Delitti Esoterici. Stefano Vignaroli
Era una donna dal clitoride talmente sviluppato da simulare un piccolo pene, capace anche di raggiungere l'erezione. Queste ultime quattro donne non sarebbero state bruciate, anche se qualche fascina era stata deposta ai loro piedi. Avevano confessato le loro colpe e avevano indicato Artemisia come loro “guida spirituale”, pertanto erano state legate ai pali, sia come monito alla popolazione locale, che per assistere da vicino al supplizio della loro ispiratrice. Come mai stava per aver luogo l'esecuzione, dal momento che il Doge di Genova aveva messo il veto agli Inquisitori della Chiesa, assicurando alle donne che non avrebbe permesso, in quei tempi moderni, una condanna a una morte così atroce? Il Doge andava fiero del fatto che un suo concittadino avesse scoperto, neanche un secolo prima, una nuova terra, l'America, mettendo fine a quel periodo buio che era stato il Medioevo. Non avrebbe pertanto mai permesso che la Chiesa, tramite l'Inquisizione, facesse bruciare vive queste donne, anche se erano state giudicate colpevoli di stregoneria, eresia, commistione con il diavolo, delitti contro Dio, contro la Chiesa e contro gli uomini. Il tutto era cominciato un anno e mezzo prima, nell'autunno del 1587, quando il Podestà, Stefano Carrega, e il parlamento locale, avevano indicato le streghe abitanti alla Ca Botina come principali responsabili della grave carestia, che da qualche tempo si era abbattuta su tutta la zona, e avevano chiesto al Vescovo di Albenga di istituire un processo alle presunte streghe, affinché fosse messa fine alle loro malefatte con una punizione esemplare, la condanna al rogo. Erano giunti in paese due inquisitori, due frati domenicani vestiti di nero, uno era il Vicario del Vescovo e l'altro il Vicario dell'Inquisitore di Genova. I “corvi”, come li chiamava la gente del luogo, fecero arrestare le cinque streghe abitanti alla Ca Botina, le quali, sotto tortura, accusarono molte altre donne del paese, non solo di origini contadine, ma anche appartenenti alle famiglie più nobili. A un certo punto gli inquisitori erano arrivati ad arrestare circa duecento presunte streghe e il Consiglio degli Anziani, considerato anche che già due donne erano morte, una per le torture inflitte, un'altra caduta da una finestra in seguito a un tentativo di fuga, decise di rivolgersi al Doge di Genova, perché ponesse fine al processo e facesse sì che venissero condannate solo le vere streghe, quelle della Ca Botina, il gruppo legato ad Artemisia, in tutto tredici donne e una fanciulla di 13 anni. Il governo genovese, quindi, non del tutto convinto della regolarità del processo a Triora, decise di interessarsene più da vicino. Passarono alcuni mesi in cui, mentre il Doge di Genova e il Vescovo di Albenga non trovavano un accordo sulla competenza per procedere, le donne rimanevano in prigione alla mercé di carcerieri che non risparmiavano loro umiliazioni e ne abusavano anche sessualmente. Nel successivo mese di Maggio, giunse a Triora l'Inquisitore Capo, per visitare le donne in carcere e accertarsi della situazione. Dopo averle di nuovo sottoposte alla tortura del fuoco, confermò le accuse per le tredici donne e lasciò libera la ragazzina. Le donne furono processate con le accuse di reato contro Dio, commercio con il demonio, omicidio di donne e bambini. Ad Agosto si giunse alla conclusione del processo, con la condanna a morte per Artemisia e le altre quattro donne più unite a lei: Emanuela Giauni, detta Emanuela la Capricciosa, Viola e Alessandra Stella e Teresa Borelli, detta Teresa il Maschiaccio, per la sua abitudine di portare i capelli corti, vestire abiti maschili e giacere con altre donne. Quando sembrava che ormai l'esecuzione della condanna delle cinque donne, per impiccagione e incenerimento dei resti, fosse imminente, intervenne il Padre Inquisitore di Genova, chiedendo che fosse rispettata la sua carica, fino a quel momento estromessa dal processo. Spettava a lui, infatti, in quanto rappresentante dell'Inquisizione di Roma, giudicare i crimini delle streghe. Così le cinque condannate vennero trasportate a Imperia e da lì, a bordo di una nave, fino a Genova, dove furono rinchiuse nelle carceri governative, in quanto l'Inquisizione non aveva posto sufficiente, andando a far compagnia ad altre presunte streghe di altre cittadine della zona. Tutto sembrava andare per il meglio, in quanto il Doge aveva promesso che avrebbe fatto in modo, ora che erano sotto la sua protezione, di salvare loro la vita. Le avrebbe tenute in carcere per un periodo, poi, quando la popolazione si fosse dimenticata di loro, le avrebbe rese libere, col patto di non fare ritorno al loro paese di origine. Ma il maligno, sotto le spoglie mortali del Podestà e del capo del Consiglio degli Anziani di Triora, ci mise lo zampino. Non fu difficile, per gli scagnozzi assoldati dai due illustri personaggi, corrompere i carcerieri con poche monete d'argento, sostituire le cinque streghe con altrettanti cadaveri di povere donne, morte per malattia o per gli stenti dovuti alla carestia che ancora imperversava tra i monti dell'alta Valle Argentina, e riportare le cinque streghe a Triora per un'esemplare esecuzione pubblica.
Legata al palo, Artemisia ripercorreva con la mente le principali tappe della sua vita, a partire dalla sua iniziazione, quando, poco più che tredicenne, si ritrovò al centro del cerchio magico, creato da sua mamma, sua nonna e altre adepte della setta, nei pressi della Fonte della Noce, una fontana situata sotto un grande albero di noci. Già allora aveva percepito la forte presenza del Maligno, una forza negativa all'esterno del cerchio, che voleva le sue vittime per assimilarne i poteri e diventare impareggiabile nella sua malvagia potenza. Gli insegnamenti trasmessi dalla mamma e dalla nonna, l'acquisizione dei poteri della veggenza e dell'uso del tatto e della vista per percepire e guarire i mali del corpo e dell'anima, erano stati da lei sempre utilizzati a fin di bene. Aveva appreso i poteri curativi delle erbe,diventando abile nel produrre pozioni che abbassavano la febbre, che toglievano i dolori, che aiutavano le donne partorienti durante il travaglio. Aveva imparato a usare, nelle giuste dosi, spore di funghi velenosi, da applicare su ferite infette per far regredire le secrezioni purulente. Aveva imparato a fabbricare talismani, a recitare le formule magiche di rito, a eseguire incantesimi di invisibilità, a formare i cerchi magici protettivi. Ma non aveva mai usato i suoi poteri per scopi malvagi, mai. Eppure, alla fine, era stata additata come strega e, insieme alle sue quattro compagne più fidate, Emanuela, Viola, Alessandra e Teresa, era stata imprigionata e torturata con la corda, con il fuoco e con l'acqua. All'inizio dell'estate del 1588 era giunto nella sua cella il Podestà, Stefano Carrega, che era colui che aveva iniziato la caccia alle streghe e, in quel momento, Artemisia aveva capito che era lui che rappresentava il male, la grande minaccia che incombeva su di lei e sulle sue amiche. Già indebolita dalle torture, fu denudata e legata mani e piedi a due pali di legno disposti formare una croce di Sant'Andrea, cosicché avesse braccia e gambe divaricate. I carcerieri le rasarono i peli della zona genitale, poi la lasciarono sola con il Podestà che le si avvicinò sollevando la tunica e mostrando un grosso membro già in erezione. Non c'era possibilità per Artemisia, legata com'era, di sottrarsi alla violenza sessuale, ma era conscia di dover essere forte in quella situazione, di non dover cedere al piacere, altrimenti, con l'atto sessuale, l'uomo le avrebbe sottratto tutti i suoi poteri e le sue conoscenze, assumendole su di sé. Ne uscì vittoriosa. Mentre sentiva il caldo eiaculato penetrare nelle sue viscere, dispose la sua mente a essere il più lontano possibile da lì, a vagare per i boschi a lei cari, e il suo corpo a non provare neanche un fremito, neanche un sussulto. Il Podestà, non essendo riuscito a raggiungere i suoi scopi, divenne furibondo.
«Peggio per te, strega! Morirete sul rogo, tu e le tue compagne, e la forza delle fiamme trasferirà su di me i vostri poteri.»
Il fatto di aver vinto quella battaglia le aveva dato un barlume di speranza e quando, nonostante la condanna degli inquisitori, lei e le sue quattro compagne vennero trasferite a Genova, pensò che il pericolo si fosse allontanato. Certo, dopo il rapporto col Podestà non le era più venuto il ciclo mensile. Era evidente che portava in grembo un figlio, o meglio, come poteva percepire, una figlia. Si rifiutava di ammettere che fosse figlia del maligno. L'avrebbe comunque iniziata alle pratiche magiche ed esoteriche, proprio come era stato fatto con lei da sua madre e da sua nonna, anzi, sentiva in cuor suo che quella figlia avrebbe avuto dei poteri soprannaturali davvero forti, in grado di contrastare qualsiasi potenza maligna e portare avanti nel bene la sua stirpe. Ma, dopo qualche mese, il maligno era rientrato in attività, si era alleato con il Consiglio degli Anziani e aveva inviato a Genova degli uomini incappucciati per riportare lei e le sue quattro compagne a Triora, dove sarebbero state giustiziate. Nel mese di Marzo Artemisia era quasi a termine gravidanza. Quando giunse a Triora, il capo del Consiglio degli Anziani, Giulio Scribani, volle accertarsi di persona del suo stato, in quanto non poteva permettere che, insieme alla strega, fosse bruciata sul rogo una creatura innocente. Artemisia usò tutti i suoi poteri per penetrare nella mente dell'anziano, in cui inculcò il concetto che lei si sarebbe sacrificata sul rogo, purché il suo sacrificio fosse servito a salvare sua figlia e le sue compagne. Il Podestà aveva fatto allestire i cinque roghi e già pregustava lo spettacolo