Persecuzione. Блейк Пирс

Persecuzione - Блейк Пирс


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divertente.”

      Il suo ragazzo Jay aveva rotto con lei circa una settimana prima, e da allora non faceva altro che spaventarla. Si era sparsa la voce che avesse parlato male di lei con gli amici maschi, lamentandosi del fatto che non gli “si fosse concessa”. Naturalmente, quello era stato il motivo per cui Jay aveva messo fine al loro rapporto, ma Kimberly di sicuro non pensava che fossero affari degli altri.

      E ora, non poteva fare altro che chiedersi se Jay la stesse perseguitando.

      Sospirò e pensò, Non mi stupirebbe affatto.

      Scosse il capo e riprese di nuovo a camminare.

      Poi, il fischiettare riprese.

      Kimberly accelerò il passo, guardandosi attorno nel tentativo di comprendere da dove provenisse quel suono, senza riuscirci. Iniziò a sperare che, dopotutto, si trattasse di Jay. Non le piaceva l’idea che potesse essere qualcuno degli strani amici dell’ex. E non osava immaginare che fosse qualcuno che non conosceva nemmeno.

      Mentre continuava a camminare, si guardò intorno, osservando le case dove vivevano tutte persone che conosceva praticamente da sempre. Doveva bussare ad una di quelle porte, così che qualcuno la lasciasse entrare?

      No, è tardi, pensò.

      Non vide alcuna luce accesa all’interno di quelle abitazioni. Probabilmente, quelle persone erano ormai tutte profondamente addormentate. Anche se non lo fossero state, non sarebbero state felici di essere disturbate a quell’ora. Ed i suoi genitori sarebbero usciti dai gangheri, se avessero saputo che lei aveva disturbato le persone a quell’ora di notte.

      Il fischiettare cessò di nuovo, ma Kimberly non ne fu affatto confortata. La notte ora sembrava più fredda e più cupa di quanto non fosse stata solo pochi minuti prima.

      Quando svoltò ad un angolo, vide un furgone parcheggiato a breve distanza. Aveva fari e motore accesi.

      Emise un sospiro di sollievo. Non riconosceva il veicolo, ma almeno si trattava di qualcuno. Chiunque fosse alla guida del furgone sicuramente le avrebbe dato un passaggio per la breve distanza che restava fino alla sua casa.

      Raggiunse il veicolo e notò che lo sportello laterale era aperto. Guardando all’interno, vide che l’abitacolo era vuoto e aperto, con una una sorta di grata metallica dietro i sedili anteriori. Non c’era anima viva.

      Kimberly si chiese se il guidatore potesse avere avuto dei problemi al motore e fosse andato a cercare aiuto. Se si trattava di un estraneo, non avrebbe saputo affatto a chi rivolgersi.

      Forse posso aiutare, pensò.

      Prese il cellulare dalla borsetta, immaginando di poter chiamare suo padre. Ma esitò per un istante, incerta se volesse davvero svegliare il genitore, anche se era per aiutare un estraneo.

      Sentì dei passi avvicinarsi e si voltò per vedere un volto che riconosceva.

      “Oh, sei tu …” disse, provando un momento di sollievo.

      Ma l’espressione su quel volto congelò qualunque parola che sarebbe potuta seguire. Non aveva mai visto i suoi occhi così freddi e duri in quel modo.

      Senza dire alcunché, lui allungò una mano e le tirò via borsetta e cellulare.

      Ora la paura emerse dalla gola di Kimberly. Tutte le cose che pensava di fare le attraversarono la mente.

      Grida aiuto, si disse. Sveglia qualcuno.

      Ma improvvisamente, fu sollevata e scaraventata violentemente nel retro del furgone.

      Lo sportello sbatté e le luci interne si spensero.

      Affermò la maniglia dello sportello, ma si accorse che era bloccato

      Finalmente, Kimberly ritrovò la sua voce.

      “Fammi uscire di qui!” gridò, colpendo lo sportello.

      Poi, lo sportello del guidatore si aprì, e l’uomo entrò.

      Il furgone iniziò a muoversi.

      Kimberly afferrò con tutte le sue forze la grata metallica che la separava dal guidatore e chiese: “Che cosa stai facendo? Fammi uscire di qui!”

      Ma, ormai, il veicolo era in strada, e Kimberly sapeva che nessuno nel quartiere addormentato poteva sentirla.

      CAPITOLO UNO

      Quando il primo colpo esplose, Riley Sweeney reagì in fretta. Proprio com’era stata addestrata all’Accademia, si accovacciò dietro l’ostacolo più vicino, una Honda che era parcheggiata di fronte al motel dove due killer erano rifugiati. Ma era consapevole del fatto che il veicolo compatto non le offriva molta protezione.

      In quel periodo dell’anno faceva freddo, nel nord dello stato di New York, e stava nevicando. La visibilità non era affatto buona. Questo era il primo appostamento armato, e non si sentiva sicura di sopravvivere.

      Aguzzando lo sguardo, tra i fiocchi di neve che cadevano, Riley vide che l’Agente Speciale Jake Crivaro si era sistemato in modo più sicuro accanto ad un grosso SUV. Crivaro, suo partner e mentore, sembrava preoccupato, quando lui le rivolse uno sguardo. Riley avrebbe voluto poter silenziosamente digli che sarebbe andato tutto bene per lei. Come i sei poliziotti locali che erano arrivati con loro in quel momento, Riley e Crivaro indossavano il Kevlar. Ma Riley sapeva di non doversi aspettare troppo dal suo gilet protettivo. Un colpo ben mirato alla testa, o anche un colpo casuale, poteva essere fatale.

      Crivaro portò il megafono alle labbra e gridò: “Sono l’Agente Speciale Jake Crivaro dell’FBI. Con me ci sono la mia partner e le forze dell’ordine locali. Siete circondati. Non c’è via di scampo. Uscite fuori con le mani in alto.”

      Non giunse alcuna risposta dalla camera del motel in cui i due killer erano rifugiati. Invece, ci fu soltanto un inquietante fischio di vento.

      Riley sollevò cautamente la testa da dietro la piccola auto, provando a intravedere la camera del motel. Proprio in quell’istante, ci fu uno scoppio acuto seguito da un suono stridente e acuto, qualcosa tra un fischio e un ronzio.

      Un proiettile le era passato accanto. Riley abbassò la testa, per togliersi dalla traiettoria. Ebbe un sussulto, quando comprese che cosa era successo: mi hanno appena sparato per la prima volta.

      Si era sottoposta ad un intenso addestramento con vere munizioni, ma nessuno aveva mirato proprio a lei.

      Come Crivaro e gli altri poliziotti, aveva già impugnato la sua pistola, una Glock semiautomatica calibro 40.

      L’arma sembrava goffa nelle sue mani.

      Si disse che avrebbe dovuto essere contenta che le fosse stata data un’arma più potente della pistola calibro 22, che le era stata consegnata quando aveva ricevuto il distintivo dell’FBI. Ma questa era meno familiare, e ancora non sapeva come avrebbe dovuto usarla.

      Sapeva che avrebbe fatto meglio a non sparare ora, e apparentemente anche gli altri della squadra erano dello stesso parere. Dovevano provarle tutte, per porre fine a questa situazione senza sparare inutilmente.

      Sospettava che alcuni dei poliziotti che erano radunati nelle vicinanze si trovassero nella sua stessa situazione. Forse alcuni erano nuovi nelle forze dell’ordine quanto lei. Da quando aveva completato l’addestramento nell’FBI l’anno precedente, Riley si era chiesta come si sarebbe sentita, quando si fosse ritrovata in una situazione simile per la prima volta.

      E ora che ci si trovava dentro, ancora non aveva una risposta.

      Ma era sicura di una cosa: non provava panico. In realtà, non aveva affatto paura. Le sembrava piuttosto di essere uscita dal proprio corpo e guardare quello che stava accadendo, come una sorta di fredda osservatrice. La situazione era irrealistica, quasi surreale. Ma lei sapeva che tutto il suo corpo era preda dell’adrenalina, e doveva restare lucida.

      Si sentì un po’ incoraggiata dal fatto che almeno una persona in quella squadra aveva idea di cosa stesse facendo. Questa non era certo


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