Come Una Preghiera. Diego Maenza
Lo squillo imperioso del telefono rompe il silenzio, e poi odo i passi frettolosi della signora Salomè che si precipitano giù per le scale, scivolano di corsa sulle piastrelle del pavimento e finalmente giungono a destinazione, come arguisco dal rumore del ricevitore che viene sollevato. In seguito, il tintinnio delle posate sulla tavola apparecchiata raggiunge le orecchie di Tomas, organi stanchi ma sicuramente più svegli del suo olfatto quasi perduto. Ma forse lui è venuto in cucina perché ha sentito l’odore del pesce.
Il ragazzo riposa. Mastico con cura il mio cibo. Quel gusto fresco di mare mi delizia il palato, ma poi mi sento una spina tra i denti e l’incanto svanisce… La signora Salomè sparecchia la tavola. Mi avverte, in modo molto formale, che oggi deve andare a casa prima a causa di un problema domestico, e che non verrà per un paio di giorni. Annuisco col capo, senza parlare.
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Apro il trittico, dopo aver analizzato con minuzia l’immagine della Fine del Mondo. Lo sguardo mi cade sul lato destro, pieno di illustrazioni complesse. L'inferno è davvero un posto così pieno di grida? mi chiedo. È forse un urlo infinito che esplode nel cervello e nelle viscere e ci spinge a fare i conti con i nostri peccati? Oppure questi strumenti musicali raffigurati nel dipinto sono muti, e il silenzio infernale è la vera punizione degli eretici? L'inferno non è il dolce ululato del silenzio, questo è certo, ma un torrente di grida disperate che si levano per piegare l'anima. Ecco perché quest’anima perduta è incastrata nelle corde dell'arpa, ed ecco il motivo per cui quest’altra viene inglobata nel liuto gigante.
Allora, mi soffermo sui miei peccati. Scruto questo triste sodomita impalato da un flauto come emblema di una lunga stirpe di peccatori, ed è come se avessi sentito in me il loro tormento, come se in qualche maniera oscura il dolore immaginario di queste anime in pena si fosse incarnato nel mio intestino perverso e mi ricordasse l'orrore del mio peccato. Contemplo l'uomo che si abbraccia a un maiale con in testa un velo di monaca, ed è come se l’artista avesse ritratto me, poiché sento il feticcio degli osceni sussurri ruminarmi accanto e riversarsi dentro la mia carne. Chiudo con orrore le porte di questo terribile mondo spirituale e subito ritorno nel mondo reale, che mi rimanda l’immagine di un universo terreno ancora più mostruoso. Sei pieno di peccato, mondo. Proteggici, Dio. Salvami, Dio. E poi mi preparo per la messa.
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Ave, Maria piena di Grazia.
“Ho peccato, padre”.
“ Dimmi i tuoi peccati, figlia”.
“Ho avuto pensieri di lussuria. Ieri sera l'ho visto mezzo nudo e ho desiderato il suo corpo, lo bramavo con una voglia matta. È un peccato molto grave, padre?”
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Il prete ascolta e reprime un sospiro di complicità. È la solita storia di ogni peccatore, cambia solo per qualche leggera sfumatura. Si chiama Desiderio. Il desiderio peccaminoso e ripugnante.
Padre Misael, alla fine di ogni confessione, che lui giudica con rigore e clemenza, e dopo aver confortato la pecorella con dolcezza, come sta facendo in questo momento, e dopo avere scavato a fondo nella pochezza dell’anima che si concede a Dio, e dopo averla ricongiunta al Signore, recita le preghiere canoniche a Dio Padre misericordioso, che ha riaperto le porte del Paradiso al mondo mediante la morte e risurrezione di suo Figlio e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati.
“Oh Signore, per merito della sua parola, e per il mistero della Nostra madre Chiesa, concedici perdono e pace. Io ti assolvo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.
E nel confessionale si alza un Amen denso di sollievo.
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Mi metto seduto dietro la testata del letto e stringo la bottiglia di acqua di colonia con cui mi disinfetto le mani. Ne ho spruzzato un po’ sul viso del ragazzo e mi sembra di percepire un battito di ciglia, subito soffocato dalla febbre alta. Il ragazzo scotta. Certo, ma sono convinto che bruci per altri motivi. Dormi figlio, mi prenderò io cura di te.
La mattina dopo mi alzo, e noto che le medicine hanno fatto il loro lavoro. Mi strofino ancora una volta le mani col disinfettante e mi lavo i piedi con del bagnoschiuma.. Mi sento più ottimista del giorno prima.
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Loda l'acqua santa della tuberosa che si è diffusa sul tuo corpo. Riposa, che domani ti alzi e cammini.
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Deliro, da quando ho osservato da vicino il volto della bestia, e questo può succedere solo nei sogni. Dev’essere la febbre. La sua melma inonda il mio corpo. Sento il fetore del suo alito e non ho la forza di urlare, solo il coraggio di sputare sul suo viso, e non con la saliva, ma con uno sguardo di disgusto e orrore. Piango, come è normale nei momenti di orrore, e imploro il Cielo, come fa un normale credente. Ricaccia la bestia nell'inferno, Signore! Proteggimi. Abbi cura di me, Signore. Sii il mio rifugio. Tu, Signore, sei il mio pastore. Con te non mi mancherà nulla. Niente e nessuno potrà farmi del male.
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Il giovane finalmente dorme, questa volta senza incubi, per la prima volta dopo lo scoppio della febbre. Il sacerdote, nella sua stanza, sta per cambiare l’abito talare con un abito da casa. Si spoglia e contempla il suo corpo davanti allo specchio. I peli convergono nel pube come un mulinello proveniente dalle cosce e dall'ombelico, e circondano il bacino raggiungendo la base del pene, che gradualmente, si alza in una potente erezione. “Liberami dal peccato, Signore! —implora lui, senza successo—. Il desiderio della carne è più grande della mia capacità di astinenza!” Ma, improvvisamente, si sente invaso da un impulso, da una tempesta innaturale che allarga il suo petto in segno di soddisfazione e deprime il flusso di sangue che la natura ha spinto verso il suo pene. Grazie a Dio! Indossa il pigiama e s’inginocchia ai piedi del letto.
“Grazie, Dio! —mormora dentro di sé, con le lacrime agli occhi—. Oggi i miei occhi riposeranno sereni”.
Le sue orecchie sono tese nel profondo silenzio della notte tranquilla. Dio sembra averlo ascoltato. Almeno questo è ciò a cui padre Misael si ostina a credere.
MARTEDI e MERCOLEDI
Fragranza e fetore
…venga il tuo regno…
Si spande nell’aria come una nube di vapore, poi si estingue e poi, come in un gioco, torna a farsi sentire, e infine mi stuzzica l’olfatto godendo del piacere della sua invisibilità. Aspiro con gioia il profumo e sento i muscoli del mio viso rilassarsi, per quell’attimo di gioia. Mi sazio dell’aria profumata che si infiltra nelle mie narici, l’aspiro più a fondo con voluttà e mi perdo nella fragranza dei fiori. Quando apro gli occhi, il volto del ragazzo accanto a me mi riporta alla realtà delle mie abluzioni mattutine e, quando lo saluto, mi accorgo con piacere che sta meglio dalle sue guance rosee e profumate, che fanno da contrasto al puzzo del mio alito di prima mattina.
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Lascio che il ragazzo continui a riposare, e mi appresto a officiare la messa da solo. Questa volta ho sopportato con più leggerezza la sua assenza e ho tollerato con meno affanno il movimento orizzontale dell’incenso che mi ha coperto la pelle del profumo di resina. Ora lui se ne sta comodo sulla poltrona, e si soffia il naso in un fazzoletto color kaki che si colora di strani disegni in movimento, fino a riempirsi del tutto. Esco in strada, diretto al mercato.
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Malecon è deserta. Sento l’odore di acqua dolce del fiume che si mescola al tenue profumo delle palme sulla riva. La passeggiata sul suo greto è piacevole. Il vicolo invece mi accoglie con l'aroma di birra appena stappata e il fetore rancido dell’urina sparsa negli angoli bui, quasi fosse il puzzo di una nuova pestilenza. Ho accelerato il passo mentre, con la coda dell’occhio, davo uno sguardo all’insegna del nuovo negozio scritta a lettere maiuscole e in corsivo. Un luogo di perdizione, Signore, e nel mio vicolo preferito!
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Il mercato è un turbinio di odori. Legumi ed erbe, cereali e molluschi, cibi e frutta lavorati diffondono per l’aria una vasta gamma di profumi che solleticano l'olfatto. Il mio corpo quasi