sguardo confuso, quasi quell’uomo fosse uno sconosciuto che vedeva per la prima volta in vita sua.

      «Hai pensato di uccidere nostro figlio, il frutto del nostro amore. Hai pensato di uccidere colui per il quale abbiamo già scelto un nome, per il quale abbiamo già pensato un futuro... siamo soltanto poveri esseri umani, non abbiamo il potere di decidere la vita e la morte dei nostri simili. Come sei arrivato a pensare di poter fare una cosa del genere?» Si voltò verso il fuoco come per scaldarsi, cingendosi le spalle con le sue stesse mani, lui riempì per l’ennesima volta il bicchiere. Quando se lo portò alla bocca vide nel vetro il riflesso deformato del proprio volto, allora lo posò e andò ad abbracciarla.

      «Non volevo farti soffrire. Non vorrei mai farvi del male, né a te, né a lui» sussurrò carezzandole delicatamente la pancia.

      «Ma


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