La Legge Delle Regine . Морган Райс
CAPITOLO UNO
La testa di Thorgrin sbatteva contro i sassi e il fango mentre ruzzolava lungo il versante della montagna a caduta libera, precipitando per decine e decine di metri mentre il monte franava. Tutto ruotava attorno a lui e per quanto cercasse di fermarsi e di orientarsi, non ne era capace. Con la coda dell’occhio vedeva che anche i suoi compagni stavano cadendo come lui, aggrappandosi disperatamente alle radici, alle rocce, a qualsiasi cosa nel tentativo di rallentare la loro discesa.
Thor si rendeva conto a ogni momento che passava che si stava allontanando sempre più dalla vetta del vulcano, da Guwayne. Ripensò a quei selvaggi lassù, pronti a sacrificare suo figlio, e si infiammò di rabbia. Affondò le unghie nel fango gridando di disperazione, volendo tornare su a tutti i costi.
Ma per quanto ci provasse, era impossibile. Riusciva a malapena a vedere o respirare, meno ancora a ripararsi dai colpi mentre la montagna di terra gli piombava addosso. Sembrava che il peso dell’intero universo gli stesse crollando sulle spalle.
Stava accadendo tutto così velocemente, troppo velocemente perché Thor potesse capirlo pienamente. Dando un’occhiata in basso vide un campo disseminato di rocce appuntite. Sapeva che se le avessero colpite sarebbero morti tutti.
Thor chiuse gli occhi e cercò di pensare ai suoi allenamenti, agli insegnamenti di Argon, alle parole di sua madre. Cercò di trovare la calma nella tempesta, di chiamare a raccolta il potere guerriero dentro di sé. Vide la propria vita scorrergli come un lampo davanti agli occhi. Era forse questa la sua ultima prova?
Ti prego, Dio, pregò. Se esisti, salvami. Non lasciarmi morire così. Permettimi di raccogliere i miei poteri. Permettimi di salvare mio figlio.
Mentre pensava le parole sentì che era messo alla prova, costretto a fare affidamento sulla propria fede, a raccogliere una fiducia più grande di quanta ne avesse mai avuta. Come sua madre lo aveva messo in guardia, ora era un guerriero e doveva affrontare prove da guerriero.
Quando Thor chiuse gli occhi il mondo iniziò a rallentare e con suo stupore in cominciò a sentire un senso di quiete e pace all’interno del caos. Iniziò a sentire il calore che cresceva dentro di sé, scorrergli nelle vene fino ai palmi delle mani. Iniziò a sentirsi più grande del suo stesso corpo.
Si percepì all’esterno del proprio corpo, a guardare in basso vedendosi rimbalzare lungo il versante della montagna. Si rese conto in quel momento di non essere il proprio corpo. Di essere qualcosa di più grande.
Thor improvvisamente riscivolò nel proprio corpo e sollevò le mani sopra la testa guardando una luce bianca partire da esse. Indirizzò quindi la luce e creò una bolla attorno a sé e ai propri fratelli. In quel momento improvvisamente la cascata di fango si fermò di colpo e il muro di terra rimbalzò contro lo scudo senza proseguire oltre.
Continuarono a scivolare, ma ora molto più lentamente, arrivando pian piano a fermarsi gradualmente su un piccolo ripiano vicino ai piedi del monte. Thor guardò in basso e vide che si era fermato in una specie di pozza d’acqua. Alzandosi in piedi constatò che gli arrivava alle ginocchia.
Si guardò attorno stupito. Osservò poi la cima della montagna e vide il muro di terra fermo immobile, sospeso a mezz’aria come se fosse pronto a precipitare da un momento all’altro, ancora bloccato dalla sua bolla di luce. Scrutò tutto, stupefatto di averlo fatto lui stesso.
“È morto qualcuno?” chiese O’Connor.
Thor vide Reece, O’Connor, Conven, Mati, Elden e Indra, tutti ammaccati e scossi, rimettersi in piedi miracolosamente vivi: nessuno aveva riportato ferite preoccupanti. Si strofinarono la faccia, ricoperta di terra nera. Sembravano tutti essere appena usciti da una miniera di carbone. Thor vide quanto tutti fossero felici di essere vivi e vide che davano a lui il merito di aver salvato le loro vite.
Thor si ricordò e si voltò immediatamente guardando verso la cima della montagna, pensando all’unica cosa che aveva in mente: suo figlio.
“Come