Assassinio in villa. Фиона Грейс
non c’era da stupirsi.
“Wilfordshire. L’ultima vacanza che abbiamo fatto con mamma e papà insieme.”
Ci fu un momento di silenzio.
“Perché me lo stai chiedendo?”
Come loro madre, Naomi aveva fatto voto di silenzio su tutti i particolari che riguardavano papà. Lei era più piccola quando lui se n’era andato, e dichiarava di non avere assolutamente ricordi di lui, quindi perché sprecare energie nel curarsi della sua assenza? Ma dopo qualche bicchierino di troppo un venerdì sera, aveva confessato di ricordarselo benissimo, di sognarlo spesso e di aver dedicato tre anni interi a sessioni di terapia settimanali dando furiosamente la colpa dei propri insuccessi nelle relazioni da adulta al suo abbandono. Naomi si era tuffata in un carosello di relazioni passionali e tumultuose quando aveva quattordici anni e non aveva mai smesso. La sua vita amorosa dava a Lacey il capogiro.
“Sono arrivate. Le carte.”
“Oh, Tesoro. Mi spiace. Sei… FRANKIE, METTI GIÙ QUELLA COSA SE NO TI FACCIO VEDERE IO!”
Lacey sussultò, staccando il cellulare dall’orecchio mentre Naomi gridava a Frankie una minaccia di morte se avesse continuato a fare una cosa che a quanto pareva non gli era concessa.
“Scusa, tesoro,” disse Naomi, la voce di nuovo a volume accettabile. “Stai bene?”
“Sto bene.” Lacey fece una pausa. “No, a dire il vero no. Mi sento impulsiva. Su una scala da uno a dieci, quanto folle sarebbe dare buca al lavoro e prendere il prossimo volo per l’Inghilterra?”
“Ehm, che ne dici di undici? Ti licenzieranno.”
“Chiederò un permesso.”
Era praticamente come se Lacey potesse sentire Naomi che ruotava gli occhi.
“Da Saskia? Dici sul serio? Pensi che ti concederà una giornata per te? La donna che l’anno scorso ti ha fatto lavorare a Natale?”
Lacey corrucciò le labbra costernata, un gesto che, secondo sua madre, aveva ereditato da suo padre. “Devo fare qualcosa, Naomi. Mi sento soffocare.” Si allargò il colletto del dolcevita, che all’improvviso le sembrava un cappio.
“Certo che sì. Nessuno ti biasima per questo. Solo non fare niente di avventato. Voglio dire, hai scelto la tua carriera al posto di David. Non metterla a rischio.”
Lacey esitò, le sopracciglia inarcate per la confusione. Era così che Naomi interpretava la situazione?
“Io non ho scelto la mia carriera al suo posto. È stato lui a darmi l’ultimatum.”
“Girala dal verso che vuoi, Lace, però… FRANKIE! FRANKIE, GIURO…”
Lacey aveva raggiunto l’ufficio. Sospirò. “Ciao, Naomi.”
Terminò la chiamata e fissò l’alto edificio in mattoni al quale aveva donato quindici anni della propria vita. Quindici al lavoro. Quattordici a David. Era chiaramente ora che donasse qualcosa a se stessa, no? Solo una piccola vacanza. Un viaggio lungo la linea della memoria. Una settimana. Una quindicina di giorni. Al massimo un mese.
Con un improvviso senso di risoluzione, Lacey entrò a grandi passi nell’edificio. Trovò Saskia in piedi davanti a un computer, intenta ad abbaiare ordini a una stagista che la guardava con espressione terrorizzata. Prima che la sua titolare avesse anche solo la possibilità di dirle una parola, Lacey sollevò una mano interrompendola.
“Mi prendo del tempo libero,” disse.
Ebbe solo il tempo di vedere Saskia che aggrottava la fronte, prima di girare sui tacchi e ripercorrere di gran marcia la strada da cui era venuta.
Cinque minuti dopo, Lacey era al telefono e stava prenotando un volo per l’Inghilterra.
CAPITOLO DUE
“Sei ufficialmente diventata pazza, sorellina.”
“Tesoro, ti stai comportando in modo irrazionale.”
“Zia Lacey sta bene?”
Le parole di Naomi, mamma e Frankie riecheggiavano nella mente di Lacey mentre scendeva dall’aereo all’aeroporto di Heathrow. Magari era stata davvero pazza a saltare sul primo volo in partenza dal JFK, affrontare un viaggio di sette ore su un aereo con nient’altro che la sua borsetta, i suoi pensieri e una borsa di stoffa piena di vestiti e articoli da toletta che aveva comprato dalle catene di negozi in aeroporto. Ma voltare le spalle a Saskia, a New York e a David era stato davvero inebriante. L’aveva fatta sentire giovane. Spensierata. Avventurosa. Coraggiosa. In effetti, le aveva ricordato la Lacey Doyle che era stata nell’AD (Ante David).
Dare alla sua famiglia la notizia che se ne stava andando in Inghilterra senza il minimo preavviso – e nientemeno che in vivavoce – era stato meno inebriante, dato che nessuno di loro sembrava avere filtri e tutti e tre condividevano la stessa cattiva abitudine di esprimere a voce alta quello che passava loro per la testa.
“E se ti licenziano?” aveva piagnucolato sua madre.
“Oh, la licenzieranno di sicuro,” aveva ammesso Naomi.
“La zia Lacey sta avendo un esaurimento nervoso?” aveva chiesto Frankie.
Lacey se li poteva figurare tutti seduti attorno a un tavolo riunioni, concentrati a fare del loro meglio per mandare all’aria il suo piano. Ma ovviamente la realtà non era questa. In quanto suoi più vicini e cari parenti, era loro compito servirle le verità più dure. In questa nuova e poco familiare epoca DD – Dopo David – chi altri avrebbe potuto farlo?
Lacey attraversò l’atrio seguendo il resto dei passeggeri dallo sguardo vacuo. Nell’aria si sentiva la famigerata pioggerellina inglese. Che fantastica primavera. Con l’umidità a incresparle i capelli, Lacey poteva finalmente prendersi una pausa per riflettere. Ma adesso non c’era nessuna via di ritorno, non dopo un volo di sette ore e diverse centinaia di verdoni usciti dal suo conto corrente.
Il terminal era un enorme edificio a forma di serra, tutto acciaio e lucido vetro blu, sovrastato da un tetto curvo all’avanguardia. Lacey entrò nella luccicante stanza dal pavimento piastrellato, decorata con affreschi cubisti offerti dalla, British Building Society – società dal nome d’altri tempi – e si accodò alla fila per il controllo passaporti. Quando arrivò il suo turno, si trovò davanti alla guardia allo sportello, una donna accigliata con i capelli biondi e le sopracciglia disegnate con la matita nera. Lacey le porse il suo passaporto.
“Il motivo della sua visita? Lavoro o piacere?”
L’accento della guardia era duro, lontano dal morbido britannico parlato dagli attori che tanto affascinavano Lacey ne suoi talk-show notturni preferiti.
“Sono in vacanza.”
“Non ha un biglietto di ritorno.”
A causa della sua grammatica poco ortodossa, il cervello di Lacey ebbe bisogno di un momento per elaborare ciò che la donna stava effettivamente dicendo. “È una vacanza con ritorno aperto.”
La donna sollevò le sue grandi sopracciglia nere e il suo cipiglio si trasformò in sospetto. “Le serve un visto se pensa di lavorare.”
Lacey scosse la testa. “Non è mia intenzione farlo. L’ultima cosa per cui sono qui è il lavoro. Ho appena divorziato. Ho bisogno di un po’ di tempo e di spazio per schiarirmi le idee, di mangiare gelato e di guardare qualche pessimo film.”
I lineamenti della guardia si ammorbidirono all’istante in uno slancio di empatia, suggerendo a Lacey la netta impressione che anche lei facesse parte del Club delle Divorziate Tristi.
La guardia le restituì il passaporto. “Buona permanenza. E testa alta, ok?”
Lacey mandò giù il piccolo nodo che le si era formato in gola, ringraziò la donna e proseguì verso gli arrivi. Lì c’erano diversi gruppetti di persone che aspettavano l’arrivo dei