Minaccia Primaria: Le Origini di Luke Stone—Libro #3. Джек Марс
La gente si chiedeva perché un personaggio influente come lui avesse scelto di gestire il suo impero da quella tomba, sotto un edificio tetro, fatiscente e in rovina fuori dal centro di Mosca. Marmilov lo sapeva perché diversi uomini, in particolare i potenti o quelli che aspiravano a diventarlo, spesso gli facevano esattamente quella domanda.
“Perché non un bell’ufficio d’angolo ai piani alti? Perché un uomo come lei, con un mandato superiore al GRU, non si fa trasferire al Cremlino, con una bella vista sulla Piazza Rossa e l’opportunità di contemplare le opere della storia e dei grandi protagonisti degli eventi passati? O anche solo per guardare le belle ragazze che passano di lì? O almeno per vedere il sole?”
Marmilov sorrideva sempre e rispondeva: “Non mi piace il sole.”
“E le belle ragazze?” insistevano i suoi amichevoli vessatori.
Lui scuoteva la testa. “Ho una certa età. Mi basta mia moglie.”
Non era vero niente, ovviamente. Sua moglie viveva cinquanta chilometri fuori dalla città, in una residenza di campagna che risaliva a prima della Rivoluzione. La vedeva appena e né lui né la donna avevano problemi con quella sistemazione. Invece di passare del tempo con la moglie, Marmilov alloggiava in una moderna suite d’albergo al Ritz Carlton di Mosca, e si godeva una costante fornitura di giovani donne che gli venivano portate direttamente alla porta della stanza. Le ordinava come si faceva con il servizio in camera.
Aveva sentito che le ragazze, e probabilmente anche i loro papponi, lo definivano il Conte Dracula. Quel soprannome lo faceva sorridere. Lui non avrebbe potuto sceglierne uno più adatto.
Il motivo per cui rimaneva nello scantinato di quell’edificio e non si trasferiva al Cremlino, era che preferiva non vedere la Piazza Rossa. Anche se amava la cultura russa più di qualsiasi altra cosa al mondo, durante le sue giornate lavorative non voleva che le sue azioni fossero turbate dai sogni del passato. E in particolar modo non voleva che fossero ostacolate dalle sventurate realtà e dalle mezze misure del presente.
Marmilov era concentrato solo sul futuro. Era determinato a plasmarlo con tutte le sue forze.
C’era la grandezza nel futuro. C’era la gloria. Il futuro della Russia avrebbe sorpassato, e persino fatto impallidire, i patetici disastri del presente e forse anche le vittorie del passato.
Il futuro era in arrivo, e lui era il suo creatore. Era suo padre e la sua levatrice. Per immaginarlo appieno non si poteva lasciar distrarre da messaggi e ideali contrastanti. Aveva bisogno di una visione pura e per ottenerla era meglio fissare una parete vuota che fuori da una finestra.
“No, in effetti no,” rispose l’uomo grasso, Viktor Ulyanov. “Ma credo che alcuni nella nostra cerchia siamo un po’ preoccupati da tutto quel movimento.”
Lui scrollò le spalle. “Certo.”
C’erano sempre uomini più concentrati sulla propria misera sopravvivenza che sui loro doveri verso il popolo. Non sarebbero mai riusciti a guidarlo verso un futuro migliore.
“E certi sono convinti che quando il presidente…”
Il presidente!
Marmilov trattenne una risata. Il presidente era solo un piccolo ostacolo sulla strada verso la grandezza del loro paese. Era un intoppo, e pure minuscolo. Sin da quando aveva preso le redini da quell’alcolizzato del suo mentore, Yelstin, la commedia degli errori che era la Russia era solo peggiorata, non migliorata.
Presidente di cosa? Della spazzatura!
Quell’uomo avrebbe fatto meglio a guardarsi le spalle, come diceva il proverbio. O ci avrebbe trovato un coltello infilzato in mezzo.
“Sì?” incoraggiò l’altro uomo. “Sono convinti che quando il presidente… cosa?”
“Ci scoprirà,” riprese Ulyanov.
Marmilov annuì e sorrise. “Sì? Quando ci scoprirà… cosa succederà allora?”
“Ci sarà un’epurazione,” concluse l’altro.
Marmilov lo fissò strizzando gli occhi in mezzo a una nuvola di fumo. Era uno scherzo? Non l’epurazione a cui Putin avrebbe dato il via se li avesse scoperti. Se avessero fatto un passo sbagliato, non avrebbero potuto aspettarsi altro. Lo scherzo doveva essere la preoccupazione di Ulyanov e dei suoi soci senza nome di fronte a quell’eventualità, così avanti nei lavori.
“Il presidente lo scoprirà quando sarà troppo tardi,” dichiarò con semplicità. “Sarà lui stesso a essere epurato.” Ulyanov e gli altri per cui parlava dovevano saperlo. Era sempre stato quello il piano.
“Temono tutti bagno di sangue,” insistette l’uomo grasso.
Marmilov soffiò il fumo per aria. “Mio caro amico, non c’è niente da temere. Il bagno di sangue è sempre stato previsto. È stato pianificato anni fa.”
Nella sua tana un computer portatile gli era spuntato come un fungo accanto al piccolo schermo televisivo sulla scrivania. La televisione continuava a mostrare le riprese delle telecamere di sicurezza sulla piattaforma petrolifera, mentre sul computer scorrevano le trascrizioni delle comunicazioni americane intercettate tradotte in russo.
Gli americani stavano stringendo un cappio attorno alla piattaforma sotto assedio. Un cerchio di basi temporanee era apparso sul ghiaccio a pochi chilometri dall’impianto. Le loro squadre segrete erano state allertate ed erano pronte ad attaccare. Un jet supersonico aveva ricevuto l’autorizzazione ad alzarsi in volo ed era atterrato a Deadhorse da trenta minuti.
Stavano per colpire.
“Non abbiamo mai avuto intenzione di tenere l’impianto a lungo,” disse Marmilov. “È per questo che abbiamo usato delle pedine sacrificabili. Sapevamo che gli americani si sarebbero ripresi la loro proprietà.”
“Sì,” replicò Ulyanov. “Ma la notte stessa?”
Lui fece spallucce. “Prima di quanto ci aspettassimo, ma il risultato sarà lo stesso. Le loro prime squadre d’assalto finiranno nel bel mezzo di un disastro. Un bagno di sangue, come ha detto lei. Per i nostri scopi dovrebbe essere un autentico massacro. Mostreremo al mondo la loro ipocrisia riguardo l’ambiente. Così il pubblico avrà modo di ricordare i loro recenti crimini di guerra.”
“E l’impatto su di noi?” domandò Ulyanov.
Marmilov inalò di nuovo a fondo dalla sigaretta. Per lui era il soffio stesso della vita. Sì, anche in Russia, e persino nelle sue stanze private, era costretto ad affrontare la verità. Le sigarette facevano male alla salute. E lo stesso valeva per la vodka e il whiskey. Ma in quel caso perché Dio li aveva resi tanto piacevoli?
Espirò il fumo.
“Resta da vedere, ovviamente. E dipenderà dagli organi di stampa che se ne occuperanno in ogni paese. Ma certo i primi bollettini saranno in nostro favore. In generale, sospetto che gli eventi si rifletteranno negativamente sugli americani, e in seguito faranno lo stesso sul nostro amato presidente.”
Si interruppe e rifletté sulla questione. “La realtà, e l’evolversi degli eventi lo confermerà, è che peggiore il disastro e migliore sarà la nostra posizione.”
CAPITOLO NOVE
11:05 p.m. Ora legale in Alaska (4 settembre)
Campo sul ghiaccio ReadyGo della Marina degli Stati Uniti
Nove chilometri a nord dell’Arctic National Wildlife Refuge
Tre chilometri a ovest della Martin Frobisher Oil Platform
Mare di Beaufort
Mar Glaciale Artico
“Non esiste, gente. Non posso farlo.”
La notte era nera. Fuori dalla piccola calotta ululava il vento e cadeva una pioggia gelata. La visibilità stava peggiorando. Di lì a poco sarebbe stata pari a zero.