La moglie perfetta . Блейк Пирс

La moglie perfetta  - Блейк Пирс


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      “Dubito che riusciremo a tenere questo passo quando inizierai in ufficio e io comincerò il semestre.”

      “Io sono intenzionato a provarci, se tu vuoi,” disse sospirando profondamente. Sentì il suo corpo che si rilassava del tutto accanto al proprio.

      “Non sei per niente nervoso?” gli chiese.

      “Per che cosa?”

      “Tutto questo: stipendio più grande, nuova città, nuova casa, nuovo stile di vita, nuova gente, nuovo tutto.”

      “Non è tutto nuovo,” le ricordò. “Conosci già Teddy e Melanie.”

      “Ho incontrato Teddy tre volte e Melanie una. Lo conosco a malapena. E lei me la ricordo vagamente. Solo perché il tuo migliore amico delle superiori vive qualche quartiere più in là non significa che io mi senta improvvisamente a mio agio nella nostra nuova vita.”

      Sapeva che lo stava punzecchiando, ma le sembrava di non potersi fermare. Kyle non abboccò all’esca. Si girò invece su un fianco e le accarezzò la spalla destra con un dito, arrivando alla lunga cicatrice rosa che si allungava di una decina di centimetri dall’avambraccio alla base del collo.

      “So che sei apprensiva,” le disse con tenerezza. “E hai tutti i motivi per esserlo. È tutto nuovo. E so che può fare paura. Non posso dirti quanto apprezzi il sacrificio che stai facendo.”

      “So che alla fine andrà tutto bene,” disse Jessie ammorbidendosi. “Solo è un sacco di roba da gestire all’improvviso tutta insieme.”

      “È per questo che vedere Teddy e Mel domani sarà di aiuto. Ristabiliremo quella connessione e poi faremo in modo che anche il resto del vicinato ci raggiunga mentre ci orientiamo. Anche conoscere solo due persone può rendere più facile il passaggio.”

      Sbadigliò sonoramente e Jessie capì che era sul punto di crollare. Un grosso sbadiglio come quello in genere significava che sarebbe stato addormentato nel giro dei prossimi sessanta secondi, o forse anche meno.

      “So che hai ragione,” disse, determinata a concludere la notte con una nota positiva. “Sono sicura che andrà tutto alla grande.”

      “Sicuramente,” disse Kyle con voce stanca. “Ti amo.”

      “Anche io ti amo,” disse Jessie, insicura che l’avesse sentita prima di appisolarsi.

      Ascoltò i suoi respiri profondi e cercò di usarli per addormentarsi lei stessa. Il silenzio era snervante. Era abituata ai confortanti rumori del centro città mentre scivolava nel sonno.

      Le mancavano i claxon della macchine di sotto, le grida della gente che se ne andava brilla dai locali e che riecheggiavano tra i condomini, il bip bip dei camion che facevano retromarcia. Tutto questo le era servito da interferenza di sottofondo per anni. Ora tutto ciò che aveva al suo posto era il debole ronzio del filtro dell’aria nell’angolo della stanza.

      Di tanto in tanto le sembrava di sentire un lontano scricchiolio. La casa aveva più di trent’anni, quindi c’erano da aspettarsi degli occasionali assestamenti. Provò a fare una serie di respiri rilassanti, sia per escludere altri rumori come anche per rilassarsi. Ma c’era un pensiero che continuava a pungolarla.

      Sei davvero sicura che tutto andrà alla grande qui?

      Passò l’ora successiva a rigirarsi nel dubbio e a respingerlo sentendosi in colpa, prima di cedere finalmente alla stanchezza e a lasciarsi andare a un sonno incostante.

      CAPITOLO DUE

      Nonostante le urla incessanti, Jessie cercava di tenere alla larga il mal di testa che le punzecchiava i lati del cranio. Daughton, il bimbo di tre anni dal temperamento dolce ma dalla voce altissima, figlio di Edward e Melanie Carlisle, aveva passato gli ultimi venti minuti a fare un gioco che si chiamava Esplosione e che consisteva per lo più in lui stesso che urlava “boom!”.

      Né Melanie (“chiamami Mel”) né tantomeno Edward (“Teddy” per gli amici) sembravano per nulla turbati da quelle grida intermittenti, quindi anche Jessie e Kyle agivano come se fosse normale. Erano seduti nel salotto dei Carlisle, dove si erano dati appuntamento prima della passeggiata che intendevano fare per andare a pranzare al porto. I Carlisle vivevano a tre isolati di distanza da lì.

      Kyle e Teddy stavano parlando fuori da circa un’ora quando Jessie riuscì a riacquistare familiarità con Mel in cucina. La ricordava solo vagamente dal loro unico precedente incontro, ma solo dopo un po’ di minuti le due erano calate in un’atmosfera piacevole.

      “Chiederei a Teddy di grigliare qualcosa, ma non voglio che vuoi due stiate male la prima settimana che siete qui,” disse Mel in modo irriverente. “Saremo molto più al sicuro se andiamo a mangiare sul lungomare.”

      “Non è il migliore dei cuochi?” chiese Jessie con un sorrisino.

      “Mettiamola così. Se mai si dovesse offrire di cucinare, fingete di avere un’emergenza e di dover scappare. Perché se mangiate qualsiasi cosa preparata da lui, avrete veramente un’emergenza da gestire.”

      “Cosa c’è, tesoro?” chiese Teddy mentre lui e Kyle rientravano in casa. Era un tipo panciuto e rotondo, con i capelli biondi e radi e la pelle pallida che pareva potersi scottare con soli cinque minuti di esposizione al sole. Jessie aveva la sensazione che anche la sua personalità fosse molto simile: molle e plasmabile. Un profondo istinto che non era capace di descrivere ma del quale negli anni aveva imparato a fidarsi le diceva che Teddy Carlisle era un uomo debole.

      “Niente, amore,” disse Melanie con noncuranza facendo l’occhiolino a Jessie. “Sto solo dando alla nostra Jessie alcune istruzioni per la sopravvivenza qui a Westport Beach.”

      “Giusto,” rispose lui. “Mettila in guardia sul traffico della Jamboree Road e della Pacific Coast Highway, mi raccomando. Può essere una rogna a volte.”

      “Quello era il prossimo della mia lista,” disse Mel con innocenza mentre si alzava dallo sgabello alto della cucina.

      Mentre andava in salotto per raccogliere dal pavimento i giocattoli di Daughton, Jessie non poté fare a meno di notare che con quella gonna da tennis e maglietta polo la sua costituzione minuta appariva tutta muscolosa e tornita. I polpacci e i bicipiti apparivano incredibilmente sodi mentre con un semplice gesto tirava su una dozzina di macchinine.

      Tutto di lei, inclusi i corti capelli neri, l’energia inarrestabile e la sua voce forte e imponente, proiettavano l’idea diametralmente opposta di sciocca bambola newyorkese, che era esattamente ciò che era stata prima di trasferirsi a ovest.

      A Jessie era piaciuta all’istante, anche se non riusciva a capire cosa ci trovasse in un babbeo come Teddy. La cosa la pungolava leggermente. Jessie si dava vanto di saper leggere le persone, e questa tacca nel profilo informale che aveva tracciato di Mel era un po’ inquietante.

      “Siamo pronti?” chiese Teddy. Anche lui era vestito in maniera elegante, con una camicia e pantaloni bianchi.

      “Basta che prendi tuo figlio e siamo tutti pronti,” disse Mel con tono secco.

      Teddy, apparentemente avvezzo al suo tono di voce, senza dire una parola andò a cercare la loro macchina “Esplosione”. Pochi secondi dopo si udirono dei piagnucolii mentre tornava tenendo Daughton per le caviglie, con il bambino cercava debolmente di lottare a testa in giù.

      “Papà, basta!” gridò il ragazzino.

      “Mettilo giù, Edward,” sibilò Mel.

      “Mi ha risposto,” spiegò Teddy calando il figlio sul pavimento. “Dovevo solo ricordargli che queste cose non si fanno.”

      “E se scivolasse e si spaccasse la testa?” chiese Mel.

      “Allora imparerebbe una lezione impareggiabile,” rispose Teddy con noncuranza, apparentemente per nulla preoccupato dall’idea.

      Kyle ridacchiò divertito, fermandosi


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