Sovrana, Rivale, Esiliata . Морган Райс
entusiasmo.
Era un momento di trionfo. Ancora di più: era il momento cui Ulren aveva lavorato per anni. Ora che si trovava lì, era strano sedere effettivamente al posto della Prima Pietra, accomodandosi su quel trono di granito.
“Ho già preso gli interessi di Irrien,” disse Ulren. Fece un cenno verso Borion. “Ma sentitevi liberi di servirvi con quelli del giovane,”
L’avrebbero fatto. Ulren non aveva alcun dubbio che l’avrebbero fatto. Ecco com’era questa città, dopotutto.
“E ovviamente avremo bisogno di una nuova Quarta e Quinta pietra,” disse.
Quella sarebbe dovuta essere la loro battuta d’entrata per salire di un posto. Ma nessuno fece niente. Tennero i posti per cui avevano lottato, lasciando vuoto quello da Seconda Pietra. Ulren non era certo che la cosa gli piacesse, anche se poteva comprendere la paura dietro a quella situazione. Non andavano contro di lui a causa della sua nuova posizione, ma era anche segno che non la consideravano definitiva, e che non avevano intenzione di seguire il nuovo ordine.
Si stavano tenendo indietro nello stesso modo in cui lui lo aveva fatto quando Irrien era arrivato al potere.
E stavano pure agendo come se la cosa non fosse ancora conclusa.
CAPITOLO SEI
Stefania si svegliò in un mondo pregno di agonia. L’intero universo sembrava essersi avvitato in lei formando una palla di dolore che le stringeva lo stomaco. Le sembrava di essere stata fatta a pezzi… ma effettivamente era stata tagliata e aperta.
Quel pensiero bastò a farla gridare di nuovo, e questa volta non c’erano sacerdoti o guerrieri a sentire la sua agonia: solo il cielo aperto sopra di lei, visibile attraverso il fosco turbinio delle sue lacrime. L’avevano trascinata fuori da qualche parte e l’avevano lasciata lì a morire.
Le ci volle tutta la sua forza per sollevare la testa quel poco che bastava per guardarsi attorno.
Quando lo fece subito desiderò di non averlo fatto. C’erano immondizie che la circondavano fino a dove l’occhio poteva vedere. C’erano cocci rotti, ossa di animali, vetro e altro ancora. Tutti i detriti della vita cittadina sparpagliati in un paesaggio di disperazione apparentemente illimitato.
Allo stesso momento la colpì anche il puzzo, fetido e travolgente tanto da riempire lo spazio attorno a lei. Ad esso era mescolato anche l’odore della morte e Stefania vide allora i corpi, semplicemente abbandonati come se non fossero nulla. In lontananza le parve di vedere dei fuochi funerari, ma dubitò che si trattasse delle eleganti pire di un funerale. Erano sicuramente solo delle fosse che aspettavano altri corpi ancora da consumare.
Stefania sapeva dove si trovava adesso, nell’area delle immondizie oltre la città, dove un migliaio di tumuli venivano svuotati e i più poveri dei poveri venivano a rovistare alla ricerca di qualcosa. Di solito gli unici corpi che venivano gettati qui erano quelli di persone che non potevano permettersi una sepoltura, o che si trovavano lì per essere perduti nella morte, vittime o criminali.
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