Prima Che Invidi. Блейк Пирс

Prima Che Invidi - Блейк Пирс


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cuscino. Aveva chiuso gli occhi da appena cinque secondi che Kevin ricominciò a piangere. Si drizzò a sedere nel letto e gemette piano. Poi però cercò di controllarsi, temendo di scoppiare a piangere. Era stanca e la cosa peggiore era che stava iniziando ad avere i primi pensieri negativi su suo figlio.

      “Ancora?” esclamò Ellington, quasi imprecando. Si alzò e, quasi inciampando nello scendere dal letto, si avvicinò alla culla.

      “Ci penso io” disse Mackenzie.

      “No... sei stata con lui già quattro volte. E guarda che lo so... mi sono svegliato ogni volta.”

      Non sapeva perché (probabilmente la mancanza di sonno, pensò pigramente), ma quel commento la fece incazzare. Praticamente si fiondò fuori dal letto per arrivare al bambino che piangeva prima di lui. Passando, gli diede una spallata che era troppo forte per essere considerata giocosa. Prendendo Kevin, disse: “Oh, mi dispiace. Ti ha svegliato?”

      “Mac, sai cosa intendo.”

      “Sì, lo so. Ma Gesù, potresti aiutarmi di più.”

      “Devo alzarmi presto domani”, disse. “Non posso semplicemente starmene seduto a...”

      “Oddio, ti prego, finisci quella frase.”

      “No. Mi dispiace. È solo che...”

      “Torna a letto” sbottò Mackenzie. “Kevin e io ce la caveremo.”

      “Mac…”

      “Sta' zitto. Torna a letto e dormi.”

      “Non posso.”

      “Il bambino è troppo rumoroso? Vai sul divano, allora!”

      “Mac, tu...”

      “Vai!”

      Adesso piangeva, stringendo Kevin a sé mentre si rimetteva a letto. Il piccolo si lamentava ancora, probabilmente per il reflusso. Sapeva che avrebbe dovuto tenerlo di nuovo in piedi e questo le fece venir voglia di piangere ancora più forte. Ma fece del suo meglio per trattenersi mentre Ellington usciva dalla stanza come una furia. Stava borbottando qualcosa sottovoce e Mackenzie fu felice di non capire cosa dicesse. Stava cercando una scusa per esplodere contro di lui, per rimproverarlo e, ad essere sinceri, solo per sfogare un po’ della sua frustrazione.

      Si appoggiò contro la testata del letto tenendo il piccolo Kevin il più fermo e dritto possibile, chiedendosi se la sua vita sarebbe stata più la stessa.

      ***

      In qualche modo, nonostante i litigi a tarda notte e la mancanza di sonno, ci volle meno di una settimana perché la neo-famiglia si abituasse ai nuovi ritmi. C’erano voluti diversi tentativi da parte di Mackenzie ed Ellington per capire come far funzionare le cose, ma dopo quella prima settimana di problemi di reflusso, tutto sembrò andare liscio. Una volta che le medicine ebbero eliminato i sintomi peggiori, fu più facile gestirlo. Quando Kevin piangeva, Ellington lo tirava fuori dalla culla e gli cambiava il pannolino, poi Mackenzie lo allattava. Dormiva abbastanza per un neonato, circa tre o quattro ore di fila per le prime settimane dopo il reflusso, e non era affatto capriccioso.

      Fu Kevin, però, che iniziò ad aprire loro gli occhi su quanto fossero terribili le loro famiglie d’origine. La madre di Ellington arrivò due giorni dopo che Mackenzie era tornata a casa, rimanendo per circa due ore. Mackenzie era stata piuttosto educata, restando lì con loro fino al primo momento opportuno per una pausa. Allora era andata in camera da letto per fare un sonnellino mentre Kevin era impegnato con il padre e la nonna, tuttavia non era riuscita a dormire. Aveva ascoltato la conversazione tra Ellington e sua madre, sorpresa dal fatto che sembrava esserci un tentativo di riconciliazione. La signora Nancy Ellington era uscita dall'appartamento circa due ore dopo, e persino attraverso la porta della camera da letto, Mackenzie era in grado di percepire parte della tensione residua tra loro.

      Tuttavia, aveva lasciato un regalo per Kevin e aveva persino chiesto del padre di Ellington, un argomento che quasi sempre cercava di evitare.

      Il padre di Ellington non si era nemmeno preso la briga di venire. Ellington gli aveva fatto una videochiamata tramite FaceTime e, nonostante fossero rimasti a chiacchierare per quasi un'ora e il padre avesse persino le lacrime agli occhi, non aveva in programma di venire a trovare il nipotino nell’immediato futuro. Aveva iniziato la sua nuova vita molto tempo prima, e quella vita non comprendeva nessuno della sua famiglia originale. A quanto pareva, voleva lasciare le cose così. Certo, l'anno prima aveva tentato di compiere un gesto eclatante pagando il loro matrimonio (regalo che alla fine avevano rifiutato), ma quello era stato solo un aiuto a distanza. Al momento viveva a Londra con la moglie numero tre ed era apparentemente oberato di lavoro.

      Quanto a Mackenzie, anche se pensava spesso alla madre e alla sorella – gli unici membri ancora in vita della sua famiglia – l’idea di mettersi in contatto con loro era terrificante. Sapeva dove viveva sua madre e, con un piccolo aiuto da parte del Bureau, pensava di poter ottenere il suo numero. Stephanie, sua sorella minore, probabilmente sarebbe stata un po’ più difficile da rintracciare. Dal momento che Stephanie non era mai stata in grado di rimanere a lungo nello stesso posto, Mackenzie non aveva idea di dove potesse trovarsi al momento.

      Purtroppo, aveva scoperto che le andava bene così. Certo, pensava che sua madre meritasse di vedere il suo primo nipotino, ma ciò significava riaprire le cicatrici che aveva chiuso poco più di un anno prima, quando aveva finalmente chiuso il caso dell'omicidio di suo padre. Chiudendo il caso, aveva anche chiuso la porta su quella parte del suo passato, incluso il terribile rapporto che aveva sempre avuto con sua madre.

      Era strano quanto spesso pensasse a sua madre ora che aveva un figlio suo. Ogni volta che teneva in braccio Kevin, si ricordava di quanto fosse stata distante sua madre anche prima dell'omicidio del padre. Giurò a se stessa che Kevin avrebbe sempre saputo che sua madre lo amava, che non avrebbe mai lasciato che qualcos’altro – né Ellington, né il lavoro, né i suoi problemi personali – venisse prima di lui.

      Era proprio questo ciò che aveva in mente la dodicesima notte dopo che avevano portato a casa Kevin. Aveva appena finito di dare a Kevin la poppata notturna, che ormai era sempre tra l'una e le due. Ellington stava rientrando nella stanza dopo aver sistemato Kevin nella sua culla nella stanza accanto. Un tempo era stato uno studio in cui conservavano tutte le loro pratiche burocratiche e oggetti personali, poi lo avevano trasformato in una cameretta.

      “Perché sei ancora sveglia?” chiese rimettendosi a letto e affondando il viso nel cuscino.

      “Credi che saremo dei buoni genitori?”

      Sollevò la testa assonnato e scrollò le spalle. “Credo di sì. Insomma, tu di sicuro. Io invece... immagino che lo spronerò parecchio quando farà sport. È qualcosa che mio padre non ha mai fatto per me, e che mi è sempre mancato.”

      “Sono seria.”

      “Sì, l’avevo capito. Come mai lo chiedi?”

      “Perché le nostre famiglie sono così incasinate. Come sappiamo come allevare un bambino nel modo giusto se abbiamo delle esperienze così orribili alle spalle?”

      “Immagino che prenderemo nota di tutto ciò che i nostri genitori hanno sbagliato e non lo rifaremo.”

      Allungò un mano nel buio e gliela posò sulla spalla con fare rassicurante. Mackenzie avrebbe voluto che la abbracciasse da dietro accoccolandosi contro di lei, ma non era ancora completamente guarita dall'intervento.

      Così rimasero sdraiati l'uno accanto all'altra, esausti ed eccitati in egual misura per la loro vita che andava avanti, finché il sonno li chiamò a sé uno alla volta.

      ***

      Mackenzie si ritrovò a camminare di nuovo tra i filari di granoturco. Gli steli erano così alti che non riusciva a vederne la cima. Le pannocchie facevano capolino nella notte come vecchi denti ingialliti che spuntavano da gengive marce. Ognuna era lunga quasi un metro; gli steli su cui crescevano erano enormi, e la facevano sentire piccola come un insetto.

      In un punto più avanti, un bambino piangeva.


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