Il Volto della Paura. Блейк Пирс

Il Volto della Paura - Блейк Пирс


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scrollando le spalle e sperando che lui le se la bevesse. “Non posso parlare dei dettagli fino a quando non arriverà in tribunale.”

      John annuì, sembrando accettare la risposta. Zoe tirò un sospiro di sollievo. Doveva concentrarsi, evitare di contare le quattro volte in cui la testa dell’uomo si era mossa in avanti ad un’angolazione di trenta gradi e la brillantezza dei suoi curatissimi capelli castani aveva fatto la sua comparsa, o i sei bicchieri che passavano sul vassoio tenuto in mano dalla cameriera di un metro e sessantotto centimetri, o le …

      Zoe sbatté le palpebre, cercando di concentrare nuovamente il suo sguardo sulla figura di John e le sue orecchie su ciò che lui le stava dicendo.

      “Allora, ho dovuto dirgli, ‘Mi spiace, Mike, è un peccato che debba andare a un appuntamento stasera,’” rise.

      Zoe aggrottò la fronte. “Avresti potuto rimandare l’appuntamento,” disse. “Non me la sarei presa.”

      “Cosa? No!” disse John, appoggiandosi allo schienale della sedia con aria allarmata per poi riprenderle la mano. “Dio, no, Zoe. Non vedevo l’ora di rivederti. Era soltanto … ero sarcastico. O ironico, o qualcosa del genere. Confondo sempre le due cose. Sinceramente, non avrei mai annullato il nostro appuntamento soltanto per una questione di lavoro.”

      Lo sguardo di Zoe si spostò sul suo piatto, ormai privo degli eccellenti involtini di salmone con burro bianco al limone che erano stati la sua portata principale. Questo era il ristorante più in voga a Washington, D.C. per un appuntamento, e lei a stento ricordava di aver mangiato.

      Non era sicura di poter dire che avrebbe sempre messo John prima di ogni altra cosa. Dopotutto, era un agente dell’FBI. Avrebbe dovuto anteporre i casi alla sua vita privata, e non il contrario. Allungò consapevolmente una mano per portare un ciuffo dei suoi corti capelli castani dietro l’orecchio, constatando nel mentre che erano un centimetro più lunghi rispetto a quanto desiderava fossero tagliati. Le giornate erano state piuttosto movimentate, ultimamente. Non c’era stato il tempo per tutti quegli impegni quotidiani che facevano parte della vita.

      “Voglio dire, certo, capisco che a volte sia necessario rimandare,” continuò John, sorseggiando il suo vino con nonchalance come se non fosse appena riuscito a leggerle nel pensiero. “Insomma, devi fermare la furia omicida dei serial killer. Il tuo lavoro è importante. Per quanto mi riguarda, nessuno si arrabbierà se non rimango tutta la notte in ufficio cercando di capire se esiste una linea di proprietà comune fra tre diversi rilievi del 1800, e se questi possono applicarsi al caso del mio cliente. Tranne forse il mio cliente, e lui usufruirà del fantastico umore con il quale mi sveglierò domattina sapendo di aver trascorso la mia serata insieme a te.”

      “Sei troppo gentile con me,” gli disse Zoe. “Sempre. Non capisco perché.”

      Era vero: lei non lo capiva. Aveva completamente mandato a monte il loro primo appuntamento, e al secondo lo aveva trascinato in un ospedale per cercare di risalire alle cartelle cliniche di un potenziale assassino. E lui era rimasto ad aspettarla fuori al freddo, perché lei non si era preoccupata di dirgli che avrebbe potuto tornare a casa da sola. Non molti uomini avrebbero avuto voglia di fissare un terzo appuntamento, e questo era il quinto.

      “Non devi capirlo,” rispose John, lisciandosi la cravatta per l’undicesima volta quella sera, un gesto che lei stava iniziando a riconoscere. “Devi soltanto accettare il fatto che secondo me lo meriti. Non sono troppo gentile. Sono abbastanza gentile. In effetti, potrei esserlo di più.”

      “Invece no. Andrebbe contro le leggi fisiche e naturali.”

      “Beh, e chi ha bisogno di quelle?” John le rivolse nuovamente uno dei suoi luminosi sorrisi e si appoggiò allo schienale della sedia mentre il cameriere raccoglieva i loro piatti vuoti.

      “Allora, di cosa ti stai occupando al momento?” domandò lei, pensando che avrebbe dovuto cercare di mostrare più interesse per la vita di John. Lui era sempre così premuroso a chiederle della sua. Stava rovinando tutto? Sì, stava rovinando tutto … no?

      “Come ti ho detto, si tratta di una controversia sul confine di una proprietà ancestrale,” disse John, rivolgendole uno sguardo perplesso. “Sicura che sia tutto ok?”

      Zoe lo guardò, incontrando i suoi occhi che avevano pupille leggermente dilatate alla luce soffusa del ristorante, sentendo le quattro battute della delicata melodia di pianoforte in sottofondo e percependo il movimento di ogni nota: una su, una giù, una su, mezza nota su, una giù. Se soltanto riuscisse a “spegnere” i numeri, o quantomeno ad abbassarne il volume. Doveva concentrarsi su John e su ciò che le stava dicendo, ma il suo cervello non si fermava. Aveva soltanto bisogno che si fermasse. Stava girando tutto vorticosamente, e non era più sicura che sarebbe riuscita a riprendere il controllo..

      “Credo di essere un po’ stanca,” rispose. Come scusa, sembrava quasi accettabile. Almeno nel caso ci fosse una scusa per non riuscire a concedergli l’onore della sua attenzione.

      Lui non conosceva la sua capacità di vedere i numeri ovunque, in qualsiasi cosa, e lei non aveva alcuna intenzione di dirglielo. Neanche per i quattrocentocinquantatre dollari e diciannove centesimi di piatti e bevande che aveva visto passare accanto al loro tavolo nelle mani del personale di sala da quando si erano seduti, un’ora e tredici minuti fa.

      “È stata una serata meravigliosa,” disse lei. La parte peggiore era che diceva sul serio. Visto che John aveva trascorso tutto il tempo a essere premuroso e farla sentire bene, perché non era riuscita neanche ad ascoltarlo?

      “Beh, la mia è stata orribile. Ti va di rifarlo la prossima settimana?” rispose lui, pulendosi la bocca sorridente con un fazzolettino. Nonostante nei suoi occhi ci fosse una certa malizia, che si abbinava perfettamente ai lineamenti irregolari della sua bocca, le ci volle un po’ per capire che stava scherzando. Le sue parole la gelarono e le fecero pensare di aver rovinato tutto.

      “Mi piacerebbe,” disse Zoe, annuendo e tenendo per sé le sue emozioni. “La prossima settimana andrà benissimo.”

      Si alzò per uscire, sapendo già che lui si sarebbe rifiutato di farle pagare i novantotto dollari e trentadue centesimi della sua parte di conto, oltre alla mancia.

      Sebbene ci avesse pensato, evitò di dire ad alta voce che sarebbe stata fortunata se fosse riuscita a tener fede al loro appuntamento. Era un agente attivo dell’FBI, e ciò significava che era impossibile prevedere quando sarebbe spuntato fuori un nuovo caso, o dove sarebbe stato necessario recarsi.

      La prossima settimana, a quest’ora, chissà dove avrebbe potuto essere.

      Persino in questo preciso momento, un nuovo assassino probabilmente stava portando a termine il proprio delitto, creando uno schema per loro; e c’era sempre la possibilità che, stavolta, lei non sarebbe riuscita a capirlo. Zoe lottò contro la sensazione di disagio che si faceva strada nelle sue viscere, convincendosi in un certo senso di esserne certa: da qui a una settimana, sarebbe stata immersa in un caso che avrebbe fatto apparire tutti gli altri come un gioco da ragazzi.

      CAPITOLO TRE

      Zoe cambiò posizione, cercando di sistemarsi meglio sulla vecchia e comoda poltrona. Si stava abituando alla terapia, per quanto apparisse strano persino a lei.

      Parlare con qualcuno dei suoi problemi personali, settimana dopo settimana, in passato sarebbe stata la sua personale idea dell’inferno, ma avere accanto la dottoressa Lauren Monk non era poi così male. Dopotutto, era stata proprio la dottoressa Monk a spingerla a uscire di più con John e quella, almeno finora, si era rivelata un’ottima decisione.

      Da parte sua, quantomeno. Stava iniziando a chiedersi se John potesse dire la stessa cosa.

      “Allora, parlami dell’appuntamento. Cos’è successo?” domandò la dottoressa Monk, sistemando il blocchetto d’appunti sulle ginocchia.

      Zoe sospirò. “Non riuscivo a concentrarmi,” rispose. “I numeri prendevano il sopravvento. Riuscivo a pensare solo a quelli. Mi sono sfuggite frasi intere del suo discorso. Volevo dedicargli tutta la mia attenzione, ma non riuscivo a spegnere i numeri.”

      La dottoressa Monk annuì con aria seria, portando la mano al mento.


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