Solo chi è coraggioso. Морган Райс

Solo chi è coraggioso - Морган Райс


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“Le ho perse sulle Sette Isole.”

      “Non ha senso,” disse suo padre. “Ho visto… no, come ho detto, non funziona così.”

      Royce sapeva bene che non doveva chiedere ciò che aveva visto., ma era difficile non pensarci, mentre si incamminavano in mezzo agli alberi e si dirigevano verso il limitare dell’isola. Era anche difficile non rimuginare sul fatto che finalmente aveva trovato suo padre. L’uomo che se n’era andato tanto tempo prima ora era qui, e camminava accanto a lui insieme a Gwylim, mentre Bragia svolazzava tra gli alberi.

      Il tragitto fino alla spiaggia non parve richiedere tanto tempo quanto quello per la camminata fino al centro dell’isola. Si mossero rapidamente e presto si trovarono a guardare il punto in cui era ancorata la barca. Gli amici di Royce erano ancora lì in attesa nella barca, quando Royce e suo padre arrivarono, ma saltarono presto a terra per andare loro incontro quando lo videro in compagnia.

      “Una Picti, una ragazza di paese e un combattente dell’Isola Rossa?” chiese suo padre.

      “I miei amici,” rispose Royce. “C’era anche un cavaliere, Sir Bolis, ma è morto sulle Sette Isole, salvando tutti quanti noi.” Fece un passo avanti verso i suoi amici, pronto a presentarli uno per uno. “Ragazzi, ecco mio padre, re Filippo, il legittimo re. L’abbiamo trovato.”

      I suoi amici reagirono con sorprendente deferenza. Mark si inchinò, Matilde fece una riverenza e addirittura Neave chinò il capo in segno di rispetto.

      “Padre, questo è Mark. Mi ha aiutato a sopravvivere sull’Isola Rossa ed è il mio migliore amico.”

      Su padre strinse la mano di Mark. “Un uomo che ha salvato la vita di mio figlio ha tutta la mia gratitudine.”

      “Lui ha salvato la mia ancora più spesso,” gli assicurò Mark.

      Royce andò avanti. “Questa è Matilde, che ha preso parte della resistenza alle regole del vecchio duca praticamente dall’inizio. È ancora più feroce di quello che sembra.”

      “Davvero?” chiese suo padre. Guardò Matilde. “Direi che già a guardarti sembri abbastanza valorosa. Mi piacerebbe combattere al tuo fianco.”

      “Grazie, vostra maestà,” disse Matilde compiaciuta.

      “E tu,” chiese l’uomo, voltandosi verso Neave.

      “Neave, vostra maestà,” disse lei, e nella sua voce c’era una nota di rispetto che Royce non si era aspettato.

      “I Picti meritano un posto migliore nel regno rispetto a quello che sono stato in grado di dare loro,” disse. “Rispettano la magia che c’è nel mondo in un modo che la gente ha dimenticato. Se sei qui, significa che la tua tribù combatte al fianco di mio figlio?”

      “Sì,” rispose Neave. “Ha fatto gridare la pietra guaritrice. Anche altri si uniranno alla sua causa.

      “Pare che tu abbia preparato un bell’esercito,” disse il padre di Royce.

      Royce annuì. “Ci stiamo lavorando. Per quando saremo tornati, spero che i miei fratelli avranno raccolto abbastanza gente da poter avere la meglio su re Carris. Però ci serve un simbolo. Ci serve il legittimo re. Ci servi tu.”

      “Sono con voi,” promise suo padre. Indicò la barca. “Abbiamo un lungo viaggio, però, e una dura battaglia quando saremo arrivati.”

      CAPITOLO SEI

      Genevieve camminava furtivamente nel castello alle prime luci del giorno, timorosa a ogni passo, sapendo che stava correndo un rischio solo a fare quella parte. Se Altfor si fosse accorto che era lì, allora si sarebbe trovata in pericolo anche se era incinta, ma lui aveva lasciato le loro stanze prima di lei, e Genevieve immaginava che si trovasse da qualche parte con Moira.

      “La ucciderò,” disse, anche se sapeva bene che avrebbe avuto difficoltà a uccidere chiunque. Ne aveva già avuto la prova con Altfor, quando si era trovava incapace di piantargli un coltello in corpo pur avendone l’occasione.

      “Troverò qualcosa,” promise a se stessa, nello stesso modo in cui lo aveva promesso quando si era trattato di Altfor. Se non poteva farlo direttamente, allora avrebbe contribuito ad eliminarli indirettamente, e poi si sarebbe accertata che venissero giustiziati per i loro crimini. Se lo meritavano.

      Odiava Moira, se possibile, ancora più di Altfor. Altfor non aveva mai finto di essere suo amico: l’aveva solo tradita in modi che Genevieve si era aspettata da lui. Moira si era trovata quasi nella sua medesima posizione, sposata a un altro dei figli del duca e immersa in un mondo di cui non avrebbe mai dovuto essere parte. Avrebbe dovuto essere un’alleata di Genevieve, una sua amica. Invece era andata da Altfor, e l’aveva tradita. E aveva fatto anche di peggio quando aveva consegnato Garet ai soldati del re.

      Almeno Genevieve poteva iniziare dal risolvere questo.

      Continuò a camminare, muovendosi con cautela da un nascondiglio all’altro, cercando di farsi vedere come se stesse sbrigando delle faccende, affari legittimi. Muoversi di soppiatto non aveva senso in un edificio pronto alla guerra, dove c’erano in giro troppe persone e troppa paura di spie per poter mai sperare di nascondersi del tutto. Il meglio che Genevieve poteva sperare era che la gente credesse che lei stava facendo qualcosa che doveva fare.

      Si avvicinò alle prigioni, sapendo che il suo tragitto attraverso la fortezza era stata la parte più facile. La gente poteva immaginare un sacco di ragioni per cui lei si potesse trovare in quasi ogni parte del castello, e in ogni caso nessuno avrebbe osato mettere in questione la nobile moglie del nuovo amico del re. Ma Genevieve dubitava che una cosa del genere avrebbe funzionato nelle prigioni.

      Ora si trovava di fronte all’ingresso, dove una robusta guardia stava seduta su uno sgabello, le chiavi alla cintura e la spada al fianco. Genevieve aveva bisogno di un modo per far allontanare l’uomo dalla porta, e in quel momento non le veniva in mente nulla. Cosa avrebbe fatto spostare un uomo che aveva ordine di restare al suo posto?

      La risposta era niente. Non c’era nessuna sottigliezza per poter ottenere il risultato desiderato, nessun modo di distrarre la guardia e scivolare dentro senza essere vista. L’unica opzione era quella diretta, e se Genevieve avesse scelto quella, quello che sarebbe successo poi sarebbe stato ovvio. Non c’era modo che lei potesse restare lì. Genevieve era davvero pronta ad abbandonare tutto e scappare, quando poteva esserci ancora qualche possibilità di scoprire altri dettagli che potessero essere di aiuto per vincere la guerra?

      “E cosa succederà a Garet se aspetto?” chiese a se stessa. Poteva già immaginare la risposta. Aveva visto quello che il re faceva a coloro che gli si opponevano, e non aveva dubbio che intendesse quello che diceva quando parlava di tortura. Doveva far uscire il fratello di Royce da lì, anche se questo le impediva poi di restare.

      Magari sarebbe anche stato a suo vantaggio. Genevieve avrebbe potuto tornare verso l’esercito di Royce se avesse avuto Garet con lei. Sarebbe stato una prova che lei stava dalla loro parte, e Royce finalmente avrebbe creduto alla verità.

      “Lo sto facendo davvero,” disse fra sé e sé, e poi avanzò fino alla guardia presso la porta della prigione. L’uomo la guardò con la lenta pigrizia di chi non ha alcuna intenzione di muoversi.

      “Cosa vuoi?” le chiese.

      “Cosa vuole, mia signora,” lo corresse Genevieve, adottando la voce più arrogante che poteva. “O pensi forse che siamo allo stesso livello?”

      Era facile pensare a come farlo: immaginò semplicemente il modo in cui Altfor l’avrebbe detto. Fu sufficiente a far sgranare gli occhi della guardia per la paura, o almeno per lo shock.

      “No, mia signora. Mi perdoni, mia signora.”

      “Stai zitto e aprimi la porta,” disse Genevieve. “Sono qui per vedere uno dei prigionieri.”

      “Mi spiace, mia signora,” disse la guardia. “Ma non mi è concesso di far accedere nessuno alle celle. Non senza prima il permesso di…”


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