Quasi morta. Блейк Пирс

Quasi morta - Блейк Пирс


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suppose che fossero passate da un pezzo le sette. Si sentì esausta, e si domandò quanto potesse essere lontano quella pensione, e che cosa avrebbe fatto se non avessero avuto letti disponibili.

      Il cartello alla loro destra era quello di un supermercato, ne era certa. Sulla sinistra, era forse un luogo di intrattenimento di qualche tipo. L’insegna era fatta col neon. Non era il quartiere a luci rosse – sempre che ci fosse una cosa simile a Milano – ma non ci andava neanche molto lontano.

      Improvvisamente Cassie si rese conto che erano andati troppo distante, troppo velocemente, e sempre in silenzio.

      Dovevano aver camminato per più di un chilometro, una distanza maggiore di quella che chiunque avrebbe considerato vicina.

      Fu allora che iniziò a ricordare.

      Dopo il primo incrocio, aveva guardato a sinistra. Distratta e con la pioggia negli occhi non aveva memorizzato il cartello che aveva visto – non si trattava di un’enorme insegna luminosa, ma un piccolo cartello nero con una scritta bianca.

      “Pensione”.

      Quella era la parola che aveva usato Vadim. Era il termine italiano per chiamare un ostello per viaggiatori, o in ogni caso, qualcosa di molto simile.

      “Perché stai rallentando?” chiese lui, e in quel momento il suo tono divenne tagliente.

      Di fronte a lei, Cassie vide il lampo di luci di sosta. C’era un furgoncino bianco parcheggiato dall’altro lato della strada. Sembrava che Vadim si stesse dirigendo proprio lì.

      Lui allungò la mano, e in un secondo di puro terrore, Cassie si rese conto che aveva percepito la sua esitazione e stava per afferrarle il braccio.

      CAPITOLO TRE

      Cassie capì troppo tardi di essere stata stupida, chiacchierona e di essersi fidata decisamente troppo. Nel suo bisogno di compagnia, aveva rivelato a questo sconosciuto di essere completamente sola al mondo e che nessuno aveva idea di dove si trovasse.

      Le vennero alla mente scenari di rapimenti, traffico di persone, e abusi. Doveva scappare.

      Mentre la mano di Vadim le si stringeva intorno al polso, Cassie tirò indietro il braccio, e lui riuscì ad afferrarle solo la manica della giacca.

      Fragile e rovinato, il tessuto si ruppe, lasciando nella sua presa solo un lembo di poliestere. Cassie era libera.

      Si girò e iniziò a correre a perdifiato nella direzione da cui erano arrivati.

      Con la testa inclinata in direzione opposta alla pioggia, attraversò la strada di corsa mentre stava scattando il semaforo. Urla e insulti alle sue spalle le rivelarono che il grosso ombrello di Vadim si stava per lui rivelando più un ostacolo che un aiuto. Cassie svoltò rapidamente a sinistra proprio mentre un autobus le passava alle spalle, pregando che lui non avesse visto dove era andata, ma un altro urlo dietro di lei le fece sapere che non era così, e che lui la stava ancora inseguendo.

      Svoltò a destra, in una strada affollata, e mentre passava attraverso i pedoni in movimento, si tolse la giacca e il berretto, per evitare che i loro colori aiutassero il ragazzo a trovarla. Si arrotolò i vestiti sotto il braccio, e una volta raggiunto un altro incrocio, si guardò alle spalle mentre girava nuovamente a sinistra.

      Sembrava che nessuno la stesse seguendo, ma lui avrebbe ancora potuto raggiungerla – o, peggio ancora, prevedere dove lei si stesse dirigendo e aspettarla direttamente lì.

      Davanti a lei, come un faro di speranza e sicurezza, vide l’insegna “Pensione” che aveva notato in precedenza. Non vide Vadim da nessuna parte.

      Cassie corse verso l’ostello, pregando di poter riuscire ad entrare in tempo, per essere al sicuro.

*

      La musica a tutto volume proveniente dall’edificio si sentiva dalla strada, dove si trovava un fragile cancello di sicurezza dipinto di bianco, socchiuso.

      Dopo averlo aperto, Cassie salì una stretta scalinata di legno. Fu accolta da voci, risa e fumo di sigaretta.

      Si diede un’occhiata alle spalle, ma non c’era nessuno.

      Forse il ragazzo si era arreso. Ora che era riuscita a fuggire, Cassie si domandò se non avesse esagerato. Il furgone parcheggiato poteva essere stato solo una coincidenza. Vadim magari voleva solo portarla a casa sua.

      In ogni caso, non era ciò che le aveva promesso, e aveva cercato di afferrarla non appena lei aveva esitato. Cassie fu invasa da puro terrore quando si ricordò come fosse riuscita a malapena a scappare.

      Era stata una vera stupida a blaterare che era da sola, che nessuno aveva idea di dove si trovasse, che si era imbarcata nella ricerca senza speranza di una persona che avrebbe potuto non trovare mai. Respirando profondamente, Cassie si rimproverò per la sua incredibile stupidità. Era stato per lei un enorme sollievo poter raccontare la storia di Jacqui a uno sconosciuto che non l’avrebbe giudicata. Non si era resa conto di cos’altro stava rivelando.

      Il cancello di sicurezza in cima alle scale era chiuso. Portava in un piccolo ingresso, vuoto, ma vi era un pulsante sul muro con un cartello attaccato sotto di esso.

      Le parole erano scritte in lingue diverse, con l’inglese in cima.

      “Suonare per essere serviti”.

      Cassie premette il pulsante, sperando che qualcuno sentisse, visto che lassù la musica era assordante.

      Per favore, rispondete, pregò.

      Poi la porta dall’altra parte dell’atrio si aprì, ed entrò una ragazza bionda di età simile alla sua. Sembrò sorpresa nel vedere Cassie in piedi lì fuori.

      “Buona sera”, la salutò.

      “Parli inglese?” chiese Cassie, pregando che la donna parlasse la sua lingua e capisse che aveva bisogno di entrare al più presto.

      Con suo sollievo, la ragazza passò ad un inglese dall’accento tedesco.

      “Come posso aiutarti?”

      “Ho urgente bisogno di un posto dove stare. Avete una stanza libera?”

      La bionda rifletté per un momento.

      “Non abbiamo camere”, disse, scuotendo la testa, e Cassie fu invasa dal disappunto. Si guardò alle spalle, preoccupata di aver sentito un tonfo sulle scale, ma doveva essere la musica che proveniva da qualche parte all’interno dell’atrio.

      “Per favore, posso almeno entrare?” chiese.

      “Certo. Stai bene?”

      La donna premette un pulsante che fece scattare la serratura. Cassie sentì il freddo metallo vibrarle tra le mani, mentre la serratura scattava, e chiuse il cancello saldamente alle sue spalle, con un fragore metallico.

      Finalmente era al sicuro.

      “Ho avuto una brutta esperienza. Un uomo mi ha detto che mi avrebbe accompagnato qui, ma poi siamo finiti con l’andare in una direzione completamente diversa. Mi ha afferrato il braccio quando mi sono resa conto che c’era qualcosa che non andava, ma sono riuscita a liberarmi”.

      La donna sollevò le sopracciglia, sembrando sconvolta.

      “Sono felice che tu sia riuscita a fuggire. Questa parte di Milano può essere pericolosa di notte. Per favore, entra nell’ufficio. Credo di aver frainteso la tua domanda. Non abbiamo stanze libere; tutte le camere singole sono prenotate. Ma ho un letto disponibile nel dormitorio condiviso, se ti va”.

      “Grazie, mille. Sì”.

      Debole per il sollievo di non dover tornare nuovamente nelle strade buie, Cassie seguì la donna attraverso l’ingresso e in un minuscolo ufficio con un cartello sulla porta: “Direttore dell’ostello”.

      Lì, Cassie pagò la stanza. Si rese conto nuovamente di quanto i prezzi fossero scomodamente alti. Milano era una città costosa e non sembrava possibile viverci senza spendere troppo.

      “Hai del bagaglio?” le chiese la ragazza.

      Cassie scosse la testa. “È in macchina, a chilometri da qui”.

      Con sua


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