Il Peso dell’Onore . Морган Райс
rimase immobile, paralizzato dalla paura per la prima volta in vita sua. L’intero esercito dei suoi troll erano pietrificati dietro di lui, tutti in trappola. L’inimmaginabile era accaduto: il gigante stava correndo, spaventato da qualcosa di più grande di lui stesso. Bruciato, dolorante, preso dal panico, il gigante fece roteare i suoi enormi pugni mentre scendeva, facendosi strada con artigliate feroci. Vesuvio guardò con orrore mentre tutt’attorno a lui i troll venivano schiacciati. Qualsiasi cosa si venisse a trovare sul cammino del gigante veniva calpestata dai suoi piedi, tagliata a metà dai suoi artigli, schiacciata dai suoi pugni.
E poi, prima che si potesse levare di mezzo, Vesuvio sentì che le sue stesse costole si spezzavano mentre il gigante lo colpiva lanciandolo in aria.
Si sentì mancare il fiato roteando in aria mentre tutto il mondo attorno a lui girava. L’ultima cosa che percepì fu la sua testa che andava a sbattere contro la roccia, il tremendo dolore che gli scorreva in tutto il corpo mentre colpiva la parete di pietra. Quando iniziò a precipitare verso terra perse conoscenza e l’ultima cosa che vide fu il gigante che stava distruggendo tutto, disfacendo i suoi piani, tutto ciò per cui aveva lavorato. Si rese conto che sarebbe morto lì, ben sottoterra, a pochi passi dal sogno che aveva coltivato fino a quel momento e che aveva quasi realizzato.
CAPITOLO TRE
Duncan sentiva l’aria scorrergli contro mentre scivolava lungo la corda al tramonto, scendendo le maestose cime del Kos e tenendosi con tutto se stesso, scivolando sempre più rapidamente, più veloce di quanto immaginasse possibile. Tutt’attorno a lui anche gli altri uomini si stavano calando: Anvin ed Arthfael, Seavig, Kavos, Bramthos e migliaia di altri appartenenti agli eserciti di Duncan, Seavig e Kavos, tutti insieme in un unico esercito, tutti intenti a scivolare sul ghiaccio in file, un esercito ben disciplinato che procedeva a balzi, tutti desiderosi di raggiungere il fondo prima di essere visti. Quando i piedi di Duncan toccavano il ghiaccio, immediatamente si spingeva di nuovo procedendo verso il basso, evitando così che le mani venissero fatte a pezzi grazie agli spessi guanti che Kavos gli aveva dato.
Duncan era meravigliato di quanto rapidamente si muovesse il suo esercito, tutti in una sorta di caduta libera dalla rupe. Quando si era trovato in cima a Kos non aveva idea di come Kavos avesse programmato di portare un esercito di quella entità in basso tanto rapidamente senza perdere uomini. Non si era reso conto di possedere una così intricata varietà di funi e picconi da permettere loro di scendere tanto agevolmente. C’erano uomini fatti per il ghiaccio e per loro quella discesa alla velocità della luce era come una normale passeggiata. Finalmente capiva cosa volevano dire quando dicevano che gli uomini di Kos non erano intrappolati lassù, ma erano piuttosto i Pandesiani di sotto quelli in trappola.
Kavos improvvisamente si fermò atterrando con entrambi i piedi su un ampio tavolato che sporgeva dalla montagna. Duncan gli si fermò accanto insieme a tutti gli uomini, in una momentanea pausa a metà del versante. Kavos si portò al limitare del precipizio e Duncan lo raggiunse chinandosi in avanti e guardando le funi che penzolavano di sotto. Attraverso le corde, molto in basso, in mezzo alla nebbia e agli ultimi raggi di sole, Duncan poté vedere alla base della montagna il forte in pietra dei Pandesiani, gremito di migliaia di soldati.
Duncan guardò Kavos che ricambiò lo sguardo con la soddisfazione negli occhi. Era una soddisfazione che Duncan riconobbe, una determinazione che aveva visto molte volte in vita sua: l’estasi del vero guerriero che sta per andare in guerra. Era ciò per cui vivevano uomini come Kavos. Duncan stesso la provava, doveva ammetterlo: quel formicolio nelle vene, quella tensione allo stomaco. La vista dei Pandesiani lo rendeva come non mai eccitato per la vicina battaglia.
“Saresti potuto scendere ovunque,” disse Duncan esaminando il paesaggio di sotto. “La maggior parte dell’area è vuota. Avremmo potuto evitare il confronto e muoverci direttamente verso la capitale. Eppure hai scelto il punto in cui si trova il più forte contingente di Pandesiani.”
Kavos fece un largo sorriso.
“Proprio così,” rispose. “Gli uomini di Kavos non tentano di evitare il confronto: noi lo cerchiamo.” Sorrise con maggiore evidenza. “E poi,” aggiunse, “una battaglia anticipata farà da riscaldamento per la nostra marcia verso la capitale. E voglio che questi Pandesiani ci pensino due volte la prossima volta che decideranno di circondare la base della nostra montagna.”
Kavos si voltò e fece un cenno al suo comandante, Bramthos, che chiamò a raccolta i loro uomini e si unì a Kavos: tutti insieme si lanciarono verso un enorme masso di ghiaccio al limitare del pendio e come un unico corpo vi appoggiarono contro le spalle.
Duncan, rendendosi conto di ciò che stavano facendo, fece un cenno ad Anvin ed Arthfael che chiamarono pure i loro uomini. Seavig e i suoi si unirono e tutti insieme anche loro si misero a spingere.
Duncan piantò i piedi nel ghiaccio e spinse, sforzandosi sotto il peso del masso, scivolando e premendo con tutte le sue forze. Tutti sbuffarono e lentamente l’enorme macigno iniziò a rotolare.
“Un regalo di benvenuto?” chiese Duncan sorridendo e sbuffando accanto a Kavos.
Kavos gli rispose con un sorriso.
“Solo un pensierino per annunciare il nostro arrivo.”
Un attimo dopo Duncan provò una forte liberazione, udì uno scricchiolio nel ghiaccio e si chinò in avanti per guardare con meraviglia il masso che rotolava oltre il limitare dell’altopiano. Si tirò rapidamente indietro insieme agli altri e guardò il masso che precipitava a tutta velocità, rotolando e rimbalzando contro la parete di ghiaccio, prendendo man mano slancio. Il grosso sasso, con un diametro di almeno dieci metri, cadde dritto verso il basso, volando come un angelo della morte contro il forte pandesiano. Duncan si preparò per l’esplosione che stava per verificarsi, con tutti quei soldati di sotto, bersagli inconsapevoli.
Il masso colpì il centro del forte di pietra e lo schianto fu più forte di qualsiasi cosa Duncan avesse mai udito in vita sua. Era come se una meteora avesse colpito Escalon, un’esplosione che riecheggiò con tale forza da costringerlo a coprirsi le orecchie. Il suolo tremò sotto di lui facendolo barcollare. Un’enorme nuvola di roccia e ghiaccio si sollevò per metri e metri e l’aria, anche da lassù, si riempì delle grida e urla terrorizzate degli uomini. Metà del forte in pietra era andato distrutto nell’impatto e il masso continuava a rotolare schiacciando uomini, appiattendo edifici e lasciando una scia di distruzione e caos.
“UOMINI DI KOS!” gridò Kavos. “Chi ha osato avvicinarsi alla nostra montagna?”
Gli rispose un forte grido mentre migliaia di guerrieri improvvisamente si lanciavano in avanti e balzavano dalla rupe seguendolo, tutti afferrando le funi e calandosi così velocemente che era come se praticamente cadessero liberamente dalla montagna. Duncan li seguì, i suoi uomini dietro di lui, tutti saltando, afferrando le funi e scendendo così rapidamente da poter appena respirare. Era certo che si sarebbe spezzato il collo nell’impatto.
Pochi attimi dopo si ritrovò ad atterrare con forza alla base della montagna, decine di metri più sotto, scendendo in un’enorme nube di ghiaccio e polvere, il fragore del masso caduto ancora riecheggiante nell’aria. Tutti gli uomini si voltarono e guardarono il forte, quindi lanciarono un alto grido di battaglia e sguainarono le spade lanciandosi all’attacco, buttandosi nel caos del campo pandesiano.
I soldati pandesiani, ancora sbigottiti per l’esplosione, si voltarono mostrando volti scioccati e videro l’esercito all’attacco: evidentemente non se l’erano aspettato. Frastornati, presi alla sprovvista, con numerosi dei loro comandanti a terra morti, schiacciati dal masso, sembravano troppo disorientati per pensare chiaramente a cosa fare. Mentre Duncan e Kavos e i loro uomini piombavano su di loro, alcuni iniziarono a voltarsi e a correre. Altri cercarono di prendere le spade, ma Duncan e i suoi uomini gli furono addosso come locuste e li colpirono prima che potessero addirittura avere una possibilità di sguainare le armi.
Duncan e il resto degli uomini correvano attraverso il campo, senza esitazione, sapendo che il tempo era essenziale. Uccidevano da ogni parte i soldati che si stavano riprendendo, seguendo la scia di distruzione lasciata dal macigno. Duncan colpiva in ogni direzione, trafiggendo un soldato al petto, colpendone un altro al volto con l’elsa della spada, calciandone uno che lo attaccava e abbassandosi