La caccia di Zero. Джек Марс

La caccia di Zero - Джек Марс


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      Rais estrasse la Glock e la puntò sullo sconosciuto in un batter d’occhio. Ma non sparò. Lo sentirebbero anche altre persone, capì Maya.

      “Ehi!” L’uomo lasciò cadere il casco e alzò entrambe le mani in aria.

      “Aspetta.” Lo straniero con la giacca di pelle nera si intromise, frapponendosi tra la pistola e il nuovo arrivato. “Ehi, va bene,” disse in un inglese pesantemente accentato. “Va bene.”

      Maya rimase a bocca aperta per la confusione. Bene?

      Mentre Rais abbassava con cautela l’arma, lo straniero si infilò una mano dentro la giacca di pelle e ne estrasse una busta sgualcita, piegata in tre parti e chiusa con il nastro adesivo. All’interno c’era qualcosa di grosso e rettangolare, come un mattone.

      La tese all’uomo dall’aspetto ufficiale, che stava riprendendo il casco da terra.

      Mio Dio. Sapeva cosa c’era nella busta. Quell’uomo stava accettando denaro per tenere lontani gli operai del porto e lasciare libera quella zona del molo.

      Rabbia e impotenza l’avvolsero in egual misura. Avrebbe voluto urlargli contro—la prego, aspetti, ci aiuti—ma per un istante incontrò il suo sguardo, e capì che sarebbe stato inutile.

      Non c’era rimorso in quegli occhi. Nessuna gentilezza. Nessuna empatia. Le parole le rimasero chiuse in gola.

      Velocemente come era apparso, l’uomo svanì di nuovo tra le ombre. “È un piacere fare affari con voi,” mormorò mentre si allontanava.

      Non sta succedendo davvero. Si sentiva intorpidita. In tutta la sua vita non aveva mai incontrato nessuno che sarebbe rimasto immobile a guardare mentre dei bambini erano in pericolo, né che avrebbe accettato soldi per non fare niente.

      L’uomo in carne ordinò qualcosa nella sua lingua straniera e indicò vagamente le mani delle ragazze. Rais disse qualcosa in risposta. Sembrò un secco rifiuto, ma l’altro uomo insistette.

      L’assassino apparve irritato mentre si infilava le dita nelle tasche per estrarre una piccola chiave argentata. Afferrò la catena delle loro manette, costringendo entrambe ad alzare i polsi per aria. “Ora ve le tolgo,” disse loro. “Poi salirete sulla nave. Se volete arrivare vive sulla terraferma, rimarrete in silenzio e farete quello che vi verrà detto.” Spinse la chiave nella cerchietto metallico al polso di Maya e l’aprì. “E non pensate nemmeno a saltare in acqua. Nessuno di noi verrà a riprendervi. Vi guarderemo morire di freddo o annegare. Ci vorranno solo un paio di minuti.” Aprì anche il lato di Sara, che istintivamente si strofinò il polso dolente e arrossato.

      Ora. Fallo ora. Devi fare subito qualcosa. Il cervello di Maya gridava, ma la ragazza non riusciva a muoversi.

      Lo straniero con la giacca nera avanzò per stringerle bruscamente un braccio. L’improvviso contatto fisico spezzò la sua paralisi, spingendola ad agire. Non dovette nemmeno pensarci.

      Alzò il piede con tutte le forze che riuscì a radunare, e lo sbatté sull’inguine di Rais.

      Non appena lo fece, un ricordo le lampeggiò nella mente. Durò solo un istante, anche se le sembrò molto più lungo, come se il mondo intero avesse rallentato solo per lei.

      Un giorno, poco tempo dopo che i terroristi di Amun avevano cercato rapirla nel New Jersey, suo padre l’aveva presa da parte. Non aveva potuto dirle la verità e si era attenuto alla storia di copertura—erano state catturate da membri di una gang come parte di un rituale di iniziazione—ma le aveva ugualmente detto: Non sarò sempre nei paraggi. Non ci sarà sempre qualcuno vicino ad aiutarti.

      Maya aveva giocato a calcio per anni. Aveva un calcio potente e preciso. Rais si piegò su se stesso con un sibilo, portando istintivamente le mani all’inguine.

      Se qualcuno ti attacca, in particolare un uomo, è perché è più grosso. Più forte. È più pesante di te. E per questo crede di poter fare qualsiasi cosa voglia. Che non hai scampo.

      Strattonò il braccio verso il basso, in un gesto rapido e violento, e si liberò dall’uomo dalla giacca di pelle. Poi si gettò in avanti, contro di lui, e gli fece perdere l’equilibrio.

      Devi giocare sporco. Fai tutto quello che devi. Colpiscilo all’inguine. Al naso. Agli occhi. Mordilo, agitati, urla. Lui non lotta lealmente e non devi farlo neanche tu.

      Maya roteò su se stessa, muovendo le braccia sottili in un arco. Rais era ancora chino, il suo volto all’altezza giusta. Il pugno della ragazza gli atterrò su un lato del naso.

      Il dolore le attraversò subito la mano, partendo dalle nocche per irradiarsi su per tutto l’avambraccio, fino al gomito. Gridò e la strinse al corpo. Nonostante ciò, l’assassino aveva subito un duro colpo, ed era quasi caduto giù dal pontile.

      Qualcuno l’afferrò intorno alla vita e la tirò all’indietro. Si ritrovò con i piedi per aria, a colpire il nulla, e mulinò entrambe le braccia. Non si era neanche resa conto che stava gridando, quando una grossa mano le si chiuse sul naso e la bocca, impedendole di urlare e respirare.

      Ma poi la vide: una figurina che diventava sempre più piccola. Sara era scappata, tornava nella direzione da dove erano venuti, e stava svanendo tra le ombre sotto le pile di container.

       Ce l’ho fatta. È andata. È riuscita a scappare. Ora a Maya non importava più di cosa le sarebbe successo. Non smettere di scappare, Sara. Corri. Trova altra gente, trova aiuto.

      Un’altra figura scattò all’inseguimento come una freccia: Rais. Corse dietro Sara, svanendo come lei tra le ombre. Era veloce, molto più della sua sorellina, e si era ripreso in fretta dai colpi subiti.

      Non la troverà. Non al buio.

      Non riusciva a respirare con la mano stretta sulla faccia. La graffiò e la strattonò fino spostare leggermente le dita, di pochissimo, quanto bastava per risucchiare aria dal naso. L’uomo in carne le teneva stretta, sollevata da terra con un braccio attorno alla vita. Ma lei non lottava più. Rimase immobile e attese.

      Per diversi lunghissimi momenti nel pontile regnò il silenzio. Il ronzio dei macchinari all’altro capo del porto riecheggiava nella notte, cancellando ogni possibilità che le grida di Maya potessero essere udite. Lei e i due uomini aspettarono il ritorno di Rais. La ragazza sperò disperatamente che tornasse a mani vuote.

      Un breve strillo spaccò il silenzio, e Maya si accasciò su se stessa.

      Rais emerse dall’oscurità. Aveva Sara sotto un braccio, come un altro uomo avrebbe trasportato una tavola da surf, e le teneva una mano sulla bocca per zittirla. Il volto della ragazzina era rosso acceso e stava singhiozzando, ma il suo pianto era soffocato.

      No. Maya aveva fallito. Il suo attacco era stato inutile, non era riuscita a liberare Sara.

      Rais si fermò davanti a lei, fissandola con occhi verdi pieni di furia.

      Perdeva un rivolo di sangue da una narice, dove l’aveva colpito.

      “Te l’avevo detto,” sibilò. “Ti avevo detto cosa sarebbe successo se avessi provato a combinare qualcosa. Ora dovrai guardare.”

      Maya si agitò di nuovo, cercando di gridare, ma l’uomo straniero la tenne stretta.

      Rais pronunciò un secco comando nella loro lingua straniera all’individuo con la giacca di pelle, che si avvicinò in fretta per tenera ferma e muta la sorella minore.

      Poi l’assassino sfoderò il grosso coltello, lo stesso che aveva usato per uccidere il signor Thompson e la donna nel bagno della stazione di servizio. Afferrò il braccio della ragazzina e lo tese di fronte a sé.

      No! Ti prego non farle del male. Non farlo. Non farlo… Maya cercò di formare le parole, di urlarle, ma l’unica cosa che le uscì di bocca fu un pianto isterico e soffocato.

      Sara cercò di strattonarsi piangendo, ma la morsa di Rais era troppo forte. Le separò le dita e infilò la lama tra l’anulare e il mignolo.

      “Dovrai guardare,”


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