Una Corona Per Gli Assassini . Морган Райс

Una Corona Per Gli Assassini  - Морган Райс


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l’unico in grado di vedere ciò che stava accadendo, grazie ai suoi uccelli. Presto i suoi uomini avrebbero dovuto fidarsi in assoluto dei suoi ordini.

      “Dite alla terza compagnia di allargarsi di più,” disse a uno dei suoi aiutanti. “Eviterà che qualcuno possa fuggire lungo la costa.”

      “Sì, mio signore,” rispose il giovane.

      “Fai preparare una scialuppa d’approdo anche per me.”

      “Sì, mio signore.”

      “E ricorda agli uomini i miei ordini: quelli che oppongono resistenza vanno uccisi senza pietà.”

      “Sì, mio signore,” disse per la terza volta l’aiutante.

      Come se i capitani del Maestro dei Corvi avessero bisogno di quel promemoria. Conoscevano le sue regole ormai, i suoi desideri. Si sedette sul ponte della sua ammiraglia guardando le palle di cannone che colpivano e gli uomini che cadevano sotto le raffiche dei moschetti. Finalmente decise che il momento era quello giusto e si diresse verso la scialuppa che stava per calare in acqua, controllando le sue armi.

      “Remate,” ordinò agli uomini, e loro si impegnarono sui remi, sforzandosi di portarlo a riva insieme ai suoi soldati.

      Sollevò una mano mentre i suoi corvi lo mettevano in guardia, e gli uomini smisero di remare giusto in tempo perché la palla lanciata da un vecchio cannone finisse in mare, mancandoli di poco.

      “Continuate.”

      La scialuppa scivolò tra le onde, e nonostante la forza travolgente dei numeri del Nuovo Esercito, alcuni degli uomini in attesa balzò all’attacco. Il Maestro dei Corvi saltò sulla banchina per affrontarli, le sue lame sguainate.

      Conficcò una spada nel petto di un uomo, poi fece un passo di lato mentre un altro tentava di colpirlo. Parò un colpo e uccise un altro uomo con la casuale efficienza data dalla lunga pratica. Era così sciocco da parte di uomini come questi pensare di poterlo battere, o anche solo ferirlo. Solo due persone ci erano riuscite in così tanto tempo, e sia Kate Danse che il suo detestabile fratello sarebbero morti a tempo debito per quell’affronto.

      Per ora questa non era tanto una battaglia quanto un massacro, e il Maestro dei Corvi ne godeva. Colpiva e infilzava, uccidendo nemici a ogni spostamento. Quando vide una giovane donna che cercava di scappare, si fermò un momento per prendere la sua pistola e le sparò alla schiena, poi continuò con il lavoro più pressante.

      “Per favore,” implorò un uomo abbassando la spada in segno di resa. Il Maestro dei Corvi lo colpì al ventre, poi si spostò dal successivo.

      Il massacro fu inevitabile quanto assoluto. Una marmaglia di militi mal armati non potevano neanche minimamente sperare di difendersi contro tutti quegli avversari. Tutto fu finito così presto che era difficile immaginare cosa avessero voluto tentare di ottenere opponendosi a quel modo. Probabilmente era qualcosa che aveva a che vedere con l’onore o con qualche altra sciocchezza del genere.

      “Ah,” disse il Maestro dei Corvi tra sé e sé mentre guardava attraverso gli occhi di una delle sue creature e vedeva un gruppetto di persone che scappavano sulle colline vicine, dirigendosi verso sud. Tornò in sé e cercò il capitano più vicino. “Un gruppo di paesani stanno fuggendo lungo un sentiero poco distante da qui. Prendi degli uomini e andate a ucciderli tutti, per favore.”

      “Sì, mio signore,” disse l’uomo. Se il lavoro di uccidere degli innocenti gli dava fastidio, non lo diede a vedere. E poi, se fosse stato un uomo capace di tentennare davanti a cose del genere, il Maestro dei Corvi lo avrebbe ucciso da tempo per questo.

      Il Maestro dei Corvi stava ad ammirare il risultato della battaglia, ascoltando il lieto silenzio che veniva dato solo dalla morte. Ascoltò i corvi mentre atterravano per iniziare il loro lavoro, e sentì il potere che iniziava a scorrergli dentro mentre consumavano la loro parte. Era un imbarazzante bocconcino confronto ad alcune delle battaglie precedenti, ma ci sarebbe stato di più a seguire.

      Riportò la propria attenzione nelle sue creature, lasciando che parlassero con la sua voce.

      “Questa città è mia,” disse. “Sottomettetevi o morirete. Consegnate tutti coloro che hanno la magia, o morirete. Fate come vi viene ordinato, o morirete. Ora non siete nulla, schiavi e meno che schiavi. Obbedite, e sarete risparmiati dal diventare cibo per i corvi per un po’. Disobbedite, e morirete.”

      Mandò le sue creature in alto in aria a visionare la terra che avevano conquistato in quella prima parte dell’avanzata. Poteva vedere l’orizzonte allungarsi lontano da sé, con tutta la promessa di altra terra da conquistare, di altre morti per nutrire le sue bestiole.

      Il Maestro dei Corvi normalmente non aveva visioni. Al meglio i suoi corvi gli davano sufficienti dettagli per ipotizzare quello che sarebbe successo. Lui non era la strega della fontana, capace di cogliere tratti del futuro, e neanche lei era stata capace di prevedere la propria morte. Ora però la visione gli arrivò improvvisa, trasportata dalle ali delle sue creature.

      Vide un bambino accoccolato tra le braccia della madre, e riconobbe all’istante la nuova regina del regno. Vide del pericolo in quel bambino, e più che semplice pericolo. La morte che aveva tenuto da parte così a lungo con le vite degli altri, lo minacciava ora nell’ombra di quel neonato. Il piccolo allungò le mani per afferrarlo, con l’innocenza di un bambino, e il Maestro dei Corvi arretrò, rifuggendo rapidamente in se stesso.

      Rimase fermo al centro della cittadina che aveva conquistato, scuotendo la testa.

      “Va tutto bene, mio signore?” chiese il suo aiutante.

      “Sì,” disse il Maestro dei Corvi, perché se ammetteva la sua debolezza, avrebbe dovuto uccidere quell’uomo. Se fosse trapelato anche solo un accenno della paura che gli era nata dentro, allora tutto ciò che vedeva avrebbe dovuto morire. Sì, era un pensiero…

      “Ho cambiato idea,” disse. “Risparmieremo la conquista della prossima cittadina. Radete al suolo questa. Uccidete ogni abitante, uomo, donna… o bambino che tenga tra le braccia. Non lasciate intera una singola pietra.”

      L’aiutante non mise nulla in discussione, proprio come aveva fatto il capitano che si era messo all’inseguimento dei fuggitivi.

      “Faremo come ordinate, mio signore,” promise.

      Il Maestro dei Corvi non aveva dubbio che l’avrebbero fatto. Lui ordinava e la gente moriva in risposta. Se c’era un bambino che era una minaccia per lui… beh, quel bambino poteva morire. Insieme a sua madre.

      CAPITOLO TRE

      Emeline era al centro di Casapietra e cercava di contenere parte della sua frustrazione mentre guardava tutti gli abitanti riuniti attorno al cerchio di pietre. Cora e Aidan erano vicino a lei, cosa che le dava un certo sostegno, ma dato che tutti gli altri le stavano schierati contro, non le pareva poter servire a molto.

      “Sofia ci ha mandati a convincervi di tornare ad Ashton,” disse Emeline, concentrata sul punto in cui sedevano Asha e Vincente. Quante volte avevano fatto questa discussione ormai? Ci era voluto tutto questo tempo, solo per arrivare al punto di discuterlo tutti insieme nel cerchio. “Non c’era bisogno che tornaste a Casapietra dopo la battaglia. Sofia sta costruendo un regno dove quelli come noi sono liberi, e non abbiamo nulla da temere.”

      “C’è sempre qualcosa da temere fintanto che esistono coloro che ci odiano,” ribatté Asha. “Avrebbe potuto ordinare alle chiese della Dea Mascherata di stare zitte. Avrebbe potuto far impiccare i loro macellai per i crimini commessi.”

      “E questo avrebbe ridato vita alle guerre civili,” disse Cora accanto ad Emeline.

      “Meglio una guerra che vivere accanto a coloro che ci odiano,” disse Asha. “Chi ci ha fatto queste cose non potrà mai essere perdonato.”

      Vincente la mise in termini più misurati, ma non fu di maggiore aiuto. “Questo è un posto dove abbiamo costruito una comunità, Emeline. È un posto dove possiamo stare certi di essere


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