Grido d’Onore . Морган Райс
presa?” ringhiò.
L’uomo sorrise.
“Santo cielo, sembri proprio fissato con quella schiava.”
“Non è una schiava,” ribatté Erec furente. “È mia moglie.”
L’uomo lo guardò scioccato, poi improvvisamente spinse la testa indietro ed eruppe in una fragorosa risata.
“Tua moglie! Questa è buona. Non più, amico mio. Ora è il giocattolino di qualcun altro.” Poi il volto dell’uomo si fece cupo e assunse un cipiglio malvagio. Facendo un cenno ai suoi scagnozzi aggiunse: “Ora sbarazzatevi di questo pezzo di pattume.”
I due uomini ricoperti di muscoli si fecero avanti e con una rapidità che sorprese Erec si protesero entrambi verso di lui per afferralo al petto.
Ma non avevano idea di chi stavano affrontando. Erec era più veloce di loro e li evitò afferrando il polso di uno dei due e piegandogli il braccio all’indietro fino a che l’uomo cadde sulla schiena. Allo stesso tempo Erec colpì l’altro con una gomitata alla gola, poi fece un passo avanti e schiacciò la trachea dell’uomo che era a terra, finendolo. Diede infine una testata all’altro che ancora si teneva la gola, e mandò al tappeto anche lui.
I due uomini rimasero a terra privi di conoscenza ed Erec si avvicinò al vecchio che ora tremava sulla sua sedia, gli occhi sgranati per il terrore.
Erec lo afferrò per i capelli, gli tirò indietro la testa e gli premette il pugnale contro la gola.
“Dimmi dov’è, e potrei decidere di lasciarti vivere,” gli ringhiò contro.
L’uomo balbettò.
“Te lo dirò, ma stai sprecando il tuo tempo,” rispose. “L’ho venduta a un signore. Ha la sua forza armata di cavalieri e vive nel suo castello. È un uomo molto potente. Il suo castello non è mai stato invaso. E oltretutto ha un intero esercito di riserva. È un uomo molto ricco: ha un esercito di mercenari pronti a rispondere ai suoi ordini in ogni momento. Si tiene tutte le ragazze che compra. Non c’è modo che tu riesca mai a liberarla. Quindi tornatene da dove sei venuto. L’hai persa.”
Erec tenne il pugnale pressato contro la gola dell’uomo fino a che iniziò a sanguinare, e l’uomo gridò.
“Dov’è questo signore?” chiese Erec ormai al limite della pazienza.
“Il suo castello si trova a ovest della città. Prendi il cancello occidentale e procedi fino alla fine della strada. Da lì vedrai il castello. Ma è una perdita di tempo. Ha pagato una bella cifra per averla… più di quanto valesse.”
Erec ne ebbe abbastanza. Senza esitazioni squarciò la gola di quel mercante del sesso uccidendolo. Il sangue si riversò ovunque mentre l’uomo si accasciava nella sua sedia, morto.
Erec guardò il corpo morto, gli scagnozzi privi di conoscenza e provò un senso di nausea per quel posto. Non poteva credere che esistesse un luogo del genere.
Attraversò la stanza e iniziò a tagliare le corde che legavano le donne, recidendo ogni cima e liberandole una alla volta. Molte di loro balzarono in piedi e corsero verso la porta. Presto nella stanza regnò il caos e si creò un fuggi fuggi generale. Alcune erano troppo intontite per muoversi, ma vennero aiutate dalle altre.
“Chiunque tu sia,” disse una delle donne ad Erec, fermandosi sulla porta, “che tu sia benedetto. E ovunque tu stia andando, che Dio ti aiuti.”
Erec apprezzò la gratitudine e la benedizione, ed ebbe la triste sensazione che, ovunque stesse andando, ne avrebbe avuto bisogno.
CAPITOLO DIECI
Era l’alba e la luce filtrava attraverso le finestrelle della casa di Illepra illuminando gli occhi di Gwendolyn, chiusi, svegliandola lentamente. Il primo sole, di un arancio opaco, la accarezzava e la destava pian piano nel silenzio della prima mattina. Gwen sbatté le palpebre diverse volte, chiedendosi dove si trovasse. Poi ricordò: Godfrey.
Si era addormentata sul pavimento della casetta, stesa su un giaciglio di paglia, accanto al letto di suo fratello. Anche Illepra dormiva vicino a lui ed era stata una lunga notte per tutti e tre. Godfrey si era lamentato, si era scosso e rigirato, e Illepra si era presa cura di lui ininterrottamente. Gwen era rimasta lì per aiutare in ogni modo le fosse possibile, portando stracci bagnati, strizzandoli, mettendoli sulla fronte di Godfrey e passando a Illepra le erbe e gli unguenti che lei chiedeva. Era stata una notte interminabile: molte volte Godfrey aveva urlato e lei si era sentita certa che sarebbe morto. Più di una volta lui aveva chiamato il nome di loro padre, facendola rabbrividire. Sentiva forte la presenza di suo padre tra di loro. Non sapeva se suo padre volesse che Godfrey vivesse o meno, la loro relazione era sempre stata così carica di tensione.
Gwen aveva dormito a casa di Illepra anche perché non sapeva dove altro andare. Non si sentiva sicura a tornare al castello, a stare sotto lo stesso tetto con suo fratello Gareth. Si sentiva protetta lì, sotto le cure di Illepra, con Akorth e Fulton di guardia davanti alla porta. Sapeva che nessuna sapeva dove si trovasse, e le andava bene così. Inoltre si era particolarmente affezionata a Godfrey negli ultimi giorni: aveva scoperto il fratello che non aveva mai conosciuto, e soffriva al pensiero che potesse morire.
Gwen balzò in piedi correndo accanto a Godfrey, il cuore che le batteva nel petto, chiedendosi se fosse ancora vivo. Una parte di lei sentiva che se si fosse svegliato quella mattina, allora ce l’avrebbe fatta. Se non si fosse destato sarebbe significato che era finita. Anche Illepra si alzò e si avvicinò in fretta. Doveva essersi addormentata a qualche ora della notte e Gwen non poteva certo biasimarla.
Rimasero entrambe inginocchiate accanto a Godfrey mentre la casupola si riempiva di luce. Gwen mise una mano sul polso del fratello e lo scosse, mentre Illepra gli posava invece una mano sulla fronte. Chiuse gli occhi e inspirò, e improvvisamente gli occhi di Godfrey si aprirono. Illepra ritrasse la mano sorpresa.
Anche Gwen era stupita. Non si aspettava che Godfrey aprisse gli occhi così di colpo. Lui si voltò a guardarla.
“Godfrey?” gli chiese.
Lui strizzò gli occhi, poi li riaprì. Poi, con loro grande sorpresa, si sollevò appoggiandosi a un gomito e le fissò.
“Che ore sono?” chiese loro. “Dove mi trovo?”
La sua voce aveva un tono vivace, sano, e Gwen provò un immenso sollievo. Sorrise di cuore e Illepra fece lo stesso.
Gwen si chinò verso di lui e lo abbracciò con forza, poi si scostò.
“Sei vivo!” esclamò.
“Certo che sono vivo,” disse. “Perché non dovrei esserlo? Chi è lei?” chiese voltandosi verso Illepra.
“La donna che ti ha salvato la vita,” gli disse Gwen.
“Che mi ha salvato la vita?”
Illepra guardava il pavimento.
“Ho solo dato un piccolo aiuto,” disse umilmente.
“Cosa mi è successo?” chiese con agitazione a Gwen. “L’ultima cosa che ricordo è che stavo bevendo alla taverna, e poi…”
“Sei stato avvelenato,” gli rispose Illepra. “Un veleno molto raro e potente. Non lo incontravo da anni. Sei fortunato ad essere vivo. A dirla tutta sei l’unico che abbia visto sopravvivere a quel veleno. Dev’esserci qualcuno che ti guarda dall’alto.”
A sentire quelle parole, Gwen si sentì certa che si trattasse della verità, e il suo pensiero corse subito al padre. Il sole penetrava attraverso le finestre, più forte, e lei percepì la sua presenza tra loro. Aveva deciso che Godfrey vivesse.
“Ti sta bene,” gli disse Gwen sorridendo. “Avevi promesso che avresti dimenticato la birra. E guarda cos’è successo.”
Lui le rispose con un sorriso. La vita era tornata a coloragli le guance e Gwen ne era immensamente sollevata. Godfrey era tornato.
“Mi hai salvato la vita,” le disse con sincerità.
Si voltò poi verso Illepra.
“Entrambe