La Casa Perfetta. Блейк Пирс

La Casa Perfetta - Блейк Пирс


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l’accademia preferisse agenti più esperti. Per le prime due settimane di corso, si era sentita completamente travolta dal volume di informazioni che le erano state gettate addosso. Aveva seguito lezioni di scienza forense, legge, mentalità terroristica, oltre che della sua sfera di interesse – la scienza comportamentale – che enfatizzava l’addentrarsi nelle menti degli assassini per comprendere meglio i loro moventi. E niente di tutto questo comprendeva l’irrefrenabile allenamento fisico che le rendeva tutti i muscoli doloranti.

      Alla fine si era adeguata. I corsi, che le ricordavano il suo recente lavoro universitario in psicologia criminale, iniziarono ad avere senso. Dopo circa un mese, il suo corpo non era più dilaniato dal dolore quando si alzava la mattina. E meglio di tutto, tutto il tempo che passava nell’Unità di Scienze Comportamentali le permetteva di interagire con i migliori esperti al mondo di omicidi seriali. Sperava di diventare un giorno una di loro.

      Oltre a tutto ciò, c’era un altro beneficio. Dato che lavorava sodo, sia fisicamente che mentalmente, in quasi ogni momento di veglia, non aveva quasi mai sognato. O almeno non aveva avuto incubi.

      Quando stava a casa si era spesso svegliata gridando e madida di sudore, perseguitata dai ricordi della sua infanzia o dei più recenti traumi che si riproponevano nel suo inconscio. Ricordava ancora la sua più recente fonte di ansia. Era stata la sua ultima conversazione con il serial killer detenuto Bolton Crutchfield, quando lui le aveva detto che avrebbe presto fatto una chiacchierata con il padre di Jessie, lui stesso un assassino ancora in libertà.

      Se nelle ultime dieci settimane fosse stata a Los Angeles, avrebbe passato la maggior parte del tempo ad ossessionarsi e arrovellarsi nel decidere se Crutchfield avesse detto la verità o stesse solo cercando di farla andare di matto. E se fosse stato effettivamente onesto, come sarebbe riuscito a coordinare una discussione con un killer in fuga, mentre lui stesso era sotto custodia in un ospedale mentale di assoluta sicurezza?

      Ma dato che si era trovata a migliaia di chilometri di distanza, concentrata senza tregua su compiti impegnativi per quasi ogni secondo di veglia, non aveva avuto la possibilità di fissarsi sulle affermazioni di Crutchfield. Probabilmente l’avrebbe fatto presto, ma non ancora. In quel momento era semplicemente troppo stanca perché il suo cervello potesse essere in grado di darle problemi.

      Sistemandosi comoda sul suo sedile, mentre permetteva al sonno di avvolgerla di nuovo, le venne in mente un altro pensiero.

      Quindi tutto quello che devo fare per poter dormire bene per il resto della mia vita è passare tutte le mattine a fare allenamento fino al punto di vomitare, per poi proseguire con dieci ore ininterrotte di istruzioni professionali. Mi pare un buon piano.

      Prima di poter sorridere della propria battuta, si era già addormentata.

      *

      Quel senso di piacevole agio scomparve nel preciso momento in cui mise piede fuori dal LAX subito dopo mezzogiorno. Da quell’istante in poi avrebbe dovuto stare costantemente allerta. Dopotutto, prima di partire per Quantico era venuta a sapere che un serial killer mai catturato era sulle sue tracce. Xander Thurman la cercava da mesi. E si dava il caso che Thurman fosse anche suo padre.

      Prese un car pooling dall’aeroporto al lavoro, che era la Stazione Centrale della Polizia di Prossimità nel centro di Los Angeles. Non avrebbe ricominciato formalmente a lavorare fino al giorno dopo, e non era dell’umore giusto per chiacchierare, quindi non entrò neanche nell’ufficio principale della stazione.

      Andò invece alla sua cassetta assegnata e raccolse la posta, che era stata inoltrata lì da una casella postale. Nessuno – né colleghi, né amici e neppure i suoi genitori adottivi – sapeva quale fosse il suo effettivo indirizzo. Aveva affittato l’appartamento tramite una società di leasing, il suo nome non era presente da nessuna parte sul contratto e non c’era nessun documento che la riconducesse a quell’edificio.

      Una volta presa la posta, percorse un corridoio laterale che portava al parco macchine, dove c’erano sempre dei taxi in attesa nei vicoli collegati. Salì in uno di questi e lo indirizzò verso il centro commerciale che si trovava vicino al complesso in cui viveva, a circa tre chilometri di distanza.

      Uno dei motivi per cui aveva scelto di andare a vivere in questo posto, dopo che la sua amica Lacy aveva insistito perché se ne andasse, era che era difficile da trovare, e risultava ancora più difficile accedervi senza permesso. Prima di tutto, la sua struttura di parcheggio era sotto l’adiacente centro commerciale nel medesimo edificio, quindi chiunque l’avesse seguita avrebbe avuto difficoltà a capire dove stesse andando.

      E anche se qualcuno l’avesse intuito, l’edificio aveva un portiere e una guardia di sicurezza. La porta d’accesso e gli ascensori richiedevano carte d’accesso. E nessuno degli appartamenti aveva numeri civici riportati all’esterno. I residenti dovevano solo ricordare qual era la loro porta.

      Ad ogni modo Jessie aveva comunque preso delle precauzioni in più. Quando scese dal taxi – che pagò in contanti – andò dritta al centro commerciale. Prima passò rapidamente per una caffetteria, girovagando tra la folla prima di prendere un’uscita secondaria.

      Poi, tirandosi il cappuccio della maglietta sulla testa e coprendo i capelli castani che le arrivavano alle spalle, passò attraverso una zona ristoranti arrivando a un corridoio che aveva dei bagni vicino a una porta contrassegnata dalla scritta “Riservato al personale”. Spinse la porta del bagno delle donne in modo che chiunque la stesse potenzialmente seguendo la vedesse chiudersi e pensasse che lei vi era entrata. Invece, senza guardarsi alle spalle, passò per l’ingresso dipendenti, che era un lungo corridoio con ingressi secondari per ciascun esercizio commerciale.

      Percorse in leggera corsa il corridoio curvo fino a che trovò la rampa di scale contrassegnata dalla scritta “Manutenzione”. Scendendo di corsa i gradini il più silenziosamente possibile, usò la carta che le aveva dato il direttore dell’edificio per aprire anche quella porta. Aveva negoziato un’autorizzazione speciale per accedere a quell’area sulla base del suo collegamento con il Dipartimento di Polizia di Los Angeles, piuttosto che tentando di spiegare che le sue precauzioni erano dovute al fatto che suo padre era un serial killer a piede libero.

      La porta della manutenzione si chiuse a chiave alle sue spalle mentre lei già percorreva uno stretto passaggio con tubi in vista che spuntavano da tutti gli angoli e griglie di metallo che contenevano attrezzature che lei non conosceva. Dopo diversi minuti di intricato percorso a ostacoli, raggiunse una piccola nicchia vicino a un grosso boiler.

      A metà strada lungo il passaggio, l’area era poco illuminata e facile da non notare. Avevano dovuto indicargliela la prima volta che erano scesi là sotto. Entrò nella nicchia mentre tirava fuori la vecchia chiave che le avevano dato. La serratura della porta era quella classica, alla vecchia maniera. Jessie la aprì e spinse la pesante porta, che poi richiuse rapidamente a chiave alle sue spalle.

      Ora si trovava nella stanza magazzino del piano interrato del suo edificio ed era quindi passata ufficialmente dalla proprietà del centro commerciale al complesso di appartamenti. Attraversò rapidamente la stanza buia, quasi inciampando su un flacone di candeggina che era stato abbandonato sul pavimento. Aprì la porta, passò attraverso l’ufficio vuoto del direttore della manutenzione e salì la stretta scala che si apriva su un corridoio di servizio del piano principale del condominio.

      Svoltò l’angolo dell’atrio dove si trovava il blocco di ascensori, dove poté sentire il portinaio Jimmy e la guardia per la sicurezza Fred che chiacchieravano amabilmente con un residente nella lobby d’ingresso. Non aveva tempo per fermarsi a fare due chiacchiere con loro adesso, ma si promise di farlo in un secondo momento.

      Erano entrambi dei tipi simpatici. Fred era un ex poliziotto stradale che era andato in pensione in anticipo dopo un brutto incidente in motocicletta durante il turno di lavoro. Era rimasto con un’evidente zoppia e una grossa cicatrice sulla guancia sinistra, ma questo non gli aveva impedito di essere sempre scherzoso e di buon umore. Jimmy, un ragazzo sui venticinque anni, era un ragazzo dolce e sincero che usava quel lavoro per mantenersi al college.

      Jessie passò oltre l’atrio portandosi all’ascensore di servizio, che non era visibile dalla lobby. Strisciò la


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